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Wednesday, August 14, 2019

Una galette per la stagione delle raccolte

Da oramai più di un mese è iniziata la stagione delle raccolte - di frutta - che per me va di pari passo con la sindrome dello scoiattolo. 
Il calendario prevede il seguente ordine
fragole
lamponi
mirtilli
pere
prugne
mele
e zucche per finire

Noi della famiglia cerchiamo di farne il più possibile, fomentati dalla cara amica Silvia che mi invia prontamente messaggi su quali aziende e fattorie abbiano frutta al giusto grado di maturazione. 

Adesso siamo già nel periodo dei mirtilli, i preferiti miei e della SignoRina, la quale un giorno se ne è mangiati una tale quantità da preoccupare l'educatrice del nido una volta cambiato il pannolone e trovato il "prodotto interno" di colore nero... Ma sorvoliamo su questi particolari, visto che sto per scrivere una ricetta.

I kg di frutta portati a casa devono prontamente essere conservati, trasformati o cucinati. E se c'è una cosa che mi piace in modo speciale sono le ricette americane di torte e crostate con la frutta estiva. Mi chiedo come mai ce ne siano poche italiane al confronto, ma forse è semplicemente perché la frutta in Italia è talmente buona che sarebbe peccato cuocerla, e poi perché a me con il caldo italiano non è mai venuto in mente di accendere il forno.

Ad ogni modo, segnatevi questa ricetta. È spettacolare nella sua semplicità, non solo di esecuzione ma di sapore. Ha pochissimo zucchero, non ha uova ed è in pratica un involucro di pasta frolla che avvolge la frutta. 

Ricetta modificata da Smitten kitchen, mio riferimento per le ricette americane.

Come si vede in basso a sinistra, io evidentemente non avevo chiuso bene la frolla sulla frutta e il succo è uscito...
Fate come dico, non come faccio


Galette di fragole

Per la frutta
2 tazze di fragole o mirtilli o un misto di frutti di bosco
3-4 cucchiai di zucchero grezzo di canna
2 cucchiai di amido di mais o di tapioca

Mescolare i tre ingredienti in una ciotola e lasciare riposare perché la frutta assorba zucchero e amidi.
Nel frattempo preparare la frolla.

Per la frolla
150 g di farina (per versione senza glutine, 1/2 tazza di farina di riso integrale, 1/4 di farina di tapioca, 1/4 di farina di saraceno, 1/4 di farina di mandorle)
100 g di burro a pezzetti
1/4 di tazza di yogurt o ricotta
3- 4 cucchiai di acqua fredda
1 cucchiaio di zucchero grezzo di canna
pizzico di sale
buccia grattugiata di mezzo limone

Setacciare insieme gli ingredienti secchi. Aggiungere il burro e impastare con la punta delle dita fino ad avere un composto sbricioloso. A quel punto integrare lo yogurt o la ricotta e l'acqua fredda (un cucchiaio alla volta) e impastare velocemente per farne una palla. Sarà un composto morbido e appiccicoso. Di quelli che uno impreca perché metà dell'impasto resta sulle dita. Metterlo in frigo a riposare per 20-30 minuti.
Pre-riscaldare il forno a 200 gradi.

Stendere la frolla con un mattarello o semplicemente schiacciandolo con le mani su una placca da forno rivestita di carta forno. Io uso le mani. Non bisogna darle una forma necessariamente rotonda. Versare al centro la frutta e richiudere la frolla sopra la frutta per evitare che il succo esca in cottura. È una torta molto rustica, quindi vanno benissimo le robe raffazzonate, fatte con una mano e asimmetriche. Se lo fate con una bambina di 20 mesi in braccio, riesce bene lo stesso. Garantito. 

Se proprio volete la sciccheria, spennellate di latte i bordi e cospargete di zucchero granulato. 
Infornate e cuocete per 30 minuti.  



Fatela, vi prego, prima che arrivi l'autunno.


