Wednesday, May 2, 2018

Italiani quanto basta

Oh, continuiamo la chiacchierata iniziata qui da me e proseguita qui da Alice. Se volete unirvi, sedetevi comodi, prendete una tazza di tè e partecipate alla ciacolata.  

Qualche settimana fa sono andata in consolato per ritirare il passaporto italiano della SignoRina. Come spesso capita quando vado in consolato, ero ambivalente: quasi eccitata all'idea di avere finalmente tutti e quattro almeno un passaporto in comune, nostalgica per il toccare un po' di suolo italiano, scoglionata perché non sai mai cosa può capitare in termini di sorprese burocratiche.
Quel giorno ero particolarmente di buon umore. Dovevo solo ritirare il documento, quindi mi sono seduta nella sala d'aspetto che ormai conosco bene. Ho dato una rapida occhiata ai soliti due poster appesi al muro, uno con un panorama della costiera amalfitana, l'altro del lago Maggiore, e ho scelto la sedia che meglio mi facesse vedere la televisione su cui andava in onda la Prova del Cuoco.



Due paesaggi, la voce di Antonella Clerici, la preparazione di pasta fresca ripiena e l'accento romagnolo del cuoco in gara. Tutto era familiare al punto da neanche accorgermene. 
Finché non sono entrati. Altri due italiani. Sicuramente italiani, avevano il passaporto. Erano lì in consolato come me. Nel nostro consolato italiano.
Solo che uno dei due, donna, non parlava italiano. Parlava solo inglese e chiedeva informazioni riguardo a determinati documenti. 
L'altro parlava un italiano stentato misto a termini dialettali di qualche parte del sud Italia. Suo padre era morto e non sapeva come comunicarlo al comune di origine: "Non l'ho uscito quel documento", "Non l'aggio ancora sbrigato". 

Anni fa mi avrebbero irritato e avrei pensato con stizza e superiorità che quei due non erano italiani. Sì, va be', avevano il passaporto, ma non erano italiani veri. Non come me. 
Poi, conoscendone qualcuno, di quegli italiani di seconda o terza generazione, ho capito che spesso sono più affezionati all'Italia di me, che ci tengono al mantenimento delle tradizioni, hanno l'orto in cui piantano zucchini e melanzane, fanno ogni anno il sugo di pomodoro in casa per l'anno a venire, e venerano il pranzo della domenica come un'occasione immancabile per ritrovarsi in famiglia. Si sposano spesso tra italiani, loro, e vivono tutti o a little Italy o a St. Leonard, che è il nuovo quartiere italiano di Montreal. Sanno chi è Renzi e chi è Salvini e vanno a votare. Li conosco, dicono "cotto" e "butti" invece di cappotto e stivali (da coat e boots), cantano le canzoni dei Ricchi e Poveri e quelle di Toto Cutugno.  

Ma chi sono io per dire chi è italiano veramente? Per giudicare chi ha diritto di sentirsi tale? 
Oggi penso che, passaporto a parte, ognuno è quello che si sente di essere. 



Quel giorno in consolato un lampo mi ha attraversato la mente.
I miei bambini. Quella SignoRina di cui stavo per ritirare il passaporto e che per ora è ancora solo canadese, lei diventerà così? Sarà vista così dagli italiani nati in Italia? 
E il Sig. Tenace? Su, facciamoci una risata: quale italiano d'Italia lo considererà davvero italiano? Ok, parla italiano, ha il passaporto e una famiglia italiana, ma è nato in Cina ed è asiatico, su questo non ci piove. Quante volte si sentirà dire "Ma tu di dove sei? Ho capito che sei italiano, ma veramente di dove sei?"

Entro in una spirale.
Guardo i due poster. Io non ho bisogno di leggere la scritta sotto per capire dove sono quei luoghi, ma per i miei figli? Saranno posti esotici? Il Sig. Tenace non sapeva neanche cosa fosse Milano fino a qualche tempo fa...

Ancora più giù nella spirale.
Penso a quando il Sig. Tenace gioca ad essere un uovo e mi dice: "Mamma, pondami!" (pondre un oeuf, in francese) o quando canta Tanti auguri a te dicendo "Bonne fete to you!". Io sorrido, illusa del fatto che la lingua italiana gli scorra dentro e gli sia innata come lo è per me e per suo padre, che neanche ci rendiamo conto di quanto ci sia letteralmente "madre" lingua.

