Sunday, December 29, 2013

I sofficini veri

Ho visto la ricetta dei sofficini su qualche blog. Mi fa innervosire accorgermi del mio ricordo nostalgico per i sofficini. Ma caspita, ma si possono definire cibo?! E allora, com'è possibile che mi facciano tornare in mente solo bei ricordi?!* Mia mamma che li friggeva, quando il papà non c'era, e poi il mangiarceli seduti sul divano, con il tavolino della sala come tavola apparecchiata, davanti alla televisione, io, mia madre e mio fratello. Una festa, tipicamente anni ottanta.

E inutile dire che il ricordo verso i cibi dell'infanzia si fa ancora più vivido quando si sta all'estero e si è lontani dai cibi che fanno casa, soprattutto per chi è italiano. 

Bon, ecco come un giorno di novembre mi son trovata a fare i sofficini. Tornata dal lavoro, alle sei di sera. L'ho annunciato a F. "Ti va se faccio i sofficini?". Mi ha guardato un attimo perplesso, poi come sempre mi lascia fare. Alle sette e mezza cenavamo, con sofficini fumanti e filanti -questi sì, per davvero, altro che pubblicità anni ottanta -  e con F. stupito da quanto fossero buoni, e molto migliori di quelli che ricordava. A volte capita.


La ricetta l'ho presa un po' da qui, con le solite modifiche fatte da chi non riuscirà mai a seguire una ricetta dall'inizio alla fine, che usa solo prodotti biologici e che deve ragionare sul senza glutine. 


Per le basi di una decina di sofficini - senza glutine - servono:
200 ml di latte
50 g di farina di riso bruno
50 g di farina di tapioca
(le farine sono sostituibili con 100 g di farina bianca)
30 g di burro
1 pizzicone di sale
 Prima di tutto si prepara la pasta per le basi, facendo fondere in un pentolino il burro con il latte, fino a quando questo non bolle. Si aggiunge tutta la farina, senza togliere dal fuoco, avendo cura di mescolare energicamente perché si sa che le farine senza glutine son delle brutte bestie quando si vuole fare un composto omogeneo. In due minuti max il composto si staccherà dalle pareti del pentolino e sarà pronto. A quel punto io lo metto sul tagliere e ne faccio una palla che metto a riposare nella carta stagnola. Lo so, il composto è caldo, può bruciare, ma io sto sviluppando mani di amianto (e come mi ricorda F. questo non va bene vista la tossicità dell'amianto! Avere un marito che lavora in sanità pubblica, che noia!). 


Mentre l'impasto delle basi riposa, si passa al ripieno. 

Per il ripieno:
besciamella fatta con 20 g circa di burro (io vado a occhio), un cucchiaio di farina di riso bruno, un cucchiaio di farina di tapioca (o due cucchiai di farina bianca per chi non teme il glutine) e 250 ml di latte
gruyere o cheddar o fontina tagliati a cubetti

 Presto fatto, si fa una besciamella. Mia passione neanche tanto segreta insieme all'impasto per la pasta fresca e quello per il pane. Voglio dire: ma esiste esperienza migliore del vedere amalgamarsi farina, burro e latte fino a diventare una crema liscia, setosa e omogenea? Ecco, per me no. Tutte le volte mi entusiasmo e, se sono in compagnia, chiamo gli altri in casa a vedere il miracolo che per l'ennesima volta si compie. Ok, lo so, non faccio altri commenti. 
Io sciolgo in un pentolino il burro, poi aggiungo la farina e mescolo finché questa si sia intrisa completamente con il burro, infine aggiungo il latte freddo (lo so, tanti lo mettono caldo) piano piano continuando a mescolare a fuoco medio-basso, fino a consistenza voluta. La grattugiata di noce moscata è per me d'obbligo, così come quella del parmigiano. 

Ora si è pronti per confezionare i sofficini.
La pasta delle basi va divisa in dieci parti. Ogni parte va poi stesa con il mattarello fino ad avere dei dischi di 12-15 cm di diametro. Se con il mattarello non si riesce a dare una forma rotonda, si può sempre stendere la pasta tutta insieme e poi ricavarne dieci dischi usando una ciotola come formina. Io preferisco il primo metodo.
Si farciscono quindi i sofficini con un cucchiaio abbondante di besciamella e il formaggio a dadini. In alcuni io ho aggiunto una macinata di pepe fresco ed è stato un tocco speciale. 
I sofficini vanno poi sigillati usando i rebbi di una forchetta e io a questo punto rifinisco il bordo con un coltellino per renderli delle mezzelune regolari.