Monday, March 5, 2018

L'importanza dello specchio

In questo giorno in cui molti italiani, ma evidentemente non la maggioranza, ha l'amaro in bocca pensando al presente e al futuro, io voglio lasciare su queste pagine una nota positiva. 
L'avrete già vista in giro sulla rete, la foto di questa bambina di due anni che rimane a bocca aperta di fronte al ritratto di Michelle Obama allo Smithsonian a Washington.


da qui

Da sola vale più di mille parole, ma già che siamo qui diciamole due parole.

Pare che la bambina pensasse che si trattasse di una regina e che dopo aver visto il ritratto voglia diventare regina anche lei.
La madre della piccola ha riferito alla CNN che "come donna e donna di colore, è molto importante mostrare a mia figlia esempi di persone che le assomigliano e che fanno cose importanti che passeranno alla storia, in modo che lei sappia che anche lei potrà fare lo stesso".
In fondo tutto ciò riflette esattamente quanto Michelle Obama aveva dichiarato in occasione della presentazione del ritratto:

"(Ragazze e ragazze di colore) vedranno l'immagine di qualcuno che assomiglia loro sui muri di questa grande istituzione americana... E io so quale impatto ciò avrà sulle loro vite, perché io ero una di quelle ragazze."

Teniamo duro. Io credo ci sia speranza.

Wednesday, March 22, 2017

California dreaming

Comunicazione di servizio.

Prossimamente il Teodolindo, il Sig. Tenace ed io saremo in trasferta di lavoro in quel di Long Beach, California. La trasferta di lavoro implica che io vestirò tubini neri e tacchi cercando di essere professionale, mentre il Teodolindo ed il Sig. Tenace staranno in infradito e occhiali da sole a godersi il sole della West Coast.



Ora, visto che oggi 22 marzo noi qui a Montreal stiamo ancora messi così



potete capire con quale trepidazione aspettiamo di imbarcarci sul volo che ci porterà a scaldarci un attimo chiappe e ossa, sperando che al nostro rientro la primavera sia giunta anche in Quebec.

Ma veniamo all'oggetto vero e proprio della comunicazione di servizio:

-chi di voi che legge sarà da quelle parti?
-chi sa darci darci consigli su dove mangiare, che posti vedere, cosa fare e come goderci al meglio il soggiorno a sud di L.A.?

Aspettiamo vostre dritte, qui in commento o via email (slicingpotatoes[at]gmail[dot]com).




Tuesday, February 14, 2017

Say my name

Non so se  ho mai scritto perché il Sig. Tenace si chiami così. Voglio dire, perché il Teodolindo ed io abbiamo deciso che lui mantenesse il suo nome cinese, dandogli solo il cognome del Teodolindo.

Forse non ne ho mai scritto perché per noi è stata una scelta naturale: era il suo nome da sempre, aveva due anni e mezzo quindi sapeva bene a quale nome voltarsi, infine era una delle poche cose che gli appartenevano e che definivano la sua identità da sempre.
Se ad una persona togli il nome, quanto togli e cosa resta?

Poi, va be', ci sono state altre motivazioni secondarie, ma importanti.
Ad esempio quel momento illuminante in cui ho assistito ad un colloquio di lavoro e la persona intervistata, titolare di un curriculum stellare e di un nome inglese, ha suscitato la sorpresa dell'esaminatore nel momento in cui ha varcato la porta, perché asiatica. E così il colloquio, da professionale, si è trasformato in
"Ma tu da dove vieni?"
"Toronto"
"No, ma davvero: di dove sei?"
"Sono canadese. (giustamente, iniziava a stizzirsi) Sono nato e cresciuto a Toronto!"
"No, ma i tuoi genitori di dove sono? O i tuoi nonni?".
Ah, per la cronaca, la persona con il cv stellare non è stata presa.

O quella volta in cui un segretario è andato in sala d'aspetto, ha dato un'occhiata alle persone in attesa, poi è tornato e mi ha detto
"No, il tuo paziente non è arrivato."
"Come lo sai? C'è gente in sala d'aspetto. Hai chiesto?"
"No, ma questo è un nome italiano e di là ci sono solo neri" (Gli ho suggerito di tornare nella sala e chiedere ad alta voce)

Dicevo, momenti illuminanti che ci hanno confermato che, anche in una società post-nazionale come quella canadese, è meglio che il nome rifletta l'identità, anche razziale e culturale, di una persona.