E poi in fondo alla spirale, il solito pensiero. 
Loro si sentiranno sempre fuori luogo ovunque. Noi ci facciamo il culo perché loro possano essere cittadini del mondo e sentirsi a casa tanto qui, quanto in Italia e, per uno dei due, pure in Cina, ma la verità vera è che loro, in ognuno di questi luoghi saranno sempre un po' stranieri. Non completamente Canadesi, perché figli di immigrati, non completamente italiani perché in Italia non ci avranno vissuto, non completamente cinese perché cresciuto in una famiglia italiana. 

Io e il Teodolindo abbiamo fatto la scelta di vivere altrove, forti dei nostri piedi ben piantati nelle radici italiane con cui inevitabilmente ci accordiamo come con un diapason. Ma loro? Abbiamo puntato sulle opportunità che questa scelta offre loro in termini di esposizione a più culture e lingue e di un paese come il Canada che fa della diversità la sua forza. Ma gli abbiamo tolto un'identità chiara. 
Dovranno farci i conti, loro.
Come in un bassorilievo, dovranno costruire la loro identità e la loro bellezza sull'equilibrio tra i pieni e i vuoti. 







29 comments:

  1. Forse non è esattamente la stessa cosa perché comunque un identità in comune c'era, quando le persone dal sud venivano al nord e facevano dei figlio, quei bambini al nord erano considerati "terroni", mentre per le persone del sud erano "polentoni". Nessuno li riconosceva come appartenenti al loro gruppo. In pochi anni le cose sono cambiate e non fa differenza da dove si viene. Credo che presto gli Stati nazionali saranno obsoleti e piano piano ci avvicineremo ad essere cittadini del mondo.
    I tuoi figli hanno un immensa opportunità parlare diverse lingue, vedere culture diverse, fa crescere con la mente aperta!

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    1. Sono d'accordo che i miei figli abbiano un'immensa opportunità, e' che a volte non rifletto a qual e' il costo indiretto per quest'opportunita'.

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  2. Essendo sarda figlia di sardo che vivono in Sardegna non ho niente da dire, mi siedo e leggo. Mi interessa l 'argomento visto che anche nella mia scuola ci sono bambini con un'identità variegata.

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    1. E hai provato a chiedere a quei bambini cosa si sentono? Italiani? Altro? Tutto? Sarebbe interessante capirlo. Ma poi pensavo: quei bambini nella tua scuola "sono" italiani o no? Intendo legalmente parlando, visto i problemi con le leggi sullo ius soli?

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  3. Le prime generazioni fanno una scelta, a volte ponderata, più spesso di necessità, le seconde generazioni la subiscono, poi dipende da quali saranno le opportunità che verranno loro offerte in quella terra che riconoscono come Casa e che non sempre ricambia. Dipende dagli "strumenti" che verranno forniti loro per trovare la loro "collocazione" i loro spazi nel mondo

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    1. Eh gia'. L'hai riassunto molto bene. Resta da capire cosa loro riconosceranno come casa, ma questo glielo chiediamo tra qualche anno. Per ora il Sig. Tenace, alla domanda, "ma tu cosa ti senti?" ha risposto: "Io sono italiano. E cinese. E anche un po' giapponese." Andiamo bene... ;)

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    2. E giapponesitudine donde discenderà? Hai provato a chiederglielo?🤔

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  4. "Loro si sentiranno fuori luogo dovunque" oppure si sentiranno a casa dovunque...
    Il mondo sta cambiando, magari non nei piccoli pesini o nei posti sperduti ma di sicuro i miei fgli sono molto più europei e meno italiani di me,credo
    In classe con loro ci sono ragazzi di etnia cinese, nordafricana e africana, hanno tutti lo stesso orribile accento bergamasco dei miei e quasi nessuno dei ragazzi si sogna di guardarli esterrefatto o anche solo curioso, per loro sono come loro, parte del paesaggio scolastico e delle mandrie di adolescenti che pascolano a scuola.
    Quelli che fanno sfoggio di razzismo hanno un' evidente influenza familiare che sparirà in un paio di generazioni.
    Ottimista? L'umanità si mescola da centomila anni, figurati se pochi ottusi bigotti possono fermare spostamenti di popoli generazionali.
    Tranquilla,magari non riconosceranno Como a prima vista ma saranno cittadini del mondo e avranno una vista più ampia del panorama di Amalfi...
    ciao

