Un Sig. Tenace ce l'ho a casa.
Il nome lo sapete da dove deriva, non gliel'abbiamo dato noi, ma chi per primo ha scoperto la sua personalità e la sua capacità di resistenza.
Di bambini tenaci è pieno il mondo, ma a volte la tenacia e la capacità di essere dei Mr. e delle Miss Fighter si rivelano solo in condizioni speciali, quando la vita mette alla prova.
I bambini adottati, spesso se non sempre, sono dei Mr. e delle Miss Fighters.
I bambini malati, spesso se non sempre, sono dei Mr. e delle Miss Fighters.
Ha fatto bene, allora, il SickKids Hospital di Toronto a lanciare questa campagna in cui i bambini, le loro famiglie e il personale sanitario sono rappresentati in un modo inconsueto.
Di campagne mediatiche strappalacrime sulla pena che fanno i bambini malati è pieno il mondo e, per quanto possano essere efficaci, veicolano il messaggio che la malattia e le prove della vita ci rendono vittime. E se invece spostassimo l'accento sulla tenacia? Sulla combattività?
Otteniamo questo.
Come neuropediatra, per di più mamma di un bambino tenace, questo video non poteva che toccarmi dritto al cuore e farmi esclamare "Grandi! Ma perché non ci hanno pensato prima!?". Chi queste cose le vede ogni giorno avrà probabilmente lo stesso effetto (Amanda sei avvisata ;)
Lo stesso discorso può essere fatto sull'adozione, e qua, se allarghiamo un po' il campo si rischia di ritornare alle famigerate discussioni sui bambini fortunati - qui e qui. Tutto sta nel come guardiamo le cose.
"Ecco a voi Giacomino, vittima di un abbandono".
"Ecco a voi Giacomino, che è riuscito a sopravvivere ad un abbandono".
Se la prima presentazione mi fa dire "Ah povero Giacomino! Che compassione!" (per arrivare fino a "Che fortunato Giacomino che ha trovato una famiglia!"), la seconda mi provocherà piuttosto un "Grande Giacomino! Che bravo! Io non so se ce l'avrei fatta! Ti ammiro!".
Cambiamo prospettiva, ci state? I bambini tenaci ne hanno bisogno ;)
Monday, October 31, 2016
Thursday, October 20, 2016
Le due mamme
Questo è forse il post più intimo che io abbia mai pensato di scrivere.
C'è una persona a cui da poco più di un anno mi sento legata in modo speciale. Unico. È costantemente presente nei miei pensieri di ogni giorno. Sento per questa persona un legame quasi viscerale, che però non abbiamo mai avuto e mai avremo. Al contrario, non potrebbe essere più distante dal viscerale, la relazione che io e questa persona condividiamo. È la vicinanza estrema e la lontananza abissale insieme. Indissolubili.
Non è il Teodolindo, ovviamente.
Non è neppure il Sig. Tenace.
È la mamma della Cina.
Così la chiamiamo. La donna che ha dato la vita al Sig. Tenace, che ha probabilmente sentito il suo primo pianto e ha sentito il suo odore per prima al mondo. Quella di cui lui ha ereditato metà dei geni. Quella di cui forse ha il sorriso? Gli occhi? I capelli? Parte del carattere? Forse. Non lo sappiamo e ci sono alte probabilità che forse mai lo sapremo. E questa cosa, spesso, mi manda fuori di testa.
La mia amica Alice ha scritto questo post su cosa sia per lei essere madre adottiva rispetto ad essere madre biologica.
Come lei, nemmeno io so cosa voglia dire essere madre biologica. Non lo sono e mai lo sarò e siamo felici così. L'adozione non è mai stato un piano b, è sempre stata una scelta che è venuta ben prima del sapere che il Teodolindo ed io pare non siamo dei grandi procreatori.
Però posso dire che cosa vuol dire per me essere madre adottiva.
L'ha detto molto meglio di me Dan Matthews, uomo adottato dalla Corea che proprio recentemente ha ritrovato la sua famiglia biologica ed ha poi assistito all'incontro tra le sue due mamme. Potete leggerlo qui, con le sue parole, e ve lo consiglio di cuore perché è un racconto magnifico.
E ancora:
Ho scritto sopra che, per il contesto in cui avvengono le adozioni in Cina, sarà molto difficile riuscire a ritrovare i genitori biologici del Sig. Tenace. Ma io non dispero e spero un giorno di poter incontrare la mamma della Cina. E se quel giorno dovesse mai arrivare, so già cosa farò. Starò in silenzio accanto a lei perche non credo ci sarà bisogno di tante parole.
