Montreal, tardo pomeriggio di una pigra domenica di agosto. Trenta gradi, vento caldo.
La mia mente, chissà come, sarà il vento caldo, ritorna ai tardi pomeriggi di agosto di trent'anni fa.
Allora, io con i miei genitori e mio fratello tornavamo dal mare, cotti dal sole e dal vento, e rientrando nel cortile della casa dei nonni, nell'entroterra siciliano, trovavamo immancabilmente mio nonno, seduto su una sedia impagliata, con accanto un barile pieno di mandorle da sbucciare del mallo e un altro barile in cui mettere le mandorle con il guscio pulito. Svolgeva l'operazione con due pietre, una piatta, usata come supporto, e l'altra più appuntita, che serviva a togliere il mallo dal guscio delle
minnule.
Mio papa, mio fratello ed io ci fermavamo in cortile ad aiutare il nonno. Lui andava a prendere pietre e sedie per noi due bambini e ci spiegava come fare. Io ricordo che i miei gesti si concludevano più spesso con pietrate sulle dita che con un'efficace sbucciatura delle mandorle. Ricordo la pietra troppo pesante perché la mia mano di bambina potesse compiere il suo dovere.
Ricordo poi che mio nonno e mio padre, tra una
minnula e l'altra, ogni tanto di mandorle ne rompevano una e ce la davano da mangiare. Amara, verde. Deliziosa. Era un piccolo premio, una cosa preziosa.
Il tutto avveniva in silenzio, o forse solo poche parole venivano dette.
Sono cresciuta d'estate in quel cortile in cui si riusciva a stare in silenzio, perché di parole non ce n'era bisogno.
Da allora
le minnule per me sono casa.
Oggi ho portato in terrazza due ciotole, una piena di mandorle coperte di acqua bollente e una vuota. E ho spellato le mandorle, con calma, in silenzio. Davanti a me il Teodolindo leggeva un libro, mi ha vista trafficare con bucce e mandorle e mi ha detto: "Tu non riesci proprio a stare tranquilla, eh?". Non sapeva che nulla equivaleva alla tranquillità più di quel gesto.
Con quelle mandorle ci ho poi fatto un
pesto di foglie di carote. Avevo comprato un mazzo di carote questa mattina, e le foglie mi piacciono più delle carote stesse. Pensare che c'è gente che le foglie le butta!
Avevo anche già lavato le foglie che erano pronte per essere tritate insieme ad una manciata di mandorle spellate ed una di pistacchi, il tutto naturalmente ammorbidito da abbondante olio di oliva extravergine.
Mentre ero lì, intenta a tritare mandorle e unirle alle foglie di carote, pensavo alla reazione che avrebbero avuto le tre generazioni di uomini della mia famiglia a vedermi fare una ricetta simile, così strana per la nostra tradizione di casa, per cui le mandorle si usano nei dolci. Punto.
Non riesco ad immaginare una sola possibile parola pronunciata dai tre - mio nonno, mio padre, mio fratello- però ho chiarissimi in mente come mi avrebbero guardata e l'espressione del loro volto, un misto di diffidenza e curiosità, tutte siciliane.
"Pietro Fatta e padre Arena erano impassibili, esempi di quella abilità a dissimulare i propri pensieri e sentimenti che i siciliani si bevono col latte materno."
Simonetta Agnello Hornby, La mennulara. 2002.