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Wednesday, November 27, 2019

I fratelli Fan e la balena

Già il titolo del post potrebbe sembrare una fiaba, e di questo sto per parlare.
Di libri con fiabe bellissime.

Ho già avuto in passato innamoramenti letterari per alcuni autori di albi illustrati. Alcuni me li porto dietro da più di vent'anni (Lisbeth Zwerger, oh Lisbeth Zwerger!), altri come il "signor Oliver" (il sig. Tenace lo chiama così, è un bambino educato) sono più recenti.
L'ultimo è recentissimo, meno di un anno. Si chiamano Terri e Eric Fan, meglio noti come i Fan Brothers.
Galeotti furono i due libri regalati dalla marraine francese del Sig. Tenace a quest'ultimo. Che mica li scegliamo male, noi i padrini e le madrine! Ci aveva visto lungo, e infatti il Sig. Tenace ha immerso il naso in The night gardener ("Il Giardiniere notturno" nella versione italiana edita da Gallucci) e non l'ha più dimenticato. Poi ha sfogliato Ocean meets sky (it."Dove il mare incontra il cielo", sempre Gallucci) e l'ha colpito così tanto che ne ha stracciato una pagina. Mai capitato prima.

Io e il mio piccolo lettore siamo stati folgorati da illustrazioni che sono magnifiche, un misto di realistico e fantastico. I personaggi e le storie avevano sempre sullo sfondo un non so che, un immaginario familiare per me e soprattutto per il Sig. Tenace. Niente di dichiarato, ma un qualcosa di imprescidibile, essenziale.
Vediamo se lo notate anche voi che passate di qui:









Penso si sia capito.
I fratelli Fan sono canadesi, di origine cinese da parte di padre e nel loro immaginario la Cina è presente in modo inevitabile, tuttavia non protagonista. Esattamente come nelle loro vite.
Questo è il motivo, credo, per cui il Sig. Tenace ne è rimasto sconvolto ed affascinato allo stesso tempo. Ed io di rimbalzo.

Quando cerchiamo libri per bambini con protagonisti asiatici, e li cerchiamo di continuo perché ce ne sono pochi, troviamo per lo più libri ambientati in Asia, con storie tipicamente, e a volte purtroppo stereotipicamente, asiatiche. La bambina che festeggia il capodanno cinese, il bambino che ha i genitori che lavorano nei campi di riso, la famiglia che va a mangiare il dim sum la domenica,...

Il Sig. Tenace li legge, gli piacciono anche, ma vede una distanza rispetto alla propria esperienza. Non lo riguardano così da vicino.
I libri dei fratelli Fan invece lo toccano. La Cina è lì, dentro di loro, ed esce nel raccontare storie ambientate dall'altra parte del mondo. Tra i personaggi ci sono bianchi e ci sono asiatici. Ci sono scoiattoli e ci sono carpe. C'è le neve e ci sono le lanterne. Ci sono nonni che guardano dal cielo perché lontani e mamme che abbracciano i bambini che hanno sognato i nonni lontani.

E fu così che quando ci siamo trasferiti nella casa nuova, che ha un'enorme scala tutta bianca, con muri bianchi, abbiamo deciso di metterci un pezzetto dei fratelli Fan ed accogliere lei:


La balena bianca veglia su di noi, è il nostro cane da guardia. La SignoRina la saluta quando scende le scale al mattino appena sveglia, il Sig. Tenace mi chiede ripetutamente se secondo me, poi alla fine, la balena colpisce la nave o no.



Speranza in un post precedente mi chiedeva indicazioni su libri per bambini un po' più diverse, ovvero con protagonisti non tipicamente bianchi come capita nel 90% dei libri per l'infanzia. Inizio da loro, perché non potrebbe essere altrimenti e perché penso che i bambini di tutto il mondo si possano perdere tra i loro disegni. 
Sta per arrivare Natale e se non sapete cosa regalare a dei bambini, o anche adulti, attorno a voi questi libri potrebbero essere una buona opzione per rendere le nostre biblioteche familiari un po' meno uniformi in quanto a rappresentazione.