C'è una persona a cui da poco più di un anno mi sento legata in modo speciale. Unico. È costantemente presente nei miei pensieri di ogni giorno. Sento per questa persona un legame quasi viscerale, che però non abbiamo mai avuto e mai avremo. Al contrario, non potrebbe essere più distante dal viscerale, la relazione che io e questa persona condividiamo. È la vicinanza estrema e la lontananza abissale insieme. Indissolubili.
Non è il Teodolindo, ovviamente.
Non è neppure il Sig. Tenace.
È la mamma della Cina.
Così la chiamiamo. La donna che ha dato la vita al Sig. Tenace, che ha probabilmente sentito il suo primo pianto e ha sentito il suo odore per prima al mondo. Quella di cui lui ha ereditato metà dei geni. Quella di cui forse ha il sorriso? Gli occhi? I capelli? Parte del carattere? Forse. Non lo sappiamo e ci sono alte probabilità che forse mai lo sapremo. E questa cosa, spesso, mi manda fuori di testa.
La mia amica Alice ha scritto questo post su cosa sia per lei essere madre adottiva rispetto ad essere madre biologica.
Come lei, nemmeno io so cosa voglia dire essere madre biologica. Non lo sono e mai lo sarò e siamo felici così. L'adozione non è mai stato un piano b, è sempre stata una scelta che è venuta ben prima del sapere che il Teodolindo ed io pare non siamo dei grandi procreatori.
Però posso dire che cosa vuol dire per me essere madre adottiva.
Vuol dire condividere l'essere madre con un'altra donna. Siamo in due. Noi mamme del Sig. Tenace siamo due.
L'ha detto molto meglio di me Dan Matthews, uomo adottato dalla Corea che proprio recentemente ha ritrovato la sua famiglia biologica ed ha poi assistito all'incontro tra le sue due mamme. Potete leggerlo qui, con le sue parole, e ve lo consiglio di cuore perché è un racconto magnifico.
Le due madri di Dan. da qui |
Everything has come full circle. I recently returned from a trip to Korea where my mom (adoptive mother) met my biological mother for the very first time. [...] While they were embracing, I kept thinking about every single moment that had to have happened in our lives for them to finally meet. These two women with incredibly different lives and personalities -- who otherwise wouldn't have any other connection -- now bound together. I could see how much it meant to them to meet one another -- to have a sense of closure on this chapter in their lives.
Dan Matthews, When my moms met.
[Mia traduzione: "Il cerchio si è chiuso. Sono tornato di recente da un viaggio in Corea dove mia mamma (la mia madre adottiva) ha incontrato la mia madre biologica per la prima volta. Mentre si abbracciavano, ho continuato a pensare a tutti gli eventi che sono dovuti capitare nelle loro vite perché finalmente si incontrassero. Queste due donne con vite e personalità incredibilmente differenti, che altrimenti non avrebbero avuto nessun'altra connessione, adesso sono legate. Posso capire quanto fosse importante per loro conoscersi e avere la sensazione di chiudere un cerchio in questo capitolo della loro vita."]
E ancora:
Although I am connected as their son, their feelings of being united are way beyond my level of comprehension.[Sebbene io sia legato a loro in quanto figlio, il loro sentimento di unione supera la mia capacità di comprensione.]
Ho scritto sopra che, per il contesto in cui avvengono le adozioni in Cina, sarà molto difficile riuscire a ritrovare i genitori biologici del Sig. Tenace. Ma io non dispero e spero un giorno di poter incontrare la mamma della Cina. E se quel giorno dovesse mai arrivare, so già cosa farò. Starò in silenzio accanto a lei perche non credo ci sarà bisogno di tante parole.
Thursday, October 13, 2016
Autodiagnosi e autoanalisi
La sindrome dell'impostora.
Va be', lo dico un po' scherzando, ma anche no.
Dicesi sindrome dell'impostore quel fenomeno per cui un individuo non riconosce il proprio successo se non come dovuto al caso o, più precisamente per quel che mi riguarda, quella sensazione che prima o poi gli altri capiranno che io in fondo non sono capace di fare le cose che sembra io riesca a fare. E qualcuno in mezzo alla sala si alzerà e dirà: "Questa tizia è un'impostora! Fa finta di sapere le cose ma in realtà non ci capisce niente" E io con il capo chino e cosparso di cenere ammetterò: "Sì, è vero. Mi avete beccato. Vi ho ingannati per più di trent'anni, ma è così".
Leggo su wikipedia - proprio perché io uso fonti di informazioni autorevoli - che la sindrome sembrava inizialmente essere più frequente nelle donne con percorsi lavorativi di successo e che sia comunemente associata all'attività accademica. Eccomi qui. Presa in pieno.
Da altre parti, non ricordo più (notate di nuovo come io sia precisa con le referenze bibliografiche), avevo letto che la sindrome dell'impostore è molto frequente nelle donne in ambito professionale perché il senso di inadeguatezza provato è il risultato di una società dominata da modelli maschili. E anche qui mi ci ritrovo.