Quando stamattina ho letto dell'episodio di razzismo avvenuto alla Columbia University - a New York eh, mica nel profondo sud degli USA - in cui in occasione del capodanno cinese i nomi degli studenti asiatici è stato rimosso dalle porte dei dormitori, ho avuto un sussulto. Nomi tolti, identità negate.

Poi, un secondo dopo, ho visto come gli studenti cinesi hanno risposto:




"Sig. Tenace."
Gli insegneremo ad amare il suo nome (e il suo cognome), che fanno di lui una persona unica.
Lo diremo sempre forte e chiaro.
Correggeremo sempre quelli che lo pronunciano male.
Diremo a tutti quelli che ce lo chiedono cosa significa, perché "Per sempre resistente" è proprio un bel nome.

Say my name.


Wednesday, February 1, 2017

Vegliare

Vegliare.
Ho sempre amato questo verbo; racchiude l'essere all'erta, l'attesa e la speranza.

È quel che in molte città del Canada si è fatto due sere fa, ventiquattro ore dopo la strage di Quebec City. A Montreal l'evento è stato organizzato nel giro della mattinata da quattro giovani cittadini che non credo sperassero di ottenere una tale risposta.
Undicimila persone.
Tutte radunate nella piazza di fronte al Metro Parc, scelto perche vicino ad una moschea, nel cuore di uno dei quartieri a più alta concentrazione di abitanti di religione islamica.
Undicimila persone che hanno scelto di esserci alle sei di sera di una giornata di gennaio con temperatura a -18 e venti gelidi.
Noi non abbiamo esitato un attimo. O forse un attimo sì, viste le temperature, e ci chiedevamo
"Siamo degli irresponsabili? Portare un bambino di neanche 4 anni ad una veglia alle sei di sera, ora in cui i bambini nordamericani di solito hanno già cenato e son quasi in pigiama?!"
L'esitazione è durata giusto un attimo, poi eravamo tutti e tre sull'autobus che ci portava alla manifestazione. Ci siamo subito rilassati quando abbiamo visto che no, non eravamo gli unici con bambini. Al contrario di bambini ce n'erano una marea, anche più piccoli del Sig. Tenace. In effetti potevamo immaginarlo, visto che noi stessi avevamo saputo dell'evento tramite i genitori dei compagni di asilo del Sig. Tenace.


link


Il messaggio era chiaro: non si era lì tutti insieme solo per ricordare e stare vicini ad una comunità ferita.
Si vegliava anche per trasmettere ai figli che Montreal, come il resto del Canada, vuole essere "stronger not in spite of our differences, but because of them".




Alcuni signori di una certa età hanno visto il Sig. Tenace, ben coperto nella sua tuta da sci, e ci hanno chiesto "È la sua prima volta? Benvenuto!". Sì, e di sicuro non sarà l'ultima.

Ieri mattina leggevo uno schifo di articolo di una psicoeducatrice che suggeriva di non parlare di questi eventi ai bambini in età prescolare e, nel caso in cui, per sbaglio, questi venissero esposti alla notizia dire loro cose tipo "Non so perché quel signore l'abbia fatto" per evitare che al bambino venga poi l'ansia da "uomo cattivo". Ma dico, scherziamo!?

Il Sig. Tenace sa perché siamo stati in piazza.
Sa che c'è stato un uomo biondo con gli occhi azzurri che ha fatto molto male a delle persone perché erano diverse da lui e perché sono della religione di Ratiba, una delle sue maestre.
Sa che quel signore adesso è con la polizia che fa in modo che non faccia più male ad altre persone. Sa anche che tutta quella gente era in piazza per dire che quello che è successo è sbagliato e, a differenza del signore biondo, tutta quella folla vuole vivere in mezzo a persone diverse da loro.

link



























Come si diceva alla fine di un film

I genitori hanno due compiti fondamentali. Il primo è quello di difendere il proprio figlio dalla malvagità del mondo. Il secondo è quello di aiutarlo a riconoscerla.

Tutti quei bambini.
L'altra sera siamo tornati a casa con la speranza nel cuore.



