Thursday, November 27, 2014

Molte cose mi sono piaciute a New Orleans

Ha iniziato il Mississipi. Sarà perché era una giornata di sole, sarà perché è un fiume con una storia importante, ma mi è piaciuto e mi ha emozionata.


Poi mi sono piaciuti i rangers che suonavano il jazz, gratis, al museo della zecca, alle due di un pomeriggio qualsiasi. Il fatto che intervallassero i brani con racconti sulla storia del jazz a New Orleans me li ha fatti piacere ancora di più.
Se avete in programma un viaggio da quelle parti (che so, Silvia?), tenete d'occhio il sito Music at the Mint.



Poi mi è piaciuta, moltissimo, la swamp. Come si traduce swamp? Palude?
Mi aspettavo fango, alligatori che attentavano alla mia vita, sabbie mobili e nebbia in cui sarei scomparsa, al punto che la sera prima ho mandato un messaggio a mio fratello dicendo "Se domani sera non mi senti, invia in missione a cercarmi Bianca e Bernie!" La sua risposta, serafica: "Devi prima mandare un messaggio in una bottiglia". 


Invece ho trovato alberi magnifici, che non avevo mai visto, acqua piatta come una lama, e orsetti lavatori curiosi e golosi. 




Orsetti lavatori golosi: adesso apro una parentesi.
Il Teodolindo si trovava a New Orleans per partecipare al congresso dell'Associazione Americana di Sanità Pubblica, che includeva anche una sezione sulla Food Insecurity - o insicurezza alimentare- ambito di lavoro del Teodolindo. Già faceva ridere che se ne parlasse in Louisiana, dove l'obesità la fa da padrona e non sai dove comprare cibo sano. Ma la ciliegina sulla torta è che tutti gli animali della swamp, alligatori e orsetti in primis, vengono adescati a botte di marshmallows lanciati dalle barche dei turisti.
Il Teodolindo, sconsolato, ha potuto concludere che in Louisiana anche gli animali selvaggi soffrono di Food Insecurity. Pazzesco.

Proseguiamo.
Poi mi è piaciuto molto questo vestito, in una galleria d'arte del French Quarter. Credo fosse un'opera d'arte in esposizione, ma io l'avrei provato subito.


Poi mi è piaciuta la mostra di Basquiat all'Ogden Museum of Southern Art, ma non ho fatto foto.

Poi, sempre al museo, mi sono piaciute tantissimissimo queste due teiere.
Che belli i musei dove ci sono le ceramiche che si possono toccare!




Infine, ma vince il premio di cosa più bella vista a New Orleans, mi è piaciuta la galleria di Cathy Rose. E anche qui si poteva toccare tutto.


Di quest'opera qui sopra, intitolata Waiting, mi sono innamorata e l'avrei anche comprata. 
Avendo ripetuto il concetto più di due volte, pensavo che il messaggio fosse arrivato alle orecchie del Teodolindo. Vista, però, l'assenza di riscontro, ho allora adottato la strategia di stazionare davanti all'opera a tempo indeterminato, fino a quando il Teodolindo non fosse venuto a dirmi "Ti piace proprio? Vuoi davvero che la compriamo?". 
Lui ha adottato la strategia di uscire indifferentemente dalla galleria e aspettarmi fuori. 
Ha vinto la sua, di strategia.





Monday, November 24, 2014

Oppure...

Avevo in mente di scrivere del lungo fine settimana en amoureux con il Teodolindo a New Orleans. Avevo anche pensato di accennare al fatto che l'unica cosa non bella di questi quattro giorni al sud è stata la mia gastroenterite, presa da un pargolo di otto mesi tanto adorabile quanto virulento.  Poi questa sera, cucinando, proprio nel tentativo di rimettermi in sesto, ho pensato

oppure

oppure il puré.

Oh, puré di patate! Ma perché nessuno ti ha ancora scritto un'ode degna del tuo valore!

Il puré di patate, fatto come si deve, è il cibo che cura.
Cura nel dare nutrimento, per il corpo e per lo spirito: le patate, il burro e il latte si occupano del primo, l'affetto e il tempo di chi lo ha preparato del secondo.

Stasera me lo sono preparato da sola, e mentre rimestavo con il cucchiaio di legno, mi perdevo in questi pensieri. A tavola li ho condivisi con il buon Celiachindo, che non solo si è spazzolato il puré, ma si è pure pulito la pentola con il cucchiaio di legno - dice che quello che resta sul cucchiaio è il puré più buono - fino a sporcarsi letteralmente i baffi e la barba.