L'ultimo passaggio è l'impanatura, fatta con due uova felici sbattute e il pangrattato (per noi senza glutine). Vanno fritti in olio bollente per pochi minuti per lato.  


Noi ce ne siamo spazzolati dieci in due, con insalata di spinaci e un bicchiere di Valpolicella superiore del 2011. Ma qui c'è gente che deve ingrassare, quindi non facciamo testo.

*una spiegazione del perché i sofficini abbiano segnato noi bambini degli anni ottanta la si trova sul Pasto Nudo, insieme a importanti informazioni su quel che realmente contiene il sofficino prodotto industriale.



Monday, December 23, 2013

Friday, December 20, 2013

Coup de coeur

Pour cette couleur.

E per questo abito con t-shirt bianca.
Vionnet Spring Summer 2014
E per questa giacca.
encore Vionnet Spring Summer 2014
 E ancora, abito e maglietta. E ricami. E leggerezza. Ok, non c'e' partita, Vionnet vince.
toujours Vionnet Spring Summer 2014

Thursday, December 19, 2013

Io, se serve, stiro


Oggi ho sentito questa frase, pronunciata, com'è facile prevedere, da un uomo.
Io, se serve, stiro.
Aspetta, la riscrivo, che più la riscrivo più mi sale la pressione.
Io, se serve, stiro.

No, ma veramente?
Ma tu pensa. E dire che in genere la maggior parte delle donne stira anche quando non serve. Oh, conosco decine di femmine che prendono vestiti perfettamente stirati, li appallottolano, li stropicciano fino a farne degli origami e il tutto con l'unico preciso scopo di stirare anche se non serve.

Grazie, "uomo-che-se-serve-stiri". Se serve, e a questo punto serve, puoi anche levarti dal perdinci ma soprattutto scendere da quel misero piedistallo su cui hai pensato per un attimo di salire pronunciando questa frase.

Disclaimer: non si tratta del Fedi. Lui stira sí, quando serve, esattamente come faccio io. Lui stira soprattutto quando io esco, perché preferisce guardare i film stirando. Io invece stiro ascoltando il Ruggito del Coniglio. De gustibus.

Wednesday, September 11, 2013

Arcipelaghi

Constatavo or ora che io mi sono sempre sentita un'isola. E come tale le ricerco, le bramo, e trovo quella pace inscindibile dalla trepidazione solo quando metto piede su un'isola. Alla fine ci sono anche venuta a vivere, su un'isola, anche se sui generis
Constatavo pero' che, piu' che le isole, sono gli arcipelaghi che mi attraggono. 
Le isole che non sono sole. 
Le isole che sanno stare con altre isole per formare meraviglie. 
Ecco, pian piano nella mia vita io trovo le altre "isole" con cui sto bene e con cui costruire un arcipelago anche se mari, fiumi e tonnellate di acqua ci separano.


Sunday, July 21, 2013

Cielo di luglio

Dalla terrazza - from our terrace.

come delle pizzette

Ok, inutile negare che da quando la Celiachia e' tra noi, il problema pizza esiste. Va be', chiamarlo "problema" e' gia' tanto, perche' comunque di sciocchezzuole si tratta. In ogni caso la voglia di pizza ogni tanto arriva, sia a me che al Celiachindo.

Altro problema, e di nuovo stiamo a dire problema ma in realta' e' una scemenza, e' quello che attanaglia tutti coloro che nutrono, rinfrescano e fanno crescere quella gioia della vita che e' la pasta madre: cosa fare con i rinfreschi? Ecco. Io mai li butto. Piuttosto tengo in frigo un barattolo da mezzo chilo di pasta madre, ma gettarla no. Anche perche' sfido chiunque a gettare una pasta bianca, con bolle effervescenti, che profuma a meta' tra yogurt e champagne. Ma perche'? Si capisce che e' viva.

Ora, quando si dice che da due problemi nasce una soluzione (si dice? Mi sa che me lo sono inventato io adesso), un possibile risultato e' qui sotto.