Monday, January 23, 2017

Il mio comodino. Gennaio 2017

Ho in mente di fotografare il mio comodino una volta al mese, per un anno. Questo è il proposito, poi vediamo se riesco a tenere fede al progetto o se non mi perdo via.

In data 15 gennaio il mio comodino si presentava così:



Per caso, o forse non per caso, il comodino è condiviso da tre donne che secondo me andrebbero molto d'accordo tra loro. Le presento in ordine di anzianità:

Elisabeth Catez, meglio nota come Elisabetta della Trinità.
Leggo una pagina o due delle sue Opere Complete ogni sera. È un cioccolatino per l'anima che mi gusto prima di dormire, ma sono a pagina 620, la scatola sta per finire.

"Crois toujours à l'amour" malgré tout ce qui se passe.

"C'est la simplicité qui rend à Dieu honneur et louange... C'est elle qui nous transportera dans la profondeur où Dieu habite."


["Credi sempre all'amore" qualunque cosa accada.
È la semplicità che dà gloria e onore a Dio. È essa che ci trasporterà negli abissi in cui Dio abita.]


Rebecca Solnit, "Men explain things to me".
Uno di quei libri che riescono contemporaneamente a farti infuriare, a consolarti e a farti sperare. Spero in un mondo in cui donne e uomini siano più consapevoli di un concetto come quello del mansplaining, auspicando che la consapevolezza porti al cambiamento.

Per inciso, dicesi mansplaining quel fenomeno per cui gli uomini danno spiegazioni alle donne, spesso in tono paternalistico, su argomenti ovvi o in cui la donna in questione è esperta, partendo dal presupposto che loro ne sanno di più o che comunque sanno spiegarlo meglio. Lo so, se siete donne sapete benissimo di cosa sto parlando.

"Men explain things to me, still. And no man has ever apologized for explaining, wrongly, things that I know and they don't. Not yet, but accordingly to the actuarial tables, I may have another forty-something years to live, more or less, so it could happen. Though I am not holding my breath."
[Gli uomini continuano a spiegarmi cose. E nessun uomo si è mai scusato per avermi spiegato, in modo incorretto, cose che io so e loro no. Almeno non ancora, ma secondo le aspettative attuali, io potrei avere ancora una quarantina di anni da vivere, quindi può sempre succedere. Anche se non sto qui con il fiato sospeso.]

Silvia Pareschi, "I jeans di Bruce Springsteen e altri sogni americani".
Questo libro mi ha sorpreso. Frequento il blog di Silvia assiduamente e lei è di casa da queste parti. Di conseguenza, avevo già sentito, in forma ridotta o diversa, la maggior parte delle storie che lei racconta nel libro. Mi aspettavo quindi di ritrovare qualcosa di noto, e invece, per quanto molti elementi siano familiari (le sorelle della perpetua indulgenza, la residenza di Carl Djerassi,...) il libro mi tiene attaccata alle pagine come se stessi leggendo un giallo. Familiarità unita a sorpresa: ditemi voi se queste non sono le caratteristiche perfette di un buon libro.
E così lo centellino. Un racconto a sera al massimo. Un po' come quando stai prendendo un bicchiere di vino con un'amica e vuoi che duri molto di più di quei 150 cc.

"Già, i puma. Oggi ho portato con me un bastone, sembra che insieme al ruggito sia un elemento di protezione essenziale. La cosa migliore, però, sarebbe riuscire ad assestare un calcio sul naso dell'animale. Così dicono. Immagino la scena: io che ruggisco, roteando un bastone e alzando la gamba in un'agile mossa di kick boxing."






P.S. le traduzioni, come al solito, sono le mie personali, quindi molto approssimative...

Monday, December 12, 2016

This Is Us

Ma voi lo guardate This Is Us?
No? Allora iniziate. Adesso.

Dopo averne sentito tanto parlare, e molto bene, il Teodolindo ed io finalmente abbiamo iniziato a guardarlo. Non abbiamo la televisione né di conseguenza l'abbonamento via cavo, così abbiamo comprato l'intera serie su google play (19.90 dollari). Sabato sera ce ne siamo guardate tre puntate. Di fila, così senza fiatare. E siamo poi restati ancora sul divano per altri 45 minuti a discutere di quello che ci aveva colpito.  