    Betty

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    1. Ciao Betty, il tuo commento mi ha incuriosito! Ma dove abiti se i tuoi figli sono in classi cosi' multirazziali?! Bergamo o provincia? Dimmi, dimmi.
      Quel che aggiungerei in risposta al tuo commento e' che prima di trarre conclusioni bisognerebbe chiedere proprio a quei compagni di classe dei tuoi figli come e cosa si sentono. Loro come si identificano? Questo mi interessa. Poi per fortuna ci sono persone come te e come i ragazzi di cui parli che li vedono parte di un comune paesaggio scolastico italiano, ma siamo sicuri che parliamo di un fenomeno comune o il vissuto di quei ragazzi di origine varia e' diverso da quello che vedi tu? Sarebbe interessante capirlo e sono gli unici che possono dircelo.

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    2. Qua in Francia, dove ci sono le terze, ma anche quarte generazioni, mi sembra che i bimbi a scuola si sentano tutti francesi o almeno un po' francesi (poi con l'adolescenza ci saranno anche crisi identitarie). Non glielo chiesto personalmente, ma una amica mamma mi ha raccontato che la prima volta che è tornata in Guinea con sua figlia, che era già alle elementari, sua figlia le ha chiesto "perché sono tutti neri qui?". L'uniforme per loro è anormale! ed è bello così! I miei si sentono penso più francesi che italiani, anche se mi dicono che sono tutti e due. Ma è diverso per noi, il papà è francese e vive nel suo paese e poi siamo vicini, in Italia ci si va spesso. Ma forse anch'io dovrei fare un post sur l'italianità dal nostro punto di vista.

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    4. @Chicca, io lo voglio un tuo post sull'italianità dal tuo punto di vista! Aspetto?

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  5. Cara, nessuna esperienza è più ambigua di quella di essere genitori, e ogni cosa ha un prezzo. Si dà e si toglie. La spirale di cui parli è il mio pane quotidiano da anni. I miei figli hanno genitori di paesi diversi e non sono mai vissuti in nessuno dei nostri due paesi di origine, crescendo invece tra Europa, Stati Uniti e Asia. Se la vita è trovare la tua nicchia tranquilla dove vivere fino alla fine dei tuoi giorni, abbiamo sbagliato di brutto. Se invece è una grande avventura da vivere con curiosità tra opportunità sempre un po' al limite dell'ignoto, allora, BINGO. Per anni mi sono chiesta che scelte i miei figli avrebbero fatto, una volta grandi. Se comprarsi un pezzo di terra e non muoversi mai più o se navigare sulla prima legge di Newton e continuare a girare. Mio figlio fra qualche mese andrà all'università su un altro continente, quindi forse vince Newton. Però un giorno alle elementari scrisse in un tema (quando era alla Deutsche Schule a Tokyo) che il posto che preferiva al mondo era il paesino in Italia dove vivono i suoi nonni, "perché lì non cambia mai niente". Si dà e si toglie. Un abbraccio.

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    1. Parole sante, signora mia. Parole sante.
      E non ho altro da aggiungere.

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    2. Nel mio quartiere a Padova ci sono classi formate al 60-70% da bimbi non italiani e anche come pediatra, quando sostituisco i colleghi del quartiere i miei pazienti sono in maggioranza figli di stranieri: cinesi, arabi, rumeni, moldavi, pakistani, nigeriani e nord africani

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  6. Abito in un paesino delle Valli Bergamasche, ma pure qui il mescolamento razziale è presente, tanto da necessitare della presenza fissa a scuola del mediatore culturale per i ragazzini cinesi delle medie, catapultati qui a volte senza sapere nemmeno la lingua, oppure di programmi di alfabetizzazione pomeridiani organizzati in oratorio per i ragazzini africani o stranieri in generale, anche loro un pò traballanti in italiano.
    Nelle valli il fenomeno è presente ma ridotto, nella pianura è massicccio e a volte i bambini italiani sono una minoranza in classe.
    Rimane il fatto della disinvoltura con cui i ragazzi convivono, quello che per noi una volta era la meraviglia del nuovo per loro è la quotidianità, inun paio di generazioni diventeranno come gli italiani o gli irlandesi d'America, integrati e diffusi in tutte le categorie sociali come il resto della popolazione.
    E per quanto riguarda il paesino dove viviamo, mia figlia quattordicenne l'altro giorno guardando le strade ha commentato con disprezzo:"Ma guarda che schifo di posto, non succede mai niente!"
    Un detto bergamasco sentenzia: Chi tròp e chi mìa, chi ha troppo e chi non ha niente, rispetto al figlio di Bean Far Away
    Ciau!

