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Sunday, September 28, 2014

In transizione

Come Nanni Moretti doveva passare tutti i giorni su quel ponte di Roma, anch'io sto meglio se passo almeno una volta al giorno dal Parc Lafontaine.


Fortunatamente, è esattamente quel che faccio da maggio a novembre, per andare al lavoro in bici. Mattino e sera, giorno dopo giorno, pedalo e mi godo il passare delle stagioni - tre - attraverso il parco.

Non so quale delle tre stagioni preferisco.

Questa, il passaggio dall'estate all'autunno, mi piace molto. Anche se non è priva di quella malinconia che accompagna chi sa che l'inverno sta arrivando.

Però non riesco a non amare quei lampi di rosso che si fanno strada in mezzo al verde.




Non riesco a non gustarmi queste ultime settimane di convivenza tra gabbiani e scoiattoli, prima che gli uni vadano in letargo, e gli altri a svernare.



Poi si scoprono cose interessanti ad osservare gli alberi.

Ad esempio, come diventano rosse le foglie degli aceri?
Dalla periferia al centro.

L'acero che tocchiamo dal nostro balcone
Questo qui sopra è l'acero di casa nostra, ma l'autunno, oltre alle foglie, accende anche invidie da vicinato al grido di "l'acero del vicino è sempre più rosso".

l'acero dei vicini, indubbiamente più rosso



A forza di tenere il naso all'insù per guardare alberi, do ragione al Teodolindo che dice che in questa stagione alcuni aceri sembrano fuochi d'artificio. E noi facciamo di tutto, collo ben disteso, per ammirarli finché durano.





Saturday, September 20, 2014

Mangiare da soli

Mio marito è in viaggio per qualche giorno e così io mi ritrovo da sola, qui nella nostra casa.
Per chi e abituato a vivere quasi in simbiosi come noi, che da quando siamo immigrati qui condividiamo molte più cose di prima, il trovarsi poi di colpo nella propria casa senza l'altro fa sentire che qualcosa manca. Un corpo, nel mio caso alto un metro e ottantacinque per 67 kg di peso, che fa sentire la sua assenza soprattutto di notte, nel letto, che sembra - e lo è- mezzo vuoto.
A parte lo smarrimento iniziale, io finisco poi sempre per gustarmi questi momenti di solitudine. I pasti in particolare.
Mangiare da soli.

Questa mattina facevo colazione. Mi sono preparata la tavola, ho messo sul fuoco il bollitore. Poi ho preso dalla dispensa i cereali comprati da mio marito e dal frigo il latte di mandorle.
Ho anche preso un libro - adoro mangiare in compagnia di un libro - e mi sono apprestata a cominciare la mia colazione.

Ho sfogliato le pagine de "La cucina del buon gusto" di Simonetta Agnello Hornby fino ad arrivare proprio al capitolo in cui parla del mangiare da soli. Volevo rileggerlo.
Intanto ho versato i cereali nella ciotola, chiedendomi per quale razza di motivo il Teodolindo avesse comprato dei cereali con scorze di arancia, e poi li ho coperti con il latte di mandorla.
E mentre leggevo i racconti di Simonetta Agnello sui suoi pasti da sola, il profumo delle scorze d'arancia di 'sti benedetti cereali unito al gusto di mandorla del latte mi hanno improvvisamente ricordato il croccante di mandorle che mia nonna preparava sempre per Natale. Era uguale: il gusto potente delle mandorle tostate avvolto dallo zucchero profumato di succo e buccia di arance siciliane. A volte le si bruciacchiava, altre volte diceva che era troppo duro. Noi lo finivamo sempre, e non notavamo mai difetti.

Di colpo mi sono trovata a fare colazione non da sola, ma in compagnia di mia nonna.
Non ricordo una colazione migliore da tanto tempo.




Thursday, September 11, 2014

When a man loves a woman

C'è stato un tempo in cui credevo che quando un uomo ama una donna

le dedica una canzone,
si tatua il suo nome sul braccio,
toglie la sua donna da un angolo di una sala e la fa volteggiare sulle note di I've had the time of my life.

Non più.

Ora penso che quando un uomo ama una donna, le fa trovare una pentola di minestra di verdure fumante e profumata.


Dalla ricetta del Celiachindo:

qualche foglia di cavolo
tre patate piccole (due di media grandezza)
un porro
qualche foglia di sedano

Ha tagliato tutto a pezzetti, nel mentre ha messo a bollire dell'acqua.
Ha poi fatto soffriggere le verdure con un po' d'olio nella pentola che si vede nella foto, e che è la nostra pentola delle minestre, di ghisa smaltata. Una volta soffritte le verdure ha versato nella pentola l'acqua bollente fino a coprire le verdure. Ha aggiustato di sale e pepe.
Ha fatto cuocere a fuoco lento per mezz'ora, dopodiché ha frullato la minestra ed ha aggiunto due manciate di pasta corta (ditalini senza glutine) e delle croste di parmigiano tagliate a pezzetti.
Una volta portata la pasta a cottura, ha spento, ha lasciato riposare cinque minuti ed ha servito in tavola, direttamente nella pentola.