Ho preso il rinfresco di pasta madre, diciamo 50-70 g circa, l'ho rinfrescata un'altra volta (quindi fuori dal frigo ho aggiunto un paio di cucchiai di farina di riso e acqua e l'ho tenuta coperta a temperatura ambiente per tre ore), dopodiche' gli ho aggiunto:

tre cucchiai di farina di ceci,
altrettanti di farina di riso bruno,
un pizzicone di sale,
un cucchiaino di bicarbonato, sempre sia lodato,
acqua q.b. fino a dare la consistenza di una pastella densa.

Ho lasciato riposare un quarto d'ora - venti minuti, quindi ho messo a scaldare un filo d'olio in una padella antiaderente (le mie son quelle di ceramica, non rivestite di teflon) e ho poi fatto cuocere a mo' di crepes un po' spesse delle abbondanti cucchiaiate di composto. Tre minuti da un lato, fino a quando sono comparse le bollicine in superficie, tre minuti dall'altro. Unica accortezza e' stata che non diventassero secche, ma restassero invece ben morbide. Come delle focaccine, in sostanza, ma cotte in padella.

Le ho poi condite con un sugo di pomodori perini freschi, sbollentati, spellati e passati in padella con olio e aglio, melanzane cotte al funghetto, mozzarella di bufala - costata un rene qui a Montreal - e ricotta di bufala. Le foglie di basilico han dato il profumo finale.
Ca va sans dire che quando mangiate in terrazzo, con un bicchiere di Soave Inama, sono il ritratto di una sera d'estate.


Saturday, July 20, 2013

Never sorry

(photo from here)



Maybe being powerful 
means to be fragile.
           
               Ai Weiwei. Never sorry, 2012.


Wednesday, July 17, 2013

Canadian graffiti


 

 
 
Un writer sognatore.  
A dreamer.

Il mio preferito, finora. La felicità è semplice. 
So far my favorite. Happiness is simple.

Wednesday, July 10, 2013

Coming home to Sicily, page 98

Finocchietto selvatico arrivato nel cesto settimanale della Ferme Cadet Roussel. Una magnifica sorpresa, ovviamente, per la ricevente che ha sangue siciliano.


Wild fennel arrived last night with the weekly delivery from the Farm Cadet Roussel. A very pleasant surprise for the one in the family that has Sicilian blood in her veins.


Ho subito pensato di provare le polpette di finocchietto selvatico che compaiono a pagina 98 del meraviglioso libro "Coming home to Sicily" di Fabrizia Lanza.
Ho quindi fatto cuocere il finocchietto in acqua bollente, non prima di averlo annusato e ammirato, e ancora annusato. Dopo 15 minuti l'ho scolato, fatto raffreddare e tritato con il coltello. Ho aggiunto un uovo, un bel po' di parmigiano, sale e pepe. Poi ho fritto il composto a cucchiaiate in olio di oliva extravergine. Questo il risultato.

I immediately thought about trying these wild fennel fritters as seen at page 98 of Coming home to Sicily by Fabrizia Lanza. So, after contemplating it and smelling it again and again, I cooked the wild fennel in boiling water for 15 minutes. Then, I drained it, let it cool and chopped it. I added one egg, some parmesan cheese (2-3 tablespoons), salt, pepper. Finally I deep-fried spoonfuls of the batter in hot extravirgin olive oil. The result is above. 