Tuesday, November 19, 2019

La rabbia e la speranza

Ho conosciuto una persona che mi ha folgorato. Purtroppo, almeno per ora, l'ho conosciuta solo tramite i social network, ma chissà...
Parlo di Esperance H. Ripanti.



Un giorno il mio amico Kim Soo-Bok Cimaschi (adottivo italiano di origine sudcoreana, direttore della rivista AdopNation) mi invitato a seguire la pagina di Esperance su facebook, così senza neanche dirmi perché. Non che mi ci volesse molto a capirlo: italiana, nera, adottata.
E anch'io, senza neanche ringraziarlo, ho iniziato a seguirla. Con lui spesso è così, ci mandiamo riferimenti, contatti, e bon, ci si capisce. E infatti sono bastati due post per capire che era rivoluzionaria, almeno per la realtà italiana, e che l'avrei amata visceralmente.

Un po' ne ho parlato su questo blog, ma sempre troppo poco per i miei gusti, di una questione che mi sta veramente a cuore, ovvero gli italiani e il razzismo. E qui di solito c'è già gente che storce il naso.
Qualcuno già dice "ma gli Italiani non sono razzisti" o, altra faccia della stessa medaglia, "non siamo mica tutti razzisti". 
Sì. Lo siamo.
E non vogliamo rendercene conto. Non vogliamo sentircelo dire.
Il problema è che in Italia si è così indietro, ma così indietro sull'idea di una società multirazziale e multiculturale, che ci manca ancora la consapevolezza, ci mancano le basi per analizzare il problema.
Chiarisco subito un punto fondamentale. Non è che io ne sia immune, anzi. Io sono razzista come gli altri. Solo che ho avuto il puro culo di trovarmi a vivere da nove anni in un paese che me l'ha fatto capire. Il Teodolindo ed io a stare a Montreal abbiamo imparato che siamo razzisti, come lo sono gli italiani. Ma abbiamo anche imparato che, come dice Maya Angelou:


Quindi:
1. apertura degli occhi: "Oh cazzo, vuoi vedere che sono razzista? Io?!"
2. sconforto, smarrimento
3. reazione: "Ok, e adesso che lo so? Cerco di fare meglio, e soprattutto ci faccio attenzione"

Il punto è che avendo un figlio italiano appartenente ad una minoranza visibile questo processo ha assunto caratteri di urgenza. Mentre io, bella immersa e comoda nel mio privilegio di persona bianca, potrei anche prendermi tutto il tempo per cambiare il mio essere razzista, il Sig. Tenace vive sulla sua pelle, letteralmente, quella lacuna enorme della società italiana e mi obbliga - grazie! - a muovere il culo, perché io devo cambiare, le cose devono cambiare, adesso.
Quando qualche giorno fa l'ultrà del Verona ha detto di Balotelli (toh, un altro italiano nero adottato!) che "Lui non sarà mai totalmente italiano", io ho ringraziato che il Sig. Tenace non leggesse i quotidiani, ma quelle parole sono risuonate così familiari, ma così familiari! E dire, io non conosco neppure un ultrà e non ho amicizie nel mondo dell'estrema destra, ma quella frase lì "Ah, sì, il Sig. Tenace è italiano, ma non è italiano. Capisci cosa voglio dire?" me la sono sentita dire troppe volte. In primis da mia madre, alla quale se provo a dire "Ti rendi conto che hai detto una roba davvero razzista?"
mi risponde "Chi io? Ma no! Oh come sei suscettibile". 
O l'anno scorso quando ho fatto notare ad un mio contatto facebook che no, vestirsi da "orientale" (per inciso, si dice asiatico, orientale sono i tappeti) a carnevale non si fa, che la cultura altrui non è un costume, mi sono sentita dire "Va bè, ma allora non si può più travestirsi da niente!".
Di questo sto parlando, non dell'insulto "n**ro di merda" che siamo tutti capaci ad identificare come sbagliato.

Seconda rivelazione: non sta a noi decidere cosa sia razzista o no. Se una persona appartenente ad una minoranza visibile, o uno straniero, ci dicono che certi comportamenti, certe parole, sono razziste, facciamocene una ragione. Sit with your discomfort, dicono qui, stiamo zitti e impariamo. 