Sa come farmi felice.


P.S. Il non plus ultra sarebbe venire a sequestrarmi al lavoro, farmi volteggiare sulle note di I've had the time of my life nella hall dell'Istituto e poi rifocillarmi con una minestra fumante e profumata. Ma mi sembra di chiedere troppo.




Tuesday, September 9, 2014

La poesia della lana d'autunno

Se proprio l'autunno deve arrivare, allora che sia con maglioni di lana morbidi, ampi, lunghi.

Alberta Ferretti, AI 2014-15
Bottega veneta, AI 2014-15

Li vorrei indossare sopra a gonne ancora estive.




Oh, magari con i sandali (sì, come no!)



 O anche con i pantaloni.



Lo so, se maglioni larghi devono essere, allora che io metta i tacchi, altrimenti sembro una lillipuziana. Non che abbia problemi a mettere i tacchi, eh, anzi.




Alla poesia di lane morbide ed impalpabili, si contrappone il pragmatismo del Teodolindo che questa mattina, in risposta al mio ennesimo: "Quest'autunno mi piacciono i maglioni larghi, lunghi..." ha detto: "Questo mi è chiaro, visto che è una settimana che ne parli. Io temo già il momento in cui dirai che te li devi comprare quei maglioni, perché mi pare tu non ne abbia nemmeno uno, o sbaglio?". 

Sbaglia. Ne ho uno. Solo.

Monday, September 1, 2014

La creazione di nuovi ricordi

Lo si sa, che i ricordi più antichi sono odori e sapori.

A me tornano nel naso l'odore pungente della paglia nella stalla della casa dei nonni, in Sicilia, e  l'odore del ragù che sobbolle in cucina, già alle dieci del mattino, in inverno.

Poi sento i sapori che più son radicati nella mia memoria. Le polpette di mia nonna, la pasta con le patate e cipolle, le melanzane alla parmigiana, mangiate fredde.

Questi ricordi hanno costruito la mia identità. Io sono dentro questi sapori e odori. C'è la me stessa bambina, poi ragazzina. Io mi ci ritrovo e mi riguardo.

Non sorprende allora che, quando sono in terra straniera, io senta prepotente riaffiorare quei ricordi. Non è solo nostalgia, non è solo che in Canada non ci sono le melanzane e i pomodori e le mozzarelle buone. Ma va là.
È che venendo qui ho subito uno sradicamento. Dolce, gentile, non traumatico, certo. Ma le mie radici non poggiano più su quella terra da cui si sono nutrite per trent'anni. E allora chiamano quei vecchi sapori e odori per ricordarsi chi sono e da dove vengono.

È un gioco continuo. Mi costruisco, cambio, e però devo sempre guardarmi indietro per conoscere poi la direzione del cambiamento, per non trovarmi poi persa.


A vivere in terra straniera, si finisce che le proprie radici, oltre a nutrirle di ricordi passati, le si rinvigorisca con ricordi nuovi. Con sapori e odori che non appartengono alla mia storia, ma che lo saranno a partire da ora, e in parte lo sono già.

Il cake al peanut butter (la bambina che ero non ci avrebbe mai creduto).
La vellutata di barbabietole in inverno.

E questa torta rovesciata ai frutti di bosco?


Il tempo lo dirà.

Va fatta ad estate inoltrata, perché vuole i mirtilli e gli altri petits fruits, e mangiata a colazione sul terrazzo assolato, il sabato mattina alle sette e mezza, parlando a bassa voce perché attorno i vicini dormono ancora.

È una ricetta del Quebec ed è la prova del fatto che anche il mio cucinare sta cambiando, perché ho dovuto imparare ad usare le cups come unità di misura e perché posso permettermi di fare una torta con quantità di mirtilli e cassis che in Italia pagherei oro e che qui ti tirano quasi dietro.

Ci si mette dieci minuti (dieci!) a prepararla e trenta a cuocerla.
Si preriscalda il forno a 180 gradi.

Si prendono:
due tazze di frutti di bosco (mirtilli, ribes, fragole, lamponi)
un cucchiaio di amido di mais o di farina di tapioca
due cucchiai di zucchero, meglio se di canna
Si mischiano insieme e li si lascia da parte.

Poi:
3/4 di tazza di farina (per me, 1/2 tazza di farina di riso bruno + 1/4 di farina di tapioca)
due cucchiai di zucchero di canna
un cucchiaino di lievito
un cucchiaino di bicarbonato
cannella e noce moscata a piacere
Si mischia il tutto e si lascia da parte.

Poi ancora:
1/2 tazza di yogurt naturale
30 g circa di burro fuso, a fuoco molto dolce, e poi lasciato raffreddare

Infine:
si versano i frutti in una tortiera precedentemente imburrata. 
Si mischia il composto di farine con lo yogurt e il burro (se dovesse essere troppo denso, aggiungere un paio di cucchiai di latte) e lo si versa sopra ai frutti nella tortiera.
Si inforna per 30 minuti o fino a quando la superficie è bella dorata e la cucina è invasa di profumo di torta e frutti rossi...

La morte sua è con un po' di gelato alla crema o yogurt bianco...