Tuesday, July 9, 2013

Quando fa caldo, io inforno muffin - When it's hot, I bake muffins

Fa un caldo pazzesco. Come sempre in questo periodo. Uno non ci crede, quando ci sono -20 gradi a gennaio, che poi a luglio si arriva a 30-32 gradi. In casa, intendo. Già, perché bella la casa all'ultimo piano con tante finestre tutte rivolte a sud, eh, proprio bella. Ecco, piccolo inconveniente. Fortunatamente l'unico.
E in questi giorni di caldo, bisogna comunque trovare una soluzione per la colazione. Che mica possiamo mangiare gallette al grano saraceno e marmellata tutta l'estate! Almeno, io no.
Ne ho quindi approfittato domenica pomeriggio, che sembrava fare un po' più fresco. Ho pensato fosse il momento giusto per un po' di sano masochismo da forno acceso a 180° C.
Cake, come al solito con quel che c'è in casa. Apri la dispensa, guarda in mezzo alle farine. Scegli. La scelta e' caduta su: farina di cocco (li' da mesi, ovvero da quando e' avvenuto il cambio delle farine), cioccolato che chiedeva giustamente di essere immolato al grido di "Se proprio devo squagliarmi, che sia in un forno tra burro e zucchero", albicocche secche.
Mi appresto a fare il cake, poi però penso che va bene essere masochista, ma una cottura da 50 minuti in forno mi pare troppo. Allora ripiego su delle specie di muffin. C'ho la resistenza a fare i muffin, perché in genere non mi piacciono, che posso farci. Anche quando li faccio, dico che sono delle specie di muffin. Crisi di identità culinarie.

200 g di farine (100 g di tapioca, 50 g di riso bruno, 50 g di cocco)
100 g di zucchero
un cucchiaino di lievito e uno di bicarbonato
3 uova
100 g di burro fuso
una manciata di albicocche secche
cioccolato fondente (90%) a piacere
70 g di latte circa

Tagliare a pezzetti le albicocche e il cioccolato. Tenere da parte.
Preriscaldare il forno a 180°C.
Mescolare le farine insieme, poi aggiungere lievito e bicarbonato e ancora setacciare. Aggiungere lo zucchero.
In un'altra ciotola sbattere le uova, aggiungere il latte e poi il burro fuso. Unire il composto secco a quello umido, infine aggiungere le albicocche e il cioccolato. Resta un composto piuttosto asciutto, ma è meglio evitare di aggiungere altro latte, perché la farina di cocco è piuttosto fetente e con il cavolo che fa lievitare i muffin, o insomma quelle tortine lì.
Mettere il composto in stampi da muffin imburrati e infarinati. Cuocere in forno per circa 20-25 minuti (prova stecchino docet). Far raffreddare su una gratella per dolci.

Comunque me la sono cavata con una cottura da 20-25 minuti. Eccellente.
E lunedi mattina a colazione hanno fatto il loro serio dovere di farci iniziare bene la settimana. Gallette, arrivederci.



It is damned hot. As usual in this time of the year. One cannot believe it, when it’s -20° C outside in January, that later on, in July, it will go up to +30-32°C. I mean, inside, at home. Yes, because  the apartment at the top floor with many windows, all south-oriented, it’s gorgeous. Yes, beautiful indeed. Except for a little drawback. Luckily the only one. 
And in these hot days, one has to find the solution for breakfast anyway, because we cannot have buckwheat crackers with jam all summer! At least, not myself. 
Therefore, I took advantage of a minimally cooler Sunday afternoon to experience a little bit of masochism and turn on the oven to 350°F. 
For a cake, as usual, with what I find in the kitchen. Open the pantry, look among the different flours, and then choose. My choice ended up including coconut flour (in the cupboard for months, namely since we had to change all the flours), dark chocolate begging for being sacrificed yelling “If I have to melt, at least be it in the oven mixed with butter and sugar!”, dried apricots. 
I start mixing the ingredients, then I realized that a little bit of masochism can be ok, however 50 minutes of oven-baking it’s way too much. That’s why I fell back for a sort of muffins as opposed to the cake. I am resistant to say “muffins”, because I generally don’t like them. Even when I bake them, I say that they are “sort of” muffins. Culinary identity crisis, that’s it. 

200 g of gluten free flour (100 g tapioca, 50 g brown rice, 50 g coconut)
100 g sugar
A teaspoon of baking powder and one of baking soda
3 eggs
100 g of melted butter
A handful of dried apricots
Dark chocolate (90%)
70 g of milk, approximately

Cut in small pieces the apricots and the chocolate and set aside. Preheat the oven at 180°C (350°F).
In a bowl, combine together the flours, then add the baking powder and baking soda, and sift again. Add the sugar. 
In another bowl, mix the eggs with the milk and the melted butter. Then, put together the flour mix and the eggs mix. Finally add the chopped apricots and chocolate. The batter will be quite dry, but resist from adding more milk because the coconut flour can be quite a b*tch and the muffins – better, the sort of -  might not rise as they are supposed to. 
Put the batter in a buttered muffins plate. Bake in the oven for approximately 20-25 minutes (use the toothpick to assess if they are ready). Let cool on a rack.