Scrivo la ricetta, patrimonio comune di chiunque sia stato bambino in Italia, semplicemente perché anche solo rileggerla fa stare meglio, nel ricordare tutte quelle mani di mamme, nonne, papà, compagni che chissà quante volte ce l'hanno preparato per prendersi cura di noi.

quattro patate di media grandezza
un bel pezzo di burro, buono
latte
sale

Si fanno bollire le patate, con la buccia. Quando si riesce a puntare bene la forchetta nelle patate, le si scola e subito le si passa con lo schiacciapatate, dentro ad un'altra pentola. Subito.
Si aggiunge una grossa noce di burro e si mescola, portando sul fuoco, molto basso. Si aggiusta di sale.


Si aggiunge il latte, a poco a poco, avendo cura di aspettare che quello già versato sia ben assorbito dalle patate prima di aggiungerne altro, fino alla consistenza desiderata. Si procede lentamente, ad un buon puré non piace la fretta. Si lascia cuocere a fuoco basso ancora qualche minuto, per fare in modo che tutti i sapori si amalgamino per bene.



Poi ci si potrebbe dilungare su come mangiarlo, il puré. Per me diventa taumaturgico quando mangiato con lo stracchino, che però qui costa l'improponibile, quando lo si trova. Il Teodolindo lo ricorda accompagnato dal prosciutto cotto. Uova, fontina, toma. Si potrebbe continuare.

E poi ci si potrebbe pure soffermare su come usarne gli avanzi ...ma perché? Un puré così avanza?!





Saturday, November 15, 2014

Mangiare da soli, cap. II

Ero sola, e tutto a un tratto mi resi conto che abitavo in una casa di tre piani piena di salotti e camere da letto. Mi prese lo sgomento. Mi sentivo rimpiccolire, come Alice; e intanto la stanza si allargava, il tavolo, le poltrone, i davanzali sul giardino, perfino le foglie del glicine che incorniciava la porta finestra sembravano diventati enormi. Dovevo reagire. Pensai di farmi un'insalata di tonno con lattuga e tanto limone, che dà sapore e a ogni strizzata riempie l'aria del suo profumo oleoso.
Ma anche la cucina tanto amata, con tutto a vista sugli scaffali, sembrava diventata ostile: non trovavo niente di quello che mi serviva. Mi resi conto che, nonostante fosse attrezzatissima e piena di ciotole e insalatiere di tutti i tipi, non c'era niente di adatto a contenere una porzione sola. Preparai l'insalata e quando mi sedetti a mangiarla mi servii con le lunghe posate di osso tirando su le foglie dalla ciotola più piccola che avevo trovato: sul fondo languiva, pietosissima, la mia insalata di tonno con il limone. Fu un pasto triste, denso di pensieri e di decisioni.

L'indomani, durante la pausa del pranzo, me ne andai a gironzolare sotto gli archi della ferrovia di fronte al mercato di Brixton. Scovai una tazzina da caffè dei primi del Novecento, di porcellana finissima gialla e nera, con il manico appena spizzicato; una scodella di vetro verde abbastanza grande per una porzione di insalata e due bicchieri di vetro lavorato giallo oro; uno da acqua e l'altro da vino. Quella sera mi conzai il posto a tavola con grande cura, proprio davanti allo specchio. Accesi la radio per sentire il notiziario e mangiai di gusto. Ogni tanto alzavo lo sguardo: il minuscolo centrotavola di fiori raccolti in giardino, la mia immagine e i vetri riflessi nello specchio mi facevano buona compagnia. Pensavo a ruota libera, come sempre quando mangio; la sola differenza era che non avevo nessuno con cui condividere i pensieri. Ma in realtà spesso li tenevo per me, non erano cose da tavola. 

Mi alzai soddisfatta, conscia però che avrei dovuto faticare ancora, e tanto, per abituarmi a quella vita. 
Simonetta Agnello Hornby e Maria Rosario Lazzati,
 La cucina del buon gusto. Feltrinelli Ed. 2012




Con il Teodolindo a New Orleans per un congresso, anch'io stasera ho mangiato da sola. E seguendo i consigli di Simonetta Agnello Hornby, mi sono trattata bene, perché anch'io sono un ospite importante. Strangozzi all'uovo con olio al tartufo e ricotta salata, accompagnati da un bicchiere di Bianco 2013 Tenuta Regaleali.  

Sunday, November 9, 2014

I biscotti della psicologa

È esperienza comune che ci siano ospiti ai quali non si sa bene cosa sia meglio offrire.

Ad esempio, se capita di dover ricevere la visita domiciliare da parte della psicologa dei servizi sociali mirata a valutare la tua idoneità all'essere genitore adottivo, cosa cucinare?

Ho sfogliato l'Artusi e la mia amata Ada Boni, ma né il buon Pellegrino né l'Ada nel suo Talismano della felicità parlano di tale evenienza. Cosa offrire a commendatori, dame, e suoceri è ben descritto in entrambi, ma le psicologhe dei servizi sociali non sono contemplate.

