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Wednesday, December 18, 2019

Urlare il dolore

Ieri, come molti purtroppo, ho letto la notizia della donna di 22 anni, nigeriana, e del suo dolore urlato di fronte alla morte della figlia di cinque mesi all'ospedale di Sondrio.
Non sto qui a dilungarmi su quel che è successo dopo tra gli altri utenti presenti in ospedale. Lamentele, insulti. Pare che un totale di 15 persone - quindici - abbiano trovato opportuno esternare la loro insofferenza verso questa donna e l'espressione del suo dolore.

Amy Sherald. Mother and Child. 2016

Sui social media ho letto la reazione immediata di scandalo di tanti, tantissimi.
"È una vergogna", "Non ci sono più limiti in questa Italia! Adesso si insultano anche le madri a cui muore un figlio!", "Ma dov'è la pietà? La compassione?"
Ma a cosa serve quello scandalo? A cosa serve quella presa di distanza da certi comportamenti palesemente inaccettabili?
Non a molto altro se non a sentirsi giusti. A rassicurarsi sul fatto che noi, quella roba lì, mai la faremmo. Che noi in quella situazione ci saremmo comportati in maniera diversa. Che c'è un noi - persone non razziste - e un loro - razzisti senza cuore. A sentirsi un po' il fariseo di quella parabola che stando ritto in prima fila ringrazia il suo dio di non essere un peccatore sfigato e ignorante.

E se invece facessimo un passo oltre nell'analisi di questa vicenda?
Se invece di fermarci agli insulti pronunciati da alcuni, non riflettessimo su come in fondo questa reazione non è poi così sorprendente ed è forse solo la punta visibile di un immenso iceberg in cui le persone non bianche vengono trattate diversamente quando soffrono?
Se ascoltassimo le parole del Direttore del Pronto Soccorso di Sondrio che ammette che alla comunicazione del decesso
"Si è scatenata una reazione a cui non siamo abituati dal punto di vista culturale... (li abbiamo) lasciati scaricare un attimo... sono intervenuto sull'accompagnatrice che era la più agitata, sono riuscito a fermare un attimo l'emozionalità (?), si son calmate"
Queste sono le parole che a me hanno colpito di più, perché diciamocelo: queste potrebbero essere pronunciate da molte più persone. Prendere le distanze da queste è un filo più difficile.
"Lasciati scaricare un attimo"?! Ma sono l'unica a sentire qui una mancanza di compassione?
Se capitasse mai a me una cosa simile, vorrei che queste parole fossero pronunciate dal medico che mi comunica la notizia?!
Perché quella reazione di dolore ha dovuto essere fermata?
Solo perché non appartiene alla nostra cultura?
Perché anziché fermarla non si è accompagnata la donna in una stanza appartata in cui sfogare il proprio dolore?
Avrebbero fermato allo stesso modo lo strazio di una mamma bianca brianzola o forse con lei l'empatia sarebbe stata maggiore, perché culturalmente ci è più familiare?

Queste parole mi hanno venire in mente molte altre cose che conosco bene e che sono ghiaccio solido alla base di quell'iceberg di cui sopra:


  • Gli infermieri e i medici che non ricordano il nome e cognome dei pazienti non bianchi ("Dottoressa ha un nome cinese, vorrà mica che me lo ricordi?" Sì, minchia, sì).
  • Il tecnico di radiologia che nell'aiutare il paziente nero con dolore lombare a salire sul lettino della risonanza magnetica al verso di dolore di questi non chiede scusa, come invece non perderebbe attimo di fare se il paziente fosse bianco.
  • I medici che non hanno la stessa urgenza nel non far attendere troppo i pazienti in sala di attesa se questi non sono bianchi.
  • Il mio collega, che si dice di ampie vedute ma che appena un paziente con emicrania è nativo mette subito in dubbio che faccia abuso di alcool o droghe e, anche quando questo nega, dice "Con loro non si sa mai, magari non lo dice, ma..."
  • La mia amica senegalese che, incinta di 34 settimane e con nausea importante da due giorni, è stata rimandata a casa dal pronto soccorso per ben due volte, facendosi dire che forse esagerava con i sintomi. Era in pre-eclampsia. Ha partorito in urgenza il giorno dopo e per pochissimo non ci lasciava le penne.
  • Sempre la mia amica senegalese che qualche mese fa ha chiesto al suo medico di base di poter fare qualche esame perché troppo stanca (è una forza della natura, lei, chi la conosce lo sa). Il medico le ha detto di cercare di riposarsi. Poi un giorno è svenuta al lavoro. Aveva 8 di emoglobina. L'hanno trasfusa. 
  • La mamma nera con lattante in braccio, seduta di fianco a me al pronto soccorso, che aveva aspettato 11 ore senza che nessuno le desse una spiegazione e lei era rassegnata a non chiederne. Io che le dico "Vada a chiedere! Non è normale!" e lei che mi guarda e io capisco che quel suo sguardo dice "Tu puoi, tu sei bianca, tu puoi farti valere. Ti ascoltano in modo diverso". E ha ragione. (Poi per la cronaca è andata a bussare alla porta del triage).