Perché tutta 'sta premessa fiume per parlare di Esperance?

Perché da anni il Teodolindo ed io viviamo con un senso di frustrazione immane, che spesso si trasforma in rabbia. Vorremmo che gli italiani capissero come sta messa l'Italia, che chi fa paura non è solo Salvini, ma sono anche quelli che si tingono la faccia di nero, quindi con un gesto di per sé storicamente razzista, per protestare contro il razzismo e si mettono la maglietta "L'unica razza che conosco è quella umana!" (ci credo, sei bianco! Vallo a dire agli italiani neri che le razze non esistono...). 
La soluzione, una delle soluzioni almeno, è dare più voce e visibilità agli italiani non bianchi. E allora ogni volta che una di quelle voci emerge, io vorrei far loro da amplificatore:

Kim Soo-Bok Cimaschi e Laura Pensini



Igiaba Scego



E Esperance H. Ripanti.



La missione di Esperance, per sua stessa definizione, è di cambiare la voce della narrazione. Lei vuole raccontare storie di italiani come lei, perché ce n'è bisogno. Perché i bambini italiani neri, le ragazzine italiane nere hanno bisogno di storie con personaggi in cui possano identificarsi. 
Il Sig. Tenace ha bisogno di storie, di personaggi -italiani! - con i suoi tratti somatici. Altrimenti si sentirà sempre uno straniero. Altrimenti si sentirà sempre "Italiano, ma non completamente italiano". 

Esperance parla senza mezze misure. Dice chiaro e tondo che lei non deve essere riconoscente a nessuno. Né ai suoi genitori adottivi, né ad un paese che l'ha "accolta". Perché il concetto di riconoscenza prevede un rapporto di inferiorità, non di uguaglianza. 
Dice chiaramente che gli italiani sono razzisti, e quelli che vanno in Africa e si fanno le foto con i bambini neri e poi le mettono su facebook, lo sono anche più degli altri perché partono dalle migliori intenzioni possibili. Oh, scandalo!

Come dice Esperance, avere il coraggio di dire le cose, di chiamarle con il loro nome, le fa diventare reali. E allora ci si può lavorare su e si può sperare nel cambiamento.

La rabbia che diventa speranza. 

Se ancora non conoscete Esperance e la volete conoscere:
-ha appena scritto un libro


-è stata intervistata dalla Bignardi (link);
-è in questo podcast illuminante;
-e per gli amanti dei libri, ha pure un suo podcast che si intitola Bookcrossing.

Oppure fate come me e seguite la sua pagina facebook e il suo profilo instagram.









Tuesday, July 23, 2019

Post senza foto, perché a volte va bene così

Almeno una volta all'anno, mi prendo un giorno di ferie da passare da sola con il Sig. Tenace. Ieri è  stato così.
Ed è stata una giornata talmente bella e vissuta semplicemente momento per momento, che non mi sono mai ricordata di tirare fuori il telefono per fare una foto. Restano solo i miei e suoi ricordi. 
E dire che non abbiamo fatto niente di eccezionale e neppure nulla che ci fossimo programmati.

Sveglia alla solita ora antelucana, grazie alla SignoRina che probabilmente non voleva farci perdere neppure un attimo. Abbiamo fatto colazione, ci siamo preparati e il Sig. Tenace ed io abbiamo inforcato le nostre bici per portare la SignoRina all'asilo. E già qui, contemplavo la differenza rispetto alla nostra "vacanza" precedente: allora lui non sapeva ancora andare in bici, né tantomeno affrontare le piste ciclabili montrealesi di un giorno lavorativo. Il mio bambino cresce. 
Abbiamo salutato la SignoRina e poi ci siamo diretti in libreria per comprare un regalo per un suo amico. Vediamo chi indovina cosa ha scelto il Sig. Tenace? Un bel libro sui dinosauri, che stanno ai seienni come i libri di cucina per i 40enni: non sbagli mai. 
Il Sig. Tenace voleva ovviamente un libro anche per sé. A quel punto c'è stata la proposta: se vuoi comprarlo, te ne posso prendere solo uno - gli ho detto - Se invece andiamo in biblioteca, te ne puoi portare via almeno tre. Mio figlio è furbo, ha scelto la biblioteca. 

