Monday, May 28, 2018

Questione di aspettative

Da cinque settimane il Teodolindo è in congedo di paternità e lo sarà fino a fine agosto.
Le sue aspettative sono cambiate con il tempo.

Tre mesi fa: "Quando io sarò in congedo, mi piacerebbe ridipingere la scala" (ehehehe, era il mio sorrisino che sottintendeva "vedremo...")

Quattro settimane e quattro giorni fa: "L'obiettivo di oggi è stato riuscire a mettere il mio piatto nella lavastoviglie". Lo so, lo so. 

Oggi: "Scusa, la casa è un disastro, ma lo sai, il lunedì è sempre un giorno duro con la SignoRina". Non ti preoccupare, ci sono passata anch'io.

Cioè, voglio dire, già solo per questo ridimensionamento delle aspettative e per il mettersi l'uno nei panni dell'altro, il congedo parentale andrebbe sempre condiviso.

Tuesday, May 15, 2018

La cosa che più mi manca dell'Italia

Non è la pizza.
Non è la mozzarella.
Non è il clima.

Sono loro.
È lei.

L'eleganza degli uomini italiani.





Ahhh.
Ditemi, o voi che leggete, se non sono magnifici. Mi sembra anche di sentire il profumo di dopobarba.


È qualcosa di naturale, per nulla pretenzioso. Sanno vestirsi e ci tengono a farlo. Indipendentemente dall'età, dall'estrazione sociale, dal luogo in cui vivono, dal lavoro che fanno. Sanno apprezzare un bel maglione, per non parlare di un completo giacca e pantalone. Sanno quando vestirsi di lana o di cotone o di lino. Anche il jeans è indossato sapientemente. Nulla è lasciato al caso. Sanno che anche per andare a comprare il giornale la domenica mattina in edicola ci si veste decentemente. E "decentemente" per l'uomo italiano equivale a quel che nel resto del mondo è uno standard altissimo.




Pensate che vostro padre o vostro cugino o vostro marito si vestano male? Pensate che quest'attitudine non si applichi a chi conoscete?
Voi. Non avete. Idea. Se non siete stati qui in Canada o negli Usa (ok, eccezion fatta per NYC), voi non sapete cosa voglia dire vedere uomini a cui non interessa l'abbigliamento e lo stile. Qui letteralmente gli uomini per lo più si vestono per coprirsi, salvo rare eccezioni che mi fanno voltare per strada, e spesso sospetto si tratti di italiani.

Anni fa, forse ero qui da appena un anno o due, una segretaria sulla cinquantina mi raccontò di essere stata in vacanza in Italia con suo marito. "Sai cosa mi ha colpito di più?", mi disse, "Gli uomini. Sono tutti così... così effeminati! Con la sciarpa al collo, e la camicia,... e poi profumano!". Pare che il marito non si capacitasse di come facessero a essere così attenti e soprattutto si chiedeva come mai lo fossero. Capito? La cura di sé vista in modo dispregiativo.





Il problema è che l'eleganza degli uomini italiani credo che in parte sia innata, ma molto sia influenzata dal contesto. Se attorno hai colleghi, amici, parenti che si vestono bene, tu pure ci stai più attento. Quando ho conosciuto il Teodolindo, mi aveva colpito proprio la cura con cui si vestiva. Ricordo ancora, e pure lui, cosa indossasse al primo appuntamento. E anche al secondo. Non troppo elegante, ma sicuramente ricercato e attento ai particolari.
E ora? Ora... è una dura battaglia. Se ne accorge che gli standard con cui si confronta sono molto più bassi e si rende conto che a volte perde colpi. Quando poi torna in Italia è come con la bicicletta - non ti dimentichi come si pedala - ed allora eccolo che arriva la crisi di identità ed escono frasi come "Non ho niente da mettere", "Sono sciatto", "Ho solo vestiti vecchi, dobbiamo andare a fare spese".

E puntualmente torniamo a Montreal con le valige piene e con un vestito, se non due, di Boggi, comprati all'aeroporto.






Tutte le immagini sono prese dal sito di The Sartorialist.






Wednesday, May 2, 2018

Italiani quanto basta

Oh, continuiamo la chiacchierata iniziata qui da me e proseguita qui da Alice. Se volete unirvi, sedetevi comodi, prendete una tazza di tè e partecipate alla ciacolata.  

Qualche settimana fa sono andata in consolato per ritirare il passaporto italiano della SignoRina. Come spesso capita quando vado in consolato, ero ambivalente: quasi eccitata all'idea di avere finalmente tutti e quattro almeno un passaporto in comune, nostalgica per il toccare un po' di suolo italiano, scoglionata perché non sai mai cosa può capitare in termini di sorprese burocratiche.
Quel giorno ero particolarmente di buon umore. Dovevo solo ritirare il documento, quindi mi sono seduta nella sala d'aspetto che ormai conosco bene. Ho dato una rapida occhiata ai soliti due poster appesi al muro, uno con un panorama della costiera amalfitana, l'altro del lago Maggiore, e ho scelto la sedia che meglio mi facesse vedere la televisione su cui andava in onda la Prova del Cuoco.