Perché guardarlo? 
Perché parla di famiglie reali, neanche così rare. 
Perché viviamo in un mondo e in un immaginario televisivo e cinematografico "lavato nel bianco" (whitewashed come si traduce?!) e questa serie è un sorso di acqua fresca che aiuta ad uscire dal nostro privilegio razziale.
Perché in America hanno eletto Trump. 

Chi dovrebbe guardarlo?
Quelli che pensano che l'amore da solo basta e che se c'è l'amore allora tutto, prima o poi, si sistema. (see, magari...)
Quelli che sono stati feriti, nonostante l'amore ricevuto o magari proprio a causa di esso, e hanno imparato a convivere con quelle cicatrici.
Quelli che dicono "Io non vedo il colore della tua pelle. Per me bianchi o neri siamo tutti uguali." (però, loro, sono bianchi...)
Quelli che passano di qui e hanno famiglie o amici in cui l'adozione ha giocato o sta giocando la sua parte. Questa serie dovrebbe essere OBBLIGATORIA ad ogni corso pre-adozione. Per inciso, alcuni adulti adottati sono stati contattati come consulenti dagli sceneggiatori, e si vede.

Tanto per dare un'idea a chi non conosce la serie, trattasi delle storie dei membri di una famiglia composta dal padre Jack, dalla madre Rebecca, due figli biologici gemelli, Kevin e Kate, tutti bianchi, e un figlio adottivo, Randall, nero.

Questo è il trailer



E questo è un dialogo



Randall: "I don't want to be different from them"
Papà: "Different from who? The kids at school?"
Randall: "If I get an A, I'll get ice cream and Kevin and Kate won't. And then they'll hate me"
Papà: "You know, your mom and me, we always try to treat you kids the same. It hasn't always worked because, well, you're not all the same. You're adopted and we don't talk about that enough."
E continua "Maybe I don't want you to feel like you stand out. But you know what? I want you to stand out. I want all of you to be as different as you can possibly be".

Buona visione. 
E se già lo guardate, sono curiosa di sapere cosa ne pensate.



In più, un articolo su come This Is Us spieghi bene cosa vuol dire essere un bambino nero in una famiglia bianca. 


Thursday, December 1, 2016

L'effetto Trump al di là del confine - post n.2

Ci eravamo lasciati qui.
Come posso spiegare come hanno reagito i Canadesi?

Raccontandovi quattro avvenimenti.

1) Lavoro in un ospedale universitario della McGill University, università anglofona, a Montreal, che è una metropoli multirazziale e multiculturale. Quindi sia chiaro che la popolazione che lavora con me non è la stessa che vive a Chibougamau.
Il giorno dopo le elezioni, c'era uno strano silenzio, come se nessuno volesse commentare. Due giorni dopo, all'accettazione del Dipartimento di Radiologia è comparso questo cartello:



2) Come ho già accennato, il Sig. Tenace va in un asilo - pubblico- in cui viene data precedenza ai bambini di famiglie cinesi. Il 30% dei suoi compagni hanno entrambi i genitori di origine asiatica, un altro 30-40% ha un genitore asiatico e l'altro no. Sono 50 bambini in tutto.
Il giorno dopo le elezioni, sul gruppo facebook dell'asilo, ben due genitori hanno riportato episodi di razzismo e aggressione verbale rivolti a loro e ai loro bambini proprio mentre si recavano a scuola. In un caso a bordo di un autobus, nell'altro per strada, in una via del quartiere dove la scuola si trova e che è, tra l'altro, uno di quelli con maggiore diversità razziale. In entrambi i casi le parole, urlate ("Time is up! Be ready to go back to your country!", "Things are going to change!") sono state dette da persone di mezza età, bianche; in entrambi i casi gli altri cittadini presenti hanno subito, immediatamente fatto fronte comune contro l'attacco verbale difendendo i genitori e bambini oggetto dell'aggressione.

3) In giro per Toronto e Hamilton sono stati affissi messaggi come questo. A Ottawa hanno disegnato svastiche su una scuola elementare.