Io pensavo ad una visita piuttosto veloce, seguita magari da un caffè e croissant di metà mattina, e invece alle 12.30 eravamo ancora lì dentro. Il Sig. Tenace con il naso appiccicato a libri di qualunque genere, anche se ultimamente è molto da "manuale enciclopedico". I pompieri, i vulcani, le formiche (?),... Io cercavo di svignarmela per andare a curiosare tra i miei, di libri, ma probabilmente mi aveva legato al polso un braccialetto elettronico invisibile, perché ogni qual volta mi allontanassi anche solo di uno scaffale venivo richiamata all'ordine: "Mamma! Dove sei? Vieni subito qui a vedere che roba questa colonia di scarafaggi cinesi..."
Alla fine ne ha scelti cinque per sé e due per sua sorella. 

Pranzo a casa, con una normale pasta al ragù, e poi dal parrucchiere per me. Lui, con tre libri al seguito, aveva la chiara direttiva di non alzarsi dal divano del salone per la durata del mio taglio di capelli, e invece due secondi dopo si rotolava per terra e giocava con gli espositori di unghie finte dell'estetista. E alla fine mi ha detto: "Mamma, sei bella. Puoi darmi un bacio, se vuoi".

Merenda con gelato, caduto per terra dopo tre leccate (non per colpa del Sig. Tenace, povero) - seguita da seconda merenda con cookie al doppio cioccolato. 

Abbiamo poi raggiunto il resto della famiglia e alcuni amici al parco e il nostro tempo a due si è concluso. 

Appunto, niente di che.
Ma camminare tenendolo per mano, con la sua mano che diventa sempre più grande e forte, parlare di tante cose, dai pokemon al perché sua sorella gli dia spesso fastidio, vederlo crescere, e sapere che per ora è ancora un piacere per entrambi passare una giornata insieme è semplicemente impagabile.  

Tuesday, February 26, 2019

Un compleanno giurassico

Ieri è stato il compleanno di quel piccolo grande uomo che da quasi quattro anni ho l'onore di chiamare figlio. Colui che mi ha insegnato che il cuore umano non basta a contenere l'amore che si può provare, colui che mi fa ridere come pochi altri al mondo, colui che mi insegna il giusto approccio alla vita essendo stato definito superbamente da una sua maestra "highly determined to enjoy his day".
Sig. Tenace, sei tu.

Domenica sono iniziati i festeggiamenti, con una piccola festicciola a cui erano invitati solo i suoi tre amici del cuore dai tempi dell'asilo.
A colazione, con ore di anticipo, io mi trovavo a ultimare i dettagli per la preparazione della torta. Di solito non sono mai così pronta e pianificatrice, ma da quando siamo in quattro, con la SignoRina  capace di sorprese tipo "Adesso mamma avrei deciso di stare in braccio a te e solo te per le prossime tre ore, a costo di urlare fino a farmi scoppiare le corde vocali. Vi va bene?" e il Sig. Tenace facile preda di attacchi di gelosia feroci, meglio essere previdenti.

Dicevo, mi apprestavo a decidere come fare la torta, una crostata di frutta, e incredibilmente la base della frolla riposava già in frigo. Avevo dei dubbi sulla crema, però, quindi ho fatto l'errore di chiamare mio fratello, referenza culinaria della famiglia.
Lui ascolta il mio progetto di crostata senza troppo entusiasmo, poi mi butta lì:
"Certo che la cosa figa sarebbe fargli una torta a forma di dinosauro..."
"Sì, come no... "

Qui urge fare una precisazione, per coloro che non conoscessero mio fratello di persona. Oltre al genio culinario, egli si caratterizza per due particolarità:
a. una passione sfrenata e decennale per i dinosauri, come il nipote, ma di più lunga data;
b. una tendenza incorreggibile a fare tutto all'ultimo minuto. Ultimo, non penultimo. Ultimo.