Con questi sentimenti convivo da decenni e la giornata di oggi non ha fatto eccezione.
Ho dovuto tenere un seminario a tutta gente di laboratorio. Io che di formazione proprio non sono di laboratorio, che guardo sempre tutto con occhio clinico, ma che poi a fare il medico e basta non ci riesco. E allora parlavo e presentavo e mi sembrava di camminare su un campo minato. Scrutavo gli sguardi di chi ascoltava e cercavo di capire se pensassero che stessi dicendo minchiate.
Poi sono tornata nel mio studio riflettendo sul fatto che io, con la mia sindrome da impostora, cerco comunque sempre la zona grigia: sono la neurologa appassionata di radiologia, sono il clinico che vuole fare ricerca, sono l'italiana che lavora in due lingue non sue. Sono l'ibrido per eccellenza e rifuggo gli incasellamenti in una categoria sola. È nella zona grigia che mi diverto.
Ma la zona grigia scatena la sindrome.
C'è qualcun'altro/altra affetto là fuori? Lo so che ci siete! Fatevi avanti, per favore. Condividiamo la sofferenza. :)
E se ne soffriva anche Maya Angelou... |
Friday, October 7, 2016
In ritiro
Non avevo mai partecipato ad uno di questi eventi che qui vanno tanto e che consistono nel prendere un laboratorio di ricerca, inteso come "persone che ci lavorano", e portarlo in un luogo isolato e possibilmente bello per farne? cosa di preciso? Non mi era chiaro.
Ah sì, dicono: per fare il punto della situazione, ma anche per poter sgombrare la mente dalla quotidianità e pensare in un modo diverso alla ricerca che si sta facendo. Un po' come un ritiro spirituale, mi verrebbe da dire, solo che di lavoro. Con in più l'aspetto di socializzazione.
Quest'anno mi è toccato. L'avrei evitato. Invece, adesso, ad una settimana dal Lab Retreat devo dire che sono contenta di esserci andata e ci tornerei.
Siamo partiti giovedì e siamo giunti in questo posto.
Che a me già veniva da dire: "Ma adesso, qui in questo luogo meraviglioso, noi ci dobbiamo rinchiudere in una stanza a vedere presentazioni powerpoint e a discutere di progetti di ricerca?! Ma che è? Masochismo? Ma lasciatemi a Montreal, se devo proprio lavorare!". E invece boh, sarà stata davvero l'atmosfera, ma il pomeriggio di lavoro si è rivelato interessante e proficuo.
Abbiamo finito verso le cinque, e ci aspettavano frigoriferi di birre e buste di patatine e bevendo e mangiando siamo arrivati all'ora di cena. Lì, sul molo a chiacchierare. Io dopo una birra già stavo allegra.
A cena mi hanno raggiunto il Teodolindo ed il Sig. Tenace, visto che ne avremmo approfittato per passare il weekend fuori città. Entrambi, in modi naturalmente diversi, hanno manifestato sorpresa per il clima festaiolo del gruppo: "Ma non doveva essere un "retreat"? A me sembra più una gita di terza liceo!" mi ha sussurrato il Teodolindo.
E ci aveva visto lungo. Il mattino seguente noi tre famiglia felice eravamo in piedi alle 6.15 come sempre (il Sig. Tenace ha una sveglia interna, posizionata poco sopra l'ombelico, che fa "Colazione! Colazione!" appena spuntano i primi raggi del sole). La maggior parte degli altri partecipanti era andata a dormire alle 3 di notte, dopo aver passato la serata a cantare attorno al fuoco, e si è quindi presentata a colazione molto più tardi.
L'essere morning people ha sempre i suoi indubbi vantaggi. In questo caso questi:
E dopo una sostanziosa colazione, il trio delle meraviglie si è dedicato all'attività per noi immancabile quando ci si trova su un lago canadese.
Remare.
Solo che stavolta, per la prima volta, avevamo 20 kg in più. Che si muovevano, parlavano e non remavano, anche se avrebbero voluto ed erano stati dotati di un piccolo remo in legno. Molto pericoloso, un remo di legno, in mano al Sig. Tenace.
L'equipaggio non remante ha molto amato l'esperienza, che continuerà quindi ad essere praticata in futuro. Laghi del Canada, siete avvisati.
Ah sì, dicono: per fare il punto della situazione, ma anche per poter sgombrare la mente dalla quotidianità e pensare in un modo diverso alla ricerca che si sta facendo. Un po' come un ritiro spirituale, mi verrebbe da dire, solo che di lavoro. Con in più l'aspetto di socializzazione.
Quest'anno mi è toccato. L'avrei evitato. Invece, adesso, ad una settimana dal Lab Retreat devo dire che sono contenta di esserci andata e ci tornerei.