In the end, I got away with a 20-25 minutes baking. Excellent. 
And the sort-of-muffins did a very good job on Monday morning, helping us starting the week with the right foot. So long, buckwheat crackers! 





Friday, June 14, 2013

Budini alla vaniglia e rabarbaro per un venerdi sera


Capita che si invitino a cena due persone praticamente sconosciute. E che queste persone siano autoctone, ovvero quebecois. E che in quanto quebecois, quando si dice loro "Venite all'ora che volete", loro ti dicano "Allora va bene cena alle cinque e mezza?". Ecco, capita.
Capita allora che se la cena è in un normale venerdì di lavoro, ci si debba organizzare in anticipo.
Il giovedì sera, ad esempio. Il Celiachindo ha l'allenamento di dragon boat e io sono a casa sola; la cucina in questo periodo dell'anno e' inondata di luce.

Io prendo un pentolino, ci metto dentro mezzo litro di latte e lo porto a ebollizione con una stecca di vaniglia dentro. Non riesco a non sporcarmi le mani con i semini neri, mi piace troppo sentire poi l'odore di vaniglia sulle dita.
Poi prendo un altro pentolino, ci metto dentro due cucchiaini di farina di tapioca, 50 grammi di zucchero grezzo, un uovo. Sbatto bene in modo che sia una bella cremina schiumosa e bianca. Intanto il latte arriva a sobbollire. Ne verso un po' sul composto di farina zucchero e uova e mescolo bene per sciogliere bene farina e zucchero. Quando la crema è liscia, aggiungo il resto del latte, di nuovo mescolo bene. Poi porto il tutto di nuovo sul fuoco, basso, e continuo a mescolare fino a quando non bolle e diventa pian piano una crema densa. La prima volta che l'ho fatto ad un certo punto ho pensato di dover buttare tutto, perché erano comparsi dei grumi. In realtà non sono grumi, ma il budino che si addensa poco alla volta. Se si continua a mescolare, poi la crema diventa densa e omogenea. 
Finito. Spengo il fuoco. 
Intanto metto in quattro barattolini di vetro due cucchiaini di composta di rabarbaro per barattolo. La spalmo bene sul fondo. Infine verso, con un cucchiaio, la crema di vaniglia sulla composta. 

Lascio raffreddare. So che ci vorrà tempo perché il sole è ancora alto e il ripiano della cucina non solo è in pieno sole, ma è pure nero... Quando mi accorgo che le formiche sono in agguato, come sempre in questi giorni di primavera, copro i barattolini con il loro coperchio.
È già sera tardi, e il Celiachindo è tornato dall'allenamento, quando posso mettere i budini in frigo. 
Uno l'ho tenuto fuori per lui, per lo sbrano da post dragon boat. Se lo sbafa in quindici secondi netti e, credo, tre cucchiaiate. Fa in tempo ad intervallare la degustazione con un "Buono" (prima cucchiaiata), "Solo che il rabarbaro è sul fondo..." (seconda cucchiaiata), "... però quando prendi anche il rabarbaro è la morte sua" (terza e ultima cucchiaiata).







Sunday, June 9, 2013

Domenica sera di inizio estate - Early summer Sunday night

English version below.

Domenica di inizio estate.
Risotto con le ortiche fresche, colte ieri da Melina e François, caprino Saint-Clement e prosecco di Valdobbiadene, sulla terrazza.

A fine cena, dopo parole scambiate per scacciare la malinconia di attese disattese e condividere la nostalgia per gli affetti lontani, Qualcuno ci regala questo cielo.


Early summer Sunday Night.
Risotto with nettle freshly picked by Melina and François, Saint-Clement goat cheese and Valdobbiadene prosecco, on the terrace. 

At the end of the dinner, after talking and whining about waiting and missing friends, Somebody upstairs gives us this colorful sky as a gift for the end of the day.

Sunday, April 28, 2013

Domenica.

La nostra domenica.

Niente di diverso dalla solita routine domenicale.
Sveglia, colazione, messa.