4) La domenica successiva le elezioni siamo andati a Messa alla Parrocchia di Chinatown. Alla fine della celebrazione ci siamo fermati a chiacchierare con amici e loro, preoccupati, ci hanno detto che gli episodi come quelli riportati sopra, negli Usa, tra i loro amici e familiari, erano aumentati in modo esponenziale (avete visto Day one in Trump's America?). Hanno aggiunto che si sta creando una rete di contatti per sostenere le famiglie e gli amici, Asian American, che sono negli Usa:
"Abbiamo offerto loro ogni appoggio per venire qui, se dovessero averne bisogno o se la situazione diventasse insostenibile. Quelli che sono ancora a scuola o in ambiente universitario ci hanno risposto "Il nostro posto è qui. Se ce ne andassimo anche noi, chi farebbe in modo di cambiare le cose in futuro?" Vedremo come evolve la situazione. Noi rimaniamo a disposizione e il nostro dovere è far sapere le cose!"
Il Teodolindo ed io, nel nostro essere bianchi e privilegiati e genitori di un bambino indubbiamente non bianco, ascoltavamo.


In conclusione, il regno di Trump è già tra noi, prima ancora del suo insediamento.
Gli effetti della sua politica sono già attuati, prima ancora di prendere il potere.
La prima disastrosa conseguenza della sua campagna e della sua vittoria è stata la legittimazione di opinioni ed azioni che prima venivano taciute e soffocate.
Quella fetta di popolazione bianca che si sentiva pian piano spogliata dei suoi privilegi, in nome dei principi di eguaglianza e tolleranza, adesso si sente autorizzata a manifestare l'odio e l'insofferenza verso chi è diverso da loro e viene ritenuto responsabile del diverso assetto del mondo e della società.
Adesso sono tutti a dire "Oh, visto? Si è calmato. Nel programma dei suoi primi 100 giorni non c'è nessuno dei punti caldi della sua campagna."
Eh già, mi vien da pensare. Non ha bisogno di attuare fin da subito quelle politiche discriminatorie o intolleranti che gli hanno portato così tanti voti, perché c'è tutto il suo popolo che penserà a farsi giustizia da solo o a spargere la paura. Con il beneplacito delle personcine deliziose che ha chiamato a governare al suo fianco.
Non è Trump che spaventa, ma quelli che lo sostengono e che ora sono a briglia sciolta.
Di qua e di là dei confini americani.

La differenza, grossa, è che qui il governo e la maggioranza della popolazione canadese hanno ben altri principi, diametralmente opposti, e si è pronti a difenderli, quei principi.
Ma fino a quando? "Don't underestimate the power of the American culture!" dicono qui
Ne saremo capaci?
Anche se siamo isolati?

"We can keep our eyes open just for this subtle thing creeping into our communities. We can talk to each other when we see it. We can just demonstrate love to our kids by showing how in any neighborhood we build bonds no matter what our background. It's funny how being mad about something can bring you together, but I guess that cuts both ways."
Ian Daffern, scrittore e genitore, da qui




Per approfondimenti
Dietro la vittoria di Trump c'e' la rivincita dell'uomo bianco.
The real reason Donald Trump got elected? We have a white extremism problem.
Making America white again.

Friday, November 25, 2016

L'effetto Trump al di là del confine - post n.1

Cosa vuol dire in Canada che i vicini del piano di sotto abbiano eletto Donald Trump come prossimo presidente?
Come hanno reagito i Canadesi?

Prima di parlare dell'effetto Trump da questa parte del continente nordamericano, c'è bisogno di qualche premessa utile per capire le relazioni tra i due Stati. Per non appesantire il post, do la precedenza alle immagini, anche perché questo non vuol essere un'analisi sociologica e politica, ma solo il punto di vista di un'immigrata che guarda con occhio ibrido il mondo che la circonda.

Come gli Americani vedono il Canada
-Per gli Americani in genere, il Canada è uno stato socialista. Per fare un esempio, nel 2013 ero ad un congresso di neuroradiologi americani a San Diego e si discuteva la riforma Obamacare. 'Sti neuroradiologi americani, che neanche vi potete immaginare quanto guadagnano, erano terrorizzati dall'impatto della riforma sul loro stipendio. Ad un certo punto una tizia è salita sul podio al microfono e ha detto: "Ma vi rendete conto? Qui rischiamo di diventare come i Canadesi!". Orrore.