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  7. PS, ho dimenticato di aggiungere che la situazione scolastica in Italia oggi è TUTTA così, da voi no?

    Betty

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    1. Io penso che peró vada fatta una riflessione non su quel che vediamo sui banchi di scuola, ma su quel che si vede per strada, allo sportello della banca, dietro uno stetoscopio e un camice bianco, in una divisa da pompiere, o anche solo tra gli scaffali di un negozio fighetto. Dove sono i padri, le madri, i fratelli maggiori di questi bambini? Li trovate? Li vedete? C'é davvero questa integrazione in Italia o é semplicemente una percezione visiva, due modalitá di vita e che scorrono parallele senza incontrarsi mai tranne quando appunto é strettamente necessario (tipo nelle strutture scolastiche,
      nelle sale d'aspetto dei medici, in fila alla posta)... Quante persone sono entrate in casa mia o in casa tua che non fossero bianche? Quanti contatti abbiamo che sono asiatici o sudamericani nella nostra rubrica? (non é una domanda retorica eh, davvero io me lo chiedo, se appunto la multculturalitá e multirazzialitá che vediamo sia solo apparente, e poi in realtá si sta tutti per i cavoli propri, o se sia effettiva e concreta. Io l'ho vista e vissuta effettiva e concreta davvero solo in USA... e pure lí non ovunque. Anche qui in Francia, trovo che ci sia una separazione - non come in Italia eh, molto meno - ancora visibile)

      Alice

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    2. i loro genitori o non hanno studiato, o sono arrivati con titoli di studio non riconosciuti in italia, direi. a questo punto bisogna trasferirsi da un'altra parte ancora, mi sa!
      https://yenibelqis.wordpress.com/

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    3. Lungi dal parlare di integrazione, che è una parola grossa, ma nel mio quartiere a volte mi domando se a parte me, e qualche 80 - 90 enne, se ci sia ancora qualche italiano e devo dire che quando è morto papà un anno e mezzo fa, il suo barbiere marocchino è venuto a farci le condoglianze, come pure quest'anno, quando è morta mamma sono venuti un paio di ragazzi che hanno vissuto al piano sopra dei miei in attesa del riconoscimento dello stato di rifugiati e che ora ottenutolo vivono altrove in città. Non tutto è facile, io per esempio gli scaracchiatori cinesi dal terrazzo in cortile non li apprezzo molto e a volta gli stili di vita, gli orari, la pulizia stridono e irritano, ma dove vivo io è impossibile non fare i conti con la varietà del genere umano ed è soprattutto la velocità con cui il rimescolamento è avvenuto che è sconcertante, perché negli anni 80 qui viveva mia nonna che credo che un extra europeo lo abbia visto solo in cartolina ed è andata così fino alla metà degli anni 90 quando sono comparsi rumeni e moldavi portati qui dalla facilità di trovare lavoro nell'edilizia e per le donne come colf e dai nord africani che lavoravano nelle imprese di medie e grandi dimensioni specie verso Vicenza

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    4. integrazione è una parola troppo grossa. certo, le nuove generazioni stanno condividendo i momenti educativi scolastici, ma ancora poco le famiglie interagiscono nel dopo scuola e nei fine settimana. son sicura che fra un paio di generazioni sarà molto diverso. i genitori stranieri dei bimbi in classe con mio figlio spesso non sanno neanche l'italiano, per dire. cambierà!

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    5. Lisa, esatto. Io non vivo piu in Italia, ma l'impressione che ho (e di nuovo, correggetemi se sbaglio) e' che non solo l'integrazione - parola che a me non piace - ma nemmeno la multiculturalita e' vicina. Ad esempio vedo su fb le foto delle feste di compleanno dei figli dei miei amici italiani: oh, io non ne vedo uno di bambini invitati che non sia italiano! Allora? Forse appunto, vanno a scuola insieme, ma poi le amicizie sono altro e si sta ancora molto segregati.