Poi a mezzogiorno siamo andati a prendere Lui in albergo.  Ci aspettava già fuori dall'albergo, con venti minuti di anticipo. Noi eravamo un po' agitati, poi invece Lui era così umile che tutto è stato molto spontaneo.
L'abbiamo portato a fare il brunch da Fred. Appena salito in taxi, ci ha rivolto la sua prima domanda: "E voi che ci fate qui?".
Intendeva a Montreal. Io gli ho sorriso, imbarazzata, poi il Fedi gli ha spiegato come mai siamo qui.
La seconda domanda è stata: "E siete sposati?". Il Fedi ha risposto: "Sì". Io ho aggiunto: "Sì, insieme, io e lui". Si è messo a ridere. Evidentemente ero proprio un po' emozionata.

Anche Fred era emozionato. Ha letto molti suoi libri e lo ama.
Infatti ci ha offerto lui il pranzo, Fred, a tutti e tre. Dicendo a Lui: "È il minimo che possa fare, per tutti i libri che lei mi ha dato".


Abbiamo mangiato insieme. Ci ha fatto un sacco di domande. Lui a noi.
Dopo pranzo l'abbiamo riaccompagnato in albergo. Lui ci ha detto che andava a preparare la valigia per liberare la stanza, ma di aspettarlo nella hall. È andato su in camera, dopo cinque minuti era già sceso con la valigia. Non era una valigia. Era uno zainetto minuscolo. Ci ha detto che tanto per due giorni non gli serviva granché e che anche fosse stato via due settimane avrebbe avuto lo stesso bagaglio, che si lava i vestiti.
Siamo stati lì a chiacchierare, ci ha dato il suo indirizzo e-mail per la prossima volta che passa di qui. Ci ha firmato un suo libro scrivendo:
"A Roberta e Federico, insieme a primavera canadese. Erri"
Poi io gli ho detto: "Vado a comprare un suo libro per Fred, così le faccio fare una dedica e glielo regaliamo". Lui ha detto: "Buona idea. Lo faccio io". Così è sceso nella libreria, ha scelto un suo libro, se l'è comprato (con tanto di commesso alla cassa che gli ha augurato "Buona lettura!") e ha scritto una dedica a Fred. E ce l'ha dato dicendoci: "Avete avuto proprio una buona idea".
Poi siamo stati alla sua conferenza, e alla fine l'abbiamo ringraziato per la giornata e il regalo di aver passato del tempo con noi. "Grazie a voi che avete sopportato tutte queste chiacchiere".
Spero di rivederlo presto. Qui, la nostra casa è aperta per Lui.
È stata una domenica di grazia.

PS l'antefatto è che ieri sera alla prima conferenza, il Fedi, quando gli abbiamo fatto autografare un libro, ha avuto l'idea di invitarlo fuori a cena. Così, tanto al massimo ci diceva di no. Non poteva a cena, ma era libero a pranzo, ci ha detto. "Venite a prendermi qui in albergo. Io sto qui e vi aspetto a mezzogiorno". Così, niente di più di questo.

Thursday, February 28, 2013

A piccoli passi - little by little

English version below

Ci stiamo abituando al nuovo regime.
Non è sempre facile, anzi, ma i momenti più difficili sono poi compensati dalle, per ora piccole, soddisfazioni quando le cose in cucina finalmente riescono. Era dai tempi dell'arrivo qui in Canada che non mi capitava di passare da inaspettate delusioni ad altrettanto inattese soddisfazioni culinarie. Pensandoci, son le farine che mi han sempre fatto dannare da quando siamo su suolo canadese! Prima la scoperta che la semplice farina bianca di frumento non è uguale da questa parte del mondo- alla faccia se non è uguale - e adesso l'ingresso forzato nell'universo delle farine senza glutine.

Anche a me come a F. ci è voluto un po' per accettare alcune cose. Per F. è stato lo scoglio "birra". Ce l'avevamo nel frigo, comprata da me, e lui morire se la voleva bere. La prima volta l'ho assaggiata io. Ci son volute settimane, prima che l'accettasse, adesso è il primo sostenitore della Glutenberg che guai se manca in casa.