Ci salutiamo, e un secondo dopo questa è la nostra conversazione whatsapp (ovviamente l'istigatore è mio fratello, e l'abboccatrice sono io):


E lo sapevo che sarebbe arrivata. La pulce nell'orecchio. 
Cercavo di autoconvincermi, "Fai la tua crostata tranquilla e goditi la mattina", ma il mio cervello non rispondeva. In sei minuti avevo già cambiato idea e mi ritrovavo nel vortice del "Dai che ce la faccio!"


Di seguito un elenco puntato di quel che è stata la mia mattinata, in ordine cronologico:
  1. Ho rifatto due volte la base per la torta, perché la prima mi si era rotta;
  2. Ho imprecato pesantemente contro il Teodolindo e la sua celiachia che mi costringe ad avere a che fare con frolle friabili come gesso;
  3. Ho improvvisato una crema di mascarpone e panna montata ben ferma, sperando che il composto, debitamente raffreddato in frigorifero, sostenesse il peso dei dinosauri (illusa);
  4. Ho cercato, senza farmi troppo notare, dei dinosauri che potessero stare su una torta: il Sig. Tenace a Natale aveva ricevuto famiglie di dinosauri, dovevo solo trovare i bebé;
  5. Sono uscita per andare al supermercato sfidando la pioggia ghiacciata, detta verglas. Per coloro che, vivendo in climi più miti, non avessero idea di cosa sia il verglas, sappiate che trattasi di milioni di micropugnali di ghiaccio che prima ti colpiscono la faccia, poi si depositano al suolo trasformandolo in uno specchio gelato su cui o pattini, o cadi. Io mi sono portata dietro la SignoRina in passeggino che, per l'occasione, ha svolto il ruolo di deambulatore;
  6. Ho girato il supermercato cercando pistacchi e coni gelato senza glutine (trovati! Culo!);
  7. Ho cotto la base, lasciata raffreddare e aspettato di poter verificare che il mio progetto funzionasse;
  8. Ho verificato che il mio progetto non funzionava. Appena appoggiati sulla crema, i dinosauri annegavano e sprofondavano nella panna. Merda. 
  9. Ho nuovamente imprecato, stavolta contro me stessa per aver ascoltato mio fratello;
  10. Ho leccato via la crema dalle zampe di stegosauro e diplodoco, che almeno una consolazione me la meritavo...
  11. Me le sono sentite dal Teodolindo che ha sentenziato: "È deciso. La prossima volta la torta la si compra".
  12. Ho escogitato un piano B che prevedeva l'uso di mezzi coni gelato, di cui abbondavo, che mimetizzati nella crema avrebbero sostenuto il peso dei dinosauri senza essere visibili;
  13. Ho verificato che il piano B funzionava. Gioia e tripudio.
  14. Ho assemblato la torta, tenendo tutte le dita del corpo incrociate.
  15. Ho chiamato il Sig. Tenace per fargli la sorpresa, giusto in tempo prima che arrivassero gli amici.
  16. Ho appurato quanto l'espressione di meraviglia del Sig. Tenace fosse impagabile rispetto alle frustrazioni delle ore precedenti. L'anno prossimo sicuro che ci ricasco.

Madames et messieurs, ecco la torta giurassica:

Vero che i puntelli non si notano?


La ricetta non la metto per ovvie ragioni.





Friday, June 29, 2018

Lo ius spiegato a un bambino

Non è la prima volta che il Sig. Tenace fa la stessa domanda. L'ultima volta, stamattina a colazione:
"Ma noi cosa siamo? Siamo italiani?"
"Sì, siamo italiani. Tutti e quattro."
"E perché siamo italiani?"
"Allora. Ci sono tre modi per essere cittadini di un posto: perché ci nasci, perché i tuoi genitori sono di quel posto o perché ci sei andato a vivere. Tu e la Bebewa* siete italiani perché io e il papà siamo italiani. Poi tu sei anche cinese perché il papà e la mamma della Cina erano cinesi e sei nato in Cina. E la Bebewa è anche canadese perché è nata qui. Magari presto anche noi tre diventeremo canadesi come lei."
Riflette.
Io continuo un attimo.
"Poi altra cosa è come uno si sente, perché ci sono persone che hanno il passaporto italiano, ma non si sentono italiane ed altre, ad esempio, molte altre, che si sentono italiane ma non possono ancora esserlo. Uno è quello che si sente di essere. Tu cosa sei, Sig. Tenace?"
"Io sono italiano. E cinese. E anche un po' giapponese."