E se gli episodi raccontati in modo aneddotico non sono abbastanza, so anche altro:

  • Il dolore viene trattato in modo diverso dal personale sanitario a seconda dell'appartenenza o meno del paziente ad una minoranza etnica. Non vengono, almeno non ancora, considerate le differenze culturali. Ad esempio, gli asiatici tendono ad esternare molto meno il dolore, sia fisico che psichico. Di conseguenza il sintomo non viene considerato adeguatamente ed è sottoposto a trattamento meno di frequente. Altre culture manifestano il dolore in modo molto più drammatico degli occidentali. I pazienti vengono di conseguenza considerati "esagerati" o come si è visto a Sondrio si crede talvolta che faccia parte di una tradizione. Si ha quindi la tendenza a trattarli meno. In sostanza, il messaggio è: se non soffri nello stesso modo in cui soffro io, non riesco ad immedesimarmi in te e alla fine non considero adeguatamente il tuo dolore. Si parla di racial bias implicito e inconscio. Ma pur sempre presente e che ha un impatto enorme. Enorme.
  • Per buttare lì qualche numero, negli Usa nel 2009, i pazienti ispanici avevano un rischio due volte maggiore (55% rispetto a 26%) di non ricevere alcun trattamento antidolorifico rispetto ai pazienti bianchi.
  • Ai pazienti neri con insufficienza cardiaca viene proposto meno il trapianto di cuore rispetto ai bianchi. Questo perché la decisione terapeutica si basa molto sulla discussione con il paziente e il medico, se bianco, tende a parlare meno e meno a lungo con pazienti non bianchi.
  • Negli Usa, la mortalità legata alla gravidanza è circa 3 volte maggiore nelle donne nere e circa 2 volte superiore nelle donne ispaniche rispetto alle donne bianche. Questo per la differenza di accesso a cure di qualità, relazione con il medico, presa in carico inadeguata dei sintomi. E qui ci si spiega l'esperienza della mia amica. 
Tornando all'inizio di questo post e per chiudere il cerchio, come dice un articolo scientifico recente
"queste ineguaglianze sono una manifestazione chiara di razzismo strutturale, una forma di razzismo che manca di un perpetratore identificabile, ma che è invece la codifica e la legalizzazione della inequa distribuzione di risorse e opportunità alla cui base c'è una gerarchia razziale radicata".
O, in parole più terra terra. Facile prendere le distanze da chi urla "fatela smettere" alla madre nigeriana. L'ha fatto anche la Meloni, ed è tutto dire. Meno facile è guardarsi dentro, noi tutti, soprattutto chi lavora in ambito sanitario e sociale, e scandagliare ogni nostro piccolo bias, ogni nostro pregiudizio implicito e inconscio, per eradicarlo e contribuire, piano piano, un passo alla volta, ad una società più equa. 



Precisazione
Gli studi purtroppo fanno riferimento alla realtà americana, perché ho cercato se esistessero dati relativi all'Italia ma non ho trovato nulla. Questo la dice lunga su quanto una riflessione sulla questione manchi e sia sempre più necessaria nel nostro bel paese. Se chi legge dovesse essere a conoscenza di studi, testi, articoli in materia sulla realtà italiana, li aggiunga qui sotto o me li mandi! Sono davvero curiosa ed interessata a leggerli. Grazie in anticipo.



Referenze:
-Anderson KO et al. Racial and Ethnic disparities in pain: causes and consequences of unequal care. The Journal of Pain (2009)
-Petersen EE et al. Racial/Ethnic disparities in pregnancy-related deaths - United States, 2007-2016. MMWR Morb Mortal Wkly Rep (2019)
-Handerman RR et al. Applying a critical race lens to relationship-centered care in pregnancy and childbirth: an antidote to structural racism. Birth (2019)

4 comments:

  1. Grazie, hai dato voce a un mio sempre più crescente senso di disagio. C’è tanto lavoro da fare su noi stessi.
    Do

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  2. Grazie davvero di queste rifelssioni

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  3. Trovo che, a parte le tue sacrosante riflessioni, stia venendo meno la capacita di provare a guardare il mondo da altre prospettive che non siano la nostra, e questo impoverisce chiunque

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  4. Sono d'accordissimo con tutte le tue riflessioni, posso aggiungere che una cosa analoga capitò a mio padre anni fa, quando urlava tutto il suo dolore (mi sto a rabbia e impotenza) davanti alla sua bambina allora ventenne (io) che da lì a poco sarebbe finita in coma in preda ad uno shock anafilattico.

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