Per me lo scoglio è la pasta madre. Caspita, una tristezza lasciare quella vecchia. Vederla li' nel frigo di settimana in settimana invecchiare e non poterla usare. Sapendo quanto "brava" era e quanto ci era voluto a farla crescere cosi' sana e forte. E adesso facevamo meraviglie insieme! Il pan brioche che in una notte lievitava e strabordava, la pizza, il pane, ... Ecco. Doverle dire: "Ciao amica, non si lavorerà  più  insieme". Ok, avevo già  pensato di darla a S., affidarla in buone mani in cui avrebbe continuato a produrre meraviglie. Ma... Ma. Non c'e' altro da dire.

Poi un giorno mi son decisa. Credo di essermi convinta semplicemente perché  nelle cose ci vuole tempo, soprattutto in quelle difficili da accettare. Sicuramente un piccolo aiuto mi è venuto dal video su youtube di Mary Valeriano. Non ho mai visto una cuoca cosi': vestita da sera, con una sensualità  molto sudamericana che traspare anche mentre spiega come creare un lievito madre senza glutine. Cioè , non potevo non provare.

Diciamo che mi sono vestita in modo un po' più  sportivo, ma per il resto ho seguito passo passo quel che dice lei. No, non è vero (niente, io non riesco a seguire una ricetta per intero), ho messo farina di arrowroot al posto della manioca, solo perché  in casa avevo quella e il motivo per cui ce l'avevo è... per il nome. Come si fa a non provare una farina che deriva da una cosa tipo "radice di freccia"?
Ecco quindi la mia nuova amica. Fatta di farina di riso bianco, farina di arrowroot e acqua in parti uguali. A cui ho aggiunto mezza mela - ovviamente bio, ovviamente del Quebec - grattugiata.
Dopo una settimana questo è  il risultato. La rinfresco ancora ogni 4 giorni, la mantengo in frigo, le parlo (si' purtroppo le parlo, non depone a favore della mia sanità mentale, ma tant'è ) e lei sta benone. Profuma di buono e ha già dato prova di essere una in gamba. E poi, sarà che io la guardo con gli occhi dell'amore, ma la trovo pure bella...




We are getting used to the new diet. 
It's not always easy, not at all, but the toughest moments are then counterbalanced by the  little (so far) gratifications when things work out. It has been quite a long time, since I arrived here in Canada in 2010, that I haven't experienced so unexpected deceptions followed by equally surprising culinary satisfactions. Thinking about it, it's all about flours. Flours have always turned me crazy since our arrival here in Canada. First came the discovery that the simple white all purpose flour is not the same on this side of the ocean, indeed! And now the undesired, obliged entry in the gluten-free world. 

As for F. I need time to accept certain things. For F. it happened with beer. We had it in the fridge, because I bought it, but he didn't want to try it. I was the first to taste it. Weeks passed before he decided to give it a try, and now is a big fan of glutenberg at the point that we never run out of it. 


To me, I had to work on sourdough. How sad to leave my old beloved sourdough in the fridge. How sad to see it there in the fridge getting old week after week without using it. Even more frustrating, knowing how good it was and how long it took to make it so healthy and strong. I had to say goodbye just in the times in which it was at its best. Pan brioche incredibly rising in just one night, pizza, bread... I had to say: "Goodbye my dear, we will never work together anymore". Ok, I already planned about giving it to my friend S., thus in very good hands. But... That's it, there nothing more to say. 


Then, one day I decided. Probably it was just about time, because especially with though things you just need time. For sure a little help came from this video by Mary Valeriano (I apologize, it's in Italian). Look at it! I have never seen such a cook. Dressed up as if she was at a date, with that typical Latin sensuality that shows through even while she explains how to make gluten-free sourdough, I couldn't help give it a try. 


Let's say I dressed a little more casual, but for the rest I simply followed every single step of her procedure. No, it's not true (no way, I can't follow a recipe), I substitute manioca flour with arrowroot, but just because that was what I happened to have at home. And, of course, the reason why I happened to have arrowroot flour was because of its name. Arrowroot. Never heard about it before. I doubt it exists in Italy. 

So, let me introduce you my new friend. She is made with white rice flour, arrowroot flour and water in equal parts. I added to this 1/2 apple, grated (no need to say, Quebec organic apple). 
After one week, this is how she looks like. I still refresh her every 4 days and keep it in the fridge. I talk to her (I know, it does not sound in favor of my mental health, but that's it) and she's super well. She smells good, and she already proved us to have a good potential. And last but not least, maybe it's just me that I love her, but I think she is pretty...