Neppure la mia maestra Alessandra Spisni, nel suo seppur più recente "È facile cucinare benissimo, se sai come farlo", accenna all'argomento. Che bizzarria.

Ecco che io, con il presente umile post, vengo a colmare questo vuoto dell'editoria gastronomica.

Quindi ricominciando:

se si dovesse ricevere la visita domiciliare dei servizi sociali in un sabato pomeriggio di novembre, io raccomando di accompagnare un leggero tè con questi semplici, ma gustosi biscotti alla vaniglia, che non mancheranno di addolcire il palato - e magari anche l'animo - degli esaminatori.



Per 30 biscotti circa
100 g di farina di tapioca
75 g di farina di riso bruno
mezzo cucchiaino di psyllum husk o di semi di lino tritati
(tutti sostituibili con 175 g di farina bianca, per i non celiaci)
mezzo cucchiaino di lievito per dolci
50 g di zucchero di canna
100 g di burro buono
i semini di mezza stecca di vaniglia
un uovo, felice
Si setacciano le farine con lo psyllum, il lievito, lo zucchero e la vaniglia.
Si aggiunge l'uovo, il burro tagliato a pezzetti e si impasta velocemente con la punta delle dita, per non scaldare il burro.
Si forma quindi una palla e la si mette a riposare in frigorifero per una mezz'ora, coperta da pellicola trasparente.
Si toglie la palla dal frigo e la si stende con un mattarello, ad uno spessore di mezzo centimetro circa.
Intanto si preriscalda il forno a 160 gradi C.
Con un piccolo bicchiere si ricavano i biscotti. I ritagli di pasta si rimpastano e si ripete l'operazione.
I biscotti formati vanno messi su teglie rivestite da carta forno ed infornati per 10-15 minuti, non di più. Devono rimanere piuttosto pallidi.
Li si mette a raffreddare su una gratella per dolci, e una volta freddi li si cosparge di zucchero a velo.


Io li ho offerti con un tè al gelsomino, serviti su un piattino fatto da me.
La psicologa li ha graditi e io e il Celiachindo più di lei. Ora forse bisogna valutare l'impatto del nostro rispondere alle domande con dita e baffi sporchi di zucchero a velo, ma tutto sommato direi che male non è andata.


Thursday, November 6, 2014

Quando la maiolica incontra la stoffa...

... dà vita a una meraviglia come questa.

Dolce & Gabbana alta moda a Capri 2014 - da qui

Grazie, Domenico Dolce e Stefano Gabbana, per aver creato un capolavoro simile, ispirato alle maioliche napoletane.

Lo vorrei per me, per metterlo per casa quando sono giù, per invitare le amiche a farci un giro e sentirsi regine.

Chi lo vuole provare?



Cipiciopi, ma belle-soeur, lo so che tu sei già li a dire "Io, io!".

Tuesday, November 4, 2014

Nei lieti calici

E mentre il pittore pittura e il Teodolindo... teodolinda (cosa farà mai il Teodolindo? Non è dato sapersi), le rispettive coniugi se ne vanno ad iniziar il Corso di Avvicinamento al Vino.

Cinque martedì sera, per tre ore dalle sette alle dieci, con sei calici a sera.
La vedo molto dura, essendo io ben conscia della mia bassa tolleranza all'alcol. Ma la mia compagna di avventura, da buona canadese, è invece molto resistente e saprà ricondurmi a casa sana e salva.
Contando che domani mattina io inizio a lavorare alle sette e mezza, spero per quell'ora di aver smaltito...

Il prosecco, una passione in comune tra le due studentesse


Eccitazione alle stelle per questo nuovo inizio.
Presto su queste pagine le degustazioni secondo Roberta e Nicole.
E speriamo che siano meglio di quelle attuali che si limitano all'incirca ai seguenti commenti, presi da una conversazione reale attorno ad una bottiglia di rosso:

Profumo
R: "Sento profumo di (naso nel bicchiere)... uva e... (seconda annusata) un che di alcolico"
N: "Uhm (naso nel bicchiere), uhm"
Colore
R e N: "Un bel color bordeaux", poi di più non potevamo dire che eravamo in un locale poco illuminato, c'abbiamo la scusa.
Gusto
R: "Ha sentori di... di nuovo direi uva... e alcol";
N: "It's acidic". Sul gusto, Nicole è molto più avanti di me.
Giudizio complessivo
R: "Non sono sicura che mi piaccia"
N: "Uhm, at the third glass this wine is definitely growing on me" (l'avevo detto che lei tollera bene l'alcol...)

C'è solo spazio per il miglioramento.