Due paesaggi, la voce di Antonella Clerici, la preparazione di pasta fresca ripiena e l'accento romagnolo del cuoco in gara. Tutto era familiare al punto da neanche accorgermene. 
Finché non sono entrati. Altri due italiani. Sicuramente italiani, avevano il passaporto. Erano lì in consolato come me. Nel nostro consolato italiano.
Solo che uno dei due, donna, non parlava italiano. Parlava solo inglese e chiedeva informazioni riguardo a determinati documenti. 
L'altro parlava un italiano stentato misto a termini dialettali di qualche parte del sud Italia. Suo padre era morto e non sapeva come comunicarlo al comune di origine: "Non l'ho uscito quel documento", "Non l'aggio ancora sbrigato". 

Anni fa mi avrebbero irritato e avrei pensato con stizza e superiorità che quei due non erano italiani. Sì, va be', avevano il passaporto, ma non erano italiani veri. Non come me. 
Poi, conoscendone qualcuno, di quegli italiani di seconda o terza generazione, ho capito che spesso sono più affezionati all'Italia di me, che ci tengono al mantenimento delle tradizioni, hanno l'orto in cui piantano zucchini e melanzane, fanno ogni anno il sugo di pomodoro in casa per l'anno a venire, e venerano il pranzo della domenica come un'occasione immancabile per ritrovarsi in famiglia. Si sposano spesso tra italiani, loro, e vivono tutti o a little Italy o a St. Leonard, che è il nuovo quartiere italiano di Montreal. Sanno chi è Renzi e chi è Salvini e vanno a votare. Li conosco, dicono "cotto" e "butti" invece di cappotto e stivali (da coat e boots), cantano le canzoni dei Ricchi e Poveri e quelle di Toto Cutugno.  

Ma chi sono io per dire chi è italiano veramente? Per giudicare chi ha diritto di sentirsi tale? 
Oggi penso che, passaporto a parte, ognuno è quello che si sente di essere. 



Quel giorno in consolato un lampo mi ha attraversato la mente.
I miei bambini. Quella SignoRina di cui stavo per ritirare il passaporto e che per ora è ancora solo canadese, lei diventerà così? Sarà vista così dagli italiani nati in Italia? 
E il Sig. Tenace? Su, facciamoci una risata: quale italiano d'Italia lo considererà davvero italiano? Ok, parla italiano, ha il passaporto e una famiglia italiana, ma è nato in Cina ed è asiatico, su questo non ci piove. Quante volte si sentirà dire "Ma tu di dove sei? Ho capito che sei italiano, ma veramente di dove sei?"

Entro in una spirale.
Guardo i due poster. Io non ho bisogno di leggere la scritta sotto per capire dove sono quei luoghi, ma per i miei figli? Saranno posti esotici? Il Sig. Tenace non sapeva neanche cosa fosse Milano fino a qualche tempo fa...

Ancora più giù nella spirale.
Penso a quando il Sig. Tenace gioca ad essere un uovo e mi dice: "Mamma, pondami!" (pondre un oeuf, in francese) o quando canta Tanti auguri a te dicendo "Bonne fete to you!". Io sorrido, illusa del fatto che la lingua italiana gli scorra dentro e gli sia innata come lo è per me e per suo padre, che neanche ci rendiamo conto di quanto ci sia letteralmente "madre" lingua.

E poi in fondo alla spirale, il solito pensiero. 
Loro si sentiranno sempre fuori luogo ovunque. Noi ci facciamo il culo perché loro possano essere cittadini del mondo e sentirsi a casa tanto qui, quanto in Italia e, per uno dei due, pure in Cina, ma la verità vera è che loro, in ognuno di questi luoghi saranno sempre un po' stranieri. Non completamente Canadesi, perché figli di immigrati, non completamente italiani perché in Italia non ci avranno vissuto, non completamente cinese perché cresciuto in una famiglia italiana. 

Io e il Teodolindo abbiamo fatto la scelta di vivere altrove, forti dei nostri piedi ben piantati nelle radici italiane con cui inevitabilmente ci accordiamo come con un diapason. Ma loro? Abbiamo puntato sulle opportunità che questa scelta offre loro in termini di esposizione a più culture e lingue e di un paese come il Canada che fa della diversità la sua forza. Ma gli abbiamo tolto un'identità chiara. 
Dovranno farci i conti, loro.
Come in un bassorilievo, dovranno costruire la loro identità e la loro bellezza sull'equilibrio tra i pieni e i vuoti.