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    6. @Betty, tornando al tuo primo commento, ho trovato interessante che come esempio di integrazione che avviene dopo qualche generazione tu abbia parlato di italiani ed irlandesi. Guarda caso sono entrambe due minoranze non visibili. Non e' capitata la stessa cosa a neri ed asiatici, infatti.

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  8. ciao, rieccomi di qua.
    questo dicorso mi sta muovendo molte riflessioni e anche facendo emergere un po' di chiarezza. allora, come ho detto io vivo in grecia, non mi sento italiana, ma allo stesso tempo riconosco la grecita' (perdonatemi il termine) dei miei figli e, lo ammetto, non mi piace mai quando la vedo. mi sembra evidente che la mia contraddizione sia tutta emotiva, da un lato mi sembrano obsoleti e poco significativi i concetti nazionali, dall'altro vorrei che i miei bambini mi assomigliassero, o avessero il mio stesso "sfondo culturale". ecco, questa e' pura illusione perche' anche l'italia e' cambiata da quando ero bambina io, e tanto, chesso', alinipe parla dei morti e dei santi ma ora un decenne parla, in italia, di halloween, giusto? noi riconosciamo como ma forse oggi, in italia, i bambini riconoscono sidney...quindi forse avremmo lo stesso scollamento in italia, su temi molto simili, si tratta di generazioni e non di nazioni?
    posso rispondere, in parte, a come si sentono i ragazzi figli di stranieri, perche' i miei figli frequentano una scuola europea ed io ci ho insegnato tre anni, ed ho osservato con attenzione. di sicuro i lati positivi e di ricchezza ci sono, sono molti ed evidenti ma solo se si accompagnano ad una classe sociale (di appartenenza e di frequentazione) medio alta. essere italiani, inglesi, americani od olandesi in grecia, in una scuola internazionale, e' considerato un valore aggiunto alla persona. essere albanesi o romeni nella stessa scuola e' spesso un fattore di discriminazione, ma anche essere italiani, francesci, olandesi in un ambiente popolare non e' qualcosa che i bambini sbandierano, anzi. insomma, la differenza la fa piu' l'economia ed il livello culturale (livello decisamente ancora troppo influenzato dalla situazione economica) che un passaporto.
    spero di non essere andata fuori tema...

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    1. Ciao Anna :)
      Arieccome!
      Credo che un conto sia lo scollamento generazionale, un conto sia quello culturale.
      Io ho chiaramente dei riferimenti diversi da quelli di mia nonna, o di mia madre, ma c'é un "substrato" comunque a entrambe. Penso sia dovuto in parte a quel principio invisibile di apprendimento della cultura per osmosi e in parte al passaggio cosciente e consapevole di storie e pezzi di Storia.

      Sulla differenza fatta piú dall'economia che dal passaporto sono d'accordo solo in parte perché purtroppo i due criteri spesso si confondono e anzi dietro uno si cela l'altro e viceversa... Non a caso lo stesso curriculum con su scritto Abdelhakim invece che Mario NON riceverá lo stesso tipo di risposte.

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    2. ovviamente hai ragione, il nome sui curriculum e'importantissimo, ma la situazione che colpisce me,quella che posso osservare nel quotidiano di un paese in crisi, e' precedente a questa discriminazione, si tratta di immigrati poveri o ricchi, ed i poveri nn hanno curriculum da presentare. insomma, gia' a 6 anni se sei povero sei piu' facilmente vittima di razzismo, niente di nuovo, purtroppo.

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  9. Per rispondere ad Alice, corto che io o te non abbiamo in agenda numeri di stranieri o non ne frequentiamo, ma mia figlia quattordicenne ha per carissima amica una ragazzina mussulmana e alle medie ha frequentato una ragazzina cinese, per poco perchè se ne è andata (la cinese)
    Tu che hai vissuto in USA, gli italoamericani di terza/quarta generazione subiscono discriminazioni oggi?Secondo me anche per gli immigrati di ora sarà così, tempo al tempo

    Ciao

    Betty

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  10. Conosco una signora, la cui figlia è nata in America da genitori italiani (che vivono là da tantissimi anni), ora è praticamente adulta eppure parla italiano e conosce bene l'Italia e la cultura italiana, grazie ai suoi genitori che essendo italiani ovviamente volevano mantenere un legame con l'Italia, quindi credo sia possibile che due figli di italiani si sentano (in parte) italiani pur non avendoci mai vissuto :)

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    1. Grazie! Questo commento mi solleva e mi dà speranza! :)

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