-Negli Usa le battute sui Canadesi gentili, cortesi e remissivi sono un classicone


"Canadian Graffiti", in un episodio dei Simpson


-Un altro super classico è che gli Americani pigliano per i fondelli i Canadesi, ma ogni qualvolta le cose girano male negli Usa iniziano a dire "Male che vada ci trasferiamo in Canada!". Seriamente.
Prima delle elezioni, in rete giravano questi poster



E la notte dell'elezione, il sito di Canada Immigration è andato in tilt.

Siamo davvero in uno Stato socialista?
Ma neanche per un cazzo.
I liberali canadesi sono conservatori per noi Europei. Il Sistema Sanitario, di cui per inciso i Canadesi si vantano, è pubblico per modo di dire. Certo, non stiamo come negli Usa, ma neppure come in Europa. Qui, per farvi un esempio, gli esami diagnostici sono gratis, ma i farmaci si pagano. Quando si discute la terapia di un paziente con tumore, si guarda prima la sua assicurazione per capire quanto sarà rimborsato o se non dovrà fare un mutuo per pagarsi la chemioterapia. Socialisti?

Chi c'è al Governo
Qui sta l'enorme differenza con gli Usa e anche con il resto del mondo.
I Canadesi, nel novembre 2015, dopo nove anni di governo conservatore, hanno eletto il Sig. Justin Trudeau, liberale, classe 1971, figlio di uno stimato ex-primo ministro.
Signore e Signori, vi presento il Sig. Trudeau:






Questo è il governo da lui formato:


50% donne, 50% uomini. Cinque minoranze razziali visibili, tra cui due ministri autoctoni (mai capitato prima). Un ministro con disabilità motoria. A proposito di rappresentare e dar voce alle minoranze...

Quando un giornalista gli ha chiesto:
"Come mai un governo in cui donne e uomini sono presenti in egual numero?"
Lui ha laconicamente risposto:
"Because we are in 2015"

Inoltre
-Ha parlato alle Nazioni Unite sulla situazione delle donne (video) dicendo più o meno
"Ogni volta che dico che sono femminista, la gente applaude e si esalta, invece non dovrebbe essere un'affermazione che crea una tale reazione. Continuerò a dire forte e chiaro che sono femminista fino a quando le mie parole susciteranno solo un'alzata di spalle. "
 -È stato il primo Capo del Governo a partecipare al Gay Pride di Toronto;



-Ha attuato da subito una politica ambientale aumentando progressivamente il prezzo del carbone e minacciando di commissariare le singole province che non si adeguano.



Abbiamo di fronte una speranza della politica internazionale o solo un gran paraculo? Forse un po' di entrambe le cose.
Io resto scettica e lo aspetto al varco perché un anno di governo è troppo poco per formulare giudizi.

Quel che è indubbio è che le parole di chi governa contano, anche solo le parole prima dei fatti, ed hanno una ricaduta enorme su come i cittadini vivono e si comportano.

Detto questo, qualcuno di voi si sarà fatto un'idea su come possano aver reagito i Canadesi alla vittoria di Trump. Ma le cose non sono così semplici come sembrano e di questo parlerò nel prossimo post...

Thursday, November 10, 2016

Grace


Phillip Lim

Questo qui sotto è il post di instagram che Phillip Lim, stilista americano di origine cinese, aveva scritto qualche tempo fa, prima delle elezioni di ieri, in modo leggero ma efficace





Questo è quello che ha scritto ieri, ed io l'ho trovato talmente bello che mi ha emozionato.




Grazia.
Abbiamo bisogno di grazia. Avremo bisogno di grazia.
Ne avranno bisogno soprattutto quelli che come Phillip Lim - e lui tra loro è un privilegiato! - saranno l'oggetto di micro e macroaggressioni sdoganati dal risultato di queste elezioni americane.




Phillip Lim è la mia ultima cotta strastosferica. Sono innamorata di qualunque cosa dica, faccia e dei suoi modi. Il Teodolindo lo sa e, tra l'altro, lo ama anche lui.