Ieri accompagno a scuola il Sig. Tenace in metropolitana, come sempre. Lì attaccati al palo, pigiati da mille pendolari che vanno in centro, gli dico:
"Domani, quando vengo a prenderti, vieni con me in biblioteca?"
Lui, quasi urlando dall'orrore della proposta: "Nooo, non mi piace la biblioteca!". Lo dice sottolineando con disgusto il "non mi piace". Gli altri ci guardano, pensano che debba avergli proposto di andare dal dentista.
"Ma come?", dico io "Mi sembra proprio che ti piacciano i libri!"
"I libri mi piacciono. Non mi piace restituirli."
E ammetto che come ragionamento ha una sua logica.
Ora, andiamo in biblioteca perché mi sono stufata di non leggere. Non voglio auto-rigirarmi il coltello nella piaga, ma da un anno a questa parte non si dorme e visto che io leggevo prevalentemente prima di andare a dormire, l'atto della lettura è svanito con quello che di solito lo seguiva.
Ma adesso basta. Si deve ricominciare. Ho sul telefonino una lista di libri che mi sono segnata da mesi, ogni volta che ne sentivo parlare alla radio, o ne leggevo su blog amici (Amanda, ti fischiano le orecchie?), o su facebook.
In cima alla lista stanno due tomi:
Mi ha incuriosito un'intervista all'autrice, di origine persiana trapiantata in Francia, e mi è poi bastato leggere questo frammento, in cui l'autrice si riferisce alla sua lingua materna, il persiano, per volerlo avere assolutamente.
"La petite fille comprend qu’ici, il ne sert à rien de le parler. Personne ne lui répondra. Alors il se passa quelque chose d’étrange : elle avala sa langue. Elle ferma les yeux et elle engloutit sa langue maternelle qui glissa au fond de son ventre, bien à l’abri, au fond d’elle, comme dans le coin le plus reculé d’une grotte."
"La ragazzina capisce che qui, non le servirà a nulla parlarlo. Nessuno le risponderà. Allora successe qualcosa di strano: deglutì la sua lingua. Chiuse gli occhi e inghiottì la sua lingua materna che scivolò in fondo alla sua pancia, ben al riparo, in fondo a se stessa, come nell'angolo più nascosto di una grotta."
Il secondo è questo:
Nicole Chung è una donna nata da una famiglia coreana e adottata da genitori bianchi in un Oregon estremamente bianco ed uniforme. E chi legge questo blog ha già capito perché io voglia leggerlo subito.
What did the child’s color matter, in the end, when they had so much love to give? It would be unseemly, ungrateful to focus on a thing like race in the face of such a gift. It wouldn’t have mattered to us if you were black, white, or purple with polka dots, they would tell their daughter over and over, once she was old enough to understand the story of how she came to them.
Odd as that declaration would sound to me, every time, I would always believe them.
Quanto poteva contare il colore del bambino, alla fine, quando loro avevano così tanto amore da dare? Sarebbe stato ingrato concentrarsi su una cosa come la razza di fronte ad un tale dono. Non ci importava se tu fossi nera, bianca o viola a puntini, avrebbero detto alla loro figlia ripetutamente quando lei fosse stata grande abbastanza per capire la storia di dove arrivasse.
E per quanto strana quella dichiarazione suonasse alle mie orecchie ogni volta, li avrei sempre creduti.
In un solo paragrafo, due concetti così cruciali e così tossici nella narrativa dell'adozione: la mentalità colorblind e l'idea del figlio adottivo come dono.
Credo non ci sia bisogno di dire che, naturalmente, la ragazza capisce poi bene quanto invece la razza conti e quanto lei debba rifiutare di essere vista come un dono per i suoi genitori, rivendicando il suo diritto alla verità tutta intera, inclusiva di una storia complessa.
Quali altri libri devo aggiungere?
(per i libri in italiano, segno e recupero la prima volta che rientro in Italia)
P.S. Le traduzioni come al solito sono mie. Abbiate pietà...