Eccolo là. Credo che abbia giocato un peso la sua passione per sushi e udon. Purtroppo per lui lo ius palati non è stato ancora regolamentato giuridicamente.




*Il Sig. Tenace chiama la SignoRina così da quando è nata. Ormai ci siamo un po' adattati anche noi.

Thursday, August 31, 2017

Le reazioni del Sig. Tenace

E veniamo alle reazioni del Sig. Tenace.

Il punto è che era preparato all'arrivo di un fratello o di una sorella. Era stata la psicologa che ci segue per l'adozione che ci aveva detto di iniziare ad introdurre l'argomento: "Come sapete le procedure possono essere lunghe, ma possono anche essere rapide. Non potete permettervi di annunciargli che avrà un fratello e che, dopo neanche due mesi dall'annuncio, lui si trovi a fare un viaggio in Cina e poi a dividere casa con un bambino di due-tre anni". Giustamente.
Avevamo pertanto iniziato a dirgli che stavamo chiedendo a delle persone, tra cui la psicologa, di aiutarci a vedere se per caso potevamo diventare i genitori di un altro bambino nato in Cina, che sarebbe diventato suo fratello. Tutte le precauzioni del caso erano state prese: "Non sappiamo. Magari non capiterà mai. Vediamo. Ci stanno aiutando."
Fatto sta che 'sto fratello/sorella che probabilmente sarebbe arrivato dalla Cina era nei suoi pensieri.

E così, quando io sono rimasta incinta, il panico si è impossessato di noi anche per quel che riguardava il come dirlo al Sig. Tenace. Visto che siamo maturi, abbiamo pensato di rimandare l'annuncio a data da destinarsi, e comunque dopo la fine del primo trimestre. Se non fosse che io abbia iniziato a vomitare come la protagonista de l'Esorcista ogni mattina e che il Sig. Tenace abbia di conseguenza cominciato ad inquietarsi per la mia salute. "Mamma, stai male? Mamma, sputi sangue? (no, per fortuna no) Mamma fammi entrare, voglio vedere!"
A quel punto era chiaro che fosse meglio dirgli la verità, anche se prima del previsto.

"Sai, Sig. Tenace, quando vomito non è perché sono malata, ma perché c'è un bebè nella mia pancia e questo bebè è tuo fratello!"
(impassibile) "Mio fratello è in Cina"
"Uhm, mi sa che tuo fratello è nella mia pancia"
"Ah. Quindi prima era in Cina e adesso è nella tua pancia".
Ecco, mi sa che dobbiamo parlare mooolto.

Qualche giorno dopo il metabolismo della notizia si avviava ed il Sig. Tenace mi aspettava dopo il lavoro per mostrarmi la sua di pancia e annunciarmi:
"Mamma, guarda! C'è un bebè nella mia pancia e questo bebè è tuo fratello!"
"Uhm, Sig. Tenace, no, non funziona così."
"Allora è la sorella del papà?"
Ecco, mi sa che dobbiamo parlare un po' anche delle relazioni familiari. Aggiunto all'agenda. Abbiamo otto mesi, ce la possiamo fare.

L'immedesimazione con me ha raggiunto livelli un filino estremi quando ha iniziato ad annunciarci:
"Non sto molto bene", dopodiché si riempiva la bocca di acqua, correva in bagno, sentivamo lo sciacquone, poi usciva sorridendo e diceva "Ah. Adesso va meglio".
Lì è scattato un campanello di allarme, ma per fortuna l'identificazione si è autoesaurita nel giro di pochi giorni.

Alla fine piano piano si è abituato all'idea, grazie anche alla mia pancia che cresceva, nonostante per mesi lui abbia avuto più pancia di me e la cosa lo confondeva un po'.

