Monday, April 25, 2016

25 aprile


E come lo spiego, il 25 aprile, al Sig. Tenace?
Come insegno, a lui che è cittadino italiano da due settimane e che vive a seimila km dall'Italia e mai ci ha messo piede, l'importanza della data di oggi?
Come glielo racconto?

Mi sono messa a cantare.
Non mi è venuto in mente altro questa mattina prima di venire al lavoro.
Prima questa, a colazione:



Poi questa, mentre mi preparavo:




E per stasera mi riservo questa, meravigliosa, perché voglio che impari che il 25 aprile non è finito nel 1945:




[Non so quanto il messaggio stia passando visto che, mentre cantavo, il Sig. Tenace mi tirava la manica dicendomi: "Mamma, mamma, Stella stellina! Stella stellina!". Più tardi, Sig. Tenace, adesso ascolta queste.] 

Thursday, April 21, 2016

Just beyond my front door... quelli con problemi di vista.

Poi ci sono quelli strani, come il commesso della libreria in cui siamo stati il Sig. Tenace ed io ieri mattina.
Uomo sui trent'anni, tipico canadese alto e biondo. Come da copione, ci vede, ci osserva, ci ascolta. Dopodiché, diversamente dagli altri, ci dice, in un buon italiano con accento anglofono:
"Parlate italiano! È la vostra prima lingua?"
"Per me sì, per lui la prima lingua è il cinese"
(con evidente stupore): "Ah sì?! Cinese?! E... come mai?!"
"..."

Ho avuto l'impressione che anche il Sig. Tenace l'abbia guardato con aria perplessa.






Friday, April 8, 2016

Just beyond my front door

Così si chiama l'effetto vissuto dalle famiglie adottive transrazziali che consiste nel suscitare facili commenti in chiunque si incontri non appena varcata la soglia di casa.
Tra l'altro, pare che i bambini adottati vivano con disagio tanto i commenti negativi (es. "Devi ringraziare i tuoi genitori che sono venuti a tirarti fuori dalla merda!", rivolto al Sig. Tenace da una signora mentre eravamo fermi ad un semaforo, in bici) quanto quelli per modo di dire positivi (es. "Dalla Cina? Ma allora diventerà un eccellente violinista o un ingegnere informatico!"). In altre parole, la sofferenza è creata dall'essere costante oggetto di commenti, più che dal contenuto dei commenti stessi.  D'altra parte, è arcinoto il desiderio di bambini ed adulti adottati tramite adozione transrazziale di potersi semplicemente mischiare alla folla.




Fin dal ritorno dalla Cina, il nostro magico trio familiare era pronto a dover affrontare ogni sorta di commento da parte di conoscenti o passanti.
Non avevamo però considerato che l'effetto Just beyond my front door può assumere caratteri particolari in una città come Montreal, che fa della multiculturalità una bandiera. Qui capita di frequente di essere sull'autobus e di notare persone a cui non si riesce bene ad assegnare una razza, probabilmente perché derivano da un mix di più razze e io l'ho sempre trovato affascinante.
Non avevo però mai pensato che potessimo noi essere oggetto di quegli stessi sguardi. Se è vero che probabilmente in Italia la nostra coppia sarebbe facilmente identificata come mamma-figlio adottivi, con conseguenti esternazioni, quando vado in giro da sola con il Sig. Tenace per Montreal più di una volta ho ricevuto il commento:
"Siete peruviani, vero? O cileni?". 
Peruviani? Cileni? Io e il Sig. Tenace?
Poi capisco: io, piccola brunetta dai tratti mediterranei potrei sembrare ispanica e i lineamenti asiatici del Sig. Tenace vengono presi per andini, ergo l'unico gruppo etnico in cui entrambi possiamo rientrare insieme si situa in Sudamerica.

Il Sig. Tenace ed io, in tutta la nostra somiglianza fisica


Quando siamo in giro tutti e tre, le cose si complicano. In effetti il trio "spilungone dalle sembianze teutoniche + morettina mediterranea + bambino asiatico" non rientra in nessuna razza o gruppo etnico noto e l'ipotesi mix razziale non funziona.
Gli sguardi interrogativi allora chiedono aiuto alle orecchie, cercando nelle nostre voci indizi che possano chiarire la nostra appartenenza, ed è a questo punto che i punti di domanda anziché trovare risposte, diventano ancora più grandi.
Ecco quindi che, con nostra enorme sorpresa, il commento in assoluto più frequente che riceviamo da otto mesi a questa parte è
"Ma che lingua parlate?!"

Mai ce lo saremmo aspettato. Ovviamente la nostra risposta è "italiano", al che, di nuovo, gli sguardi interrogativi che cercano di piazzarci in qualche parte nel mondo, non trovano risposta e di solito l'interlocutore conclude con "Ah." e resta perplesso.
Io a volte mi chiedo se queste persone si domandino se per caso non esista un qualche staterello - che ne so, un principato sui monti Urali - in cui si parla italiano, abitato da un tale mix di tratti somatici. Poi dipende dalle circostanze, a volte diamo qualche informazione in più, giusto per soddisfare le curiosità (siamo italiani, ma viviamo qui, e lui è di origine cinese), altre volte lasciamo l'estraneo alle sue ipotesi.

Quel che è certo è che il Teodolindo ed io siamo contenti di condividere con il Sig. Tenace le attenzioni e i commenti. Avrei detestato che fosse da solo a gestire questa sensazione ed invece credo che alla fine sia buona cosa per lui e per noi vivere insieme questo fenomeno, questo sentirsi inclassificabili, che no, non è simpatico, ma d'altra parte sembra essere inevitabile.




[Per chi volesse approfondire l'argomento, due spunti:

-l'articolo pubblicato sull'American Journal of Community Psychology

-"The hardest part about growing up as a transracial adoptee"]