Siamo partiti giovedì e siamo giunti in questo posto.
Che a me già veniva da dire: "Ma adesso, qui in questo luogo meraviglioso, noi ci dobbiamo rinchiudere in una stanza a vedere presentazioni powerpoint e a discutere di progetti di ricerca?! Ma che è? Masochismo? Ma lasciatemi a Montreal, se devo proprio lavorare!". E invece boh, sarà stata davvero l'atmosfera, ma il pomeriggio di lavoro si è rivelato interessante e proficuo.
Abbiamo finito verso le cinque, e ci aspettavano frigoriferi di birre e buste di patatine e bevendo e mangiando siamo arrivati all'ora di cena. Lì, sul molo a chiacchierare. Io dopo una birra già stavo allegra.
I canadesi traghettano verso il ristorante |
A cena mi hanno raggiunto il Teodolindo ed il Sig. Tenace, visto che ne avremmo approfittato per passare il weekend fuori città. Entrambi, in modi naturalmente diversi, hanno manifestato sorpresa per il clima festaiolo del gruppo: "Ma non doveva essere un "retreat"? A me sembra più una gita di terza liceo!" mi ha sussurrato il Teodolindo.
E ci aveva visto lungo. Il mattino seguente noi tre famiglia felice eravamo in piedi alle 6.15 come sempre (il Sig. Tenace ha una sveglia interna, posizionata poco sopra l'ombelico, che fa "Colazione! Colazione!" appena spuntano i primi raggi del sole). La maggior parte degli altri partecipanti era andata a dormire alle 3 di notte, dopo aver passato la serata a cantare attorno al fuoco, e si è quindi presentata a colazione molto più tardi.
L'essere morning people ha sempre i suoi indubbi vantaggi. In questo caso questi:
Il vantaggio di svegliarsi presto. |
Peccato non si senta il silenzio. |
E dopo una sostanziosa colazione, il trio delle meraviglie si è dedicato all'attività per noi immancabile quando ci si trova su un lago canadese.
Remare.
Dalla canoa. Il lago ci aspetta. |
Solo che stavolta, per la prima volta, avevamo 20 kg in più. Che si muovevano, parlavano e non remavano, anche se avrebbero voluto ed erano stati dotati di un piccolo remo in legno. Molto pericoloso, un remo di legno, in mano al Sig. Tenace.
L'equipaggio non remante ha molto amato l'esperienza, che continuerà quindi ad essere praticata in futuro. Laghi del Canada, siete avvisati.
Row, row, row your boat, gently down the stream... |
Tuesday, October 4, 2016
Biciclette e Alouettes
Post in diretta.
Sempre in merito al mio posto di lavoro, piuttosto assurdo.
È da stamattina che sono al telefono con le Alouettes di Montreal, colpevoli di avermi portato via la bici domenica scorsa.
Giovedì io ero partita per il lab retreat (segue post), lasciando la mia bici legata alla cancellata sotto gli spalti, come sempre. Recidiva, avevo dimenticato di controllare il calendario delle partite e questi energumeni che si lanciano la palla e si provocano traumatismi cranici giocavano proprio domenica. Quindi, chi organizza loro le partite ha pensato di tagliare il mio lucchetto e portare via la bici.
Dove essa sia resta per ora un mistero.
Ho già parlato con quattro persone diverse che si rimpallano la responsabilità.
Quelli della security di McGill mi han consolato dicendomi che non sono l'unica a cui sia successo. Oltre a telefonare, mi sto anche scambiando email con gli altri malcapitati, per capire come ritrovare le disperse.
Aggiornamento (7 ottobre): Bici ritrovata! Era in un deposito sotto lo stadio :)))
Sempre in merito al mio posto di lavoro, piuttosto assurdo.
È da stamattina che sono al telefono con le Alouettes di Montreal, colpevoli di avermi portato via la bici domenica scorsa.
Giovedì io ero partita per il lab retreat (segue post), lasciando la mia bici legata alla cancellata sotto gli spalti, come sempre. Recidiva, avevo dimenticato di controllare il calendario delle partite e questi energumeni che si lanciano la palla e si provocano traumatismi cranici giocavano proprio domenica. Quindi, chi organizza loro le partite ha pensato di tagliare il mio lucchetto e portare via la bici.
Dove essa sia resta per ora un mistero.
Ho già parlato con quattro persone diverse che si rimpallano la responsabilità.
Quelli della security di McGill mi han consolato dicendomi che non sono l'unica a cui sia successo. Oltre a telefonare, mi sto anche scambiando email con gli altri malcapitati, per capire come ritrovare le disperse.
Aggiornamento (7 ottobre): Bici ritrovata! Era in un deposito sotto lo stadio :)))
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