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Friday, September 6, 2019

Quelli che raccontano storie delicate

Ci sono persone capaci di raccontare storie con una delicatezza incredibile, pur restando ancorati al vero e al crudo.
Tra questi, per me, c'è Hirokazu Koreeda, regista giapponese.
Koreeda ha una dote particolare: la delicatezza che usa nei film non è mai in alcun modo a discapito della profondità di analisi.

Non è un segreto che io abbia un debole per il cinema asiatico in senso lato. Da Wong Kar-Wai, passando per Kim Ki-Duk, a Takeshi Kitano. Mi piacciono i film in cui si toglie anziché aggiungere. Pochi rumori, poche parole, ambientazione ridotta a pochi luoghi. Attenzione per le immagini scelte con cura estrema. Per me tutto ciò è piacere puro.
Koreeda in questo è maestro.

Il primo film di Koreeda che ho visto, qualche anno fa, fu Like father, like son (trailer in italiano qui).



È con esso che ho scoperto Koreeda, il suo stile e la domanda che lui si pone in modo pressoché ricorrente in ogni film: che cosa è famiglia? Il legame di sangue o la relazione che si sceglie? Quale è la vera famiglia? Ed in fondo, è lecito mettere in opposizione le due o forse entrambe sono non solo spesso coesistenti ma il più delle volte necessarie?
Sia chiaro, Koreeda non dà risposte. Lui lavora sulle domande, che il più delle volte restano aperte (come, almeno a mio parere, è giusto che sia, vista la complessità).



Ora, chi conosce la mia di famiglia o legge questo blog avrà già capito come questo argomento non possa che starmi profondamente a cuore. Ergo, mi sciroppo i suoi film con un misto di piacere sublime e un nodo alla gola. E poi ci penso, rifletto, rimugino per giorni, rivedo nella mente i fotogrammi più belli.

In Like father, like son, lo scambio di due neonati in culla, comunicato alle famiglie quando i due bambini sono già grandicelli, scatena reazioni diverse.
C'è il padre che dice "Ah-ha. Ora si spiegano molte cose. Me lo sentivo che non era sangue del mio sangue, troppo diverso da me", giustificando tutti quei piccoli episodi propri della costruzione dell'identità di un bambino, lontano però dalle aspettative del padre.


La moglie si chiede ripetutamente: come ho fatto a non accorgermene subito?  L'ho portato nella pancia nove mesi e poi non mi sono resa conto che il figlio che mi hanno messo in braccio non fosse quello che avevo partorito poche ore prima? Che madre indegna sono?

Gli altri genitori, solo apparentemente dei sempliciotti, provano invece da subito ad accogliere quel bambino sconosciuto che porta i loro geni, senza pensare neanche un secondo a rifiutare quello che hanno cresciuto fin dalla culla. Più facile a dirsi che a farsi.



Koreeda non giudica, non prende posizioni. Ed è questo il suo talento.

Poi ne ho visti altri, tra cui Nobody knows. Tanto bello quanto terribile.


In questi giorni ho visto Shoplifters, palma d'oro a Cannes l'anno scorso (qui trailer in italiano).



Magnifico.
Magnifico e devastante.
Una famiglia in cui non si capiscono bene i legami di sangue o meno, accomunata dal dover sbarcare il lunario e quindi dedita al taccheggio nei supermercati fin dalla tenera età. Una famiglia in cui le persone sono sempre al centro, in cui si ride spesso nonostante la vita di tutti i giorni sia un bel casino.



Una famiglia che non esita ad allargarsi per includere nuovi membri, anche quando questa è una bambina maltrattata dai genitori, e a farla diventare figlia amata per la prima volta in vita sua, ad ogni costo. E il costo, inevitabile, è molto alto.


Scoprirsi madre e figlia perché si condividono le stesse cicatrici



Potrei andare avanti a mettere fotogrammi dei suoi film per le prossime due ore.



Allora, bon, tagliamo corto. Voi che passate di qui, li avete visti? Cosa ne pensate? Sono curiosa...
E se non li avete visti, fatevi questo regalo: guardatevi un suo film. Poi, se volete, tornate a dirmi come li avete trovati.