Pingu-Sig Tenace e la gestazione

Giunse poi il momento di dirgli che fimmina era, la creatura.
Sera, seduti sul divano:
"Sai Sig. Tenace, il bebè nella mia pancia è una femmina. Avrai una sorella."
Sguardo fisso, nessuna reazione.
Va a letto, dopo la routine libro, lavaggio denti, canzoncina. Sempre nessuna reazione. Boh!
Al mattino al risveglio e, ancora disteso nel letto, mi dice:
"Io ho una sorella, Milo no".
Ma che bello! La prima reazione è stata la competizione con il suo amico-nemico dell'asilo! Fantastico. Di che essere contenti. Gli ho fatto promettere di non andare all'asilo a canzonare Milo con robe tipo "Io ho una sorella e tu no! Tié tié tié! Beccati questa, Milo!".

Evidentemente la competizione sui fratelli e' più diffusa di quanto non si creda 


Ora, qui la metto sull'ironico. Ma ciò non toglie che l'inizio non sia stato facile. I riferimenti alla mamma della Cina, e a quando lui era nella sua pancia sono stati presenti e tornano regolarmente. Ed è normale che sia così. Noi li affrontiamo e ne parliamo come e quando lui vuole. Sappiamo che sarà qualcosa che ci sarà anche dopo la nascita, e forse rimarrà sempre. Chissà come vivrà il vedere che sua sorella ha con noi genitori delle esperienze di vita e relazione che a lui sono state precluse? Staremo a vedere, per ora vigiliamo. E cerchiamo soprattutto di insistere sul fatto che ogni bambino è unico, come ogni relazione genitore-bambino. Non siamo di sicuro quelli che "Per me siete uguali! Non ci sono differenze! È come se tu fossi uscito dalla mia pancia!" perché non è vero, le differenze nelle loro vite sono palesi fin dall'inizio e lui lo sa meglio di noi. Non li ameremo allo stesso modo. Li ameremo in modo speciale, ognuno a modo suo. Perché loro due sono unici e meritano un amore unico. Ma questo potrebbe essere oggetto di un altro post.



Piccolo siparietto finale sulle reazioni di amici/amiche del Sig. Tenace all'asilo. Le riporto in lingua originale perché suonano meglio:

Bambina 1: "Qu'est-ce qu'il y a dans ta bedaine?" [cosa c'e' nella tua pancia]
Io: "Un bébé! C'est la petite sœur du Monsieur Resistant"
Bambina 1 recepisce il messaggio.
Il giorno dopo, Bambina 1: "Qu'est-ce qu'il y a dans ta bedaine?"
Io (di nuovo?): "Un bébé! C'est la petite sœur du Monsieur Resistant"
Bambina 1, abbastanza seccata: "Encore!?! Mais elle était déjà là hier!" [ancora?! Ma era già lì dentro ieri!] 
Fortunatamente le gravidanze durano più di un giorno...

Bambina 2, con aria disgustata: "What's in your stomach?"
Io: "It's a baby! It's Mr. Fighter's sister! You should be used to that: your mother just had your baby brother!"
Bambina 2: "Oh yeah. But you know, my mom is special".
Invece io sono assolutamente banale...

Bambina 3: "What's in your tummy? Is Mr Fighter's sister?"
Io: "Yes!"
Bambina 3: "Is she naked?"
Spero. Sarei sorpresa uscisse con addosso già una bella tutina...









Tuesday, July 25, 2017

Chi l'avrebbe mai detto - e due!

Chi l'avrebbe mai detto che sarei rimasta incinta.
È successo sei mesi fa, quindi a quest'ora dovrei essermici abituata. Invece mi fa ancora lo stesso effetto. Sorpresa.

Premettiamo alcune cose, che qui non ho mai chiarito.
L'adozione per noi è sempre stata una scelta, mai un ripiego o un piano B ad un piano A andato in modo imprevisto.
Nel momento stesso in cui abbiamo iniziato a cercare di avere figli, abbiamo avviato le pratiche per l'adozione e abbiamo smesso di prendere precauzioni. Immaginavamo una famiglia con figli biologici e figli adottivi e ci dicevamo "Whoever comes first...", vediamo cosa capita prima...
Ingenui.
Dopo neanche un anno era chiaro che entrambe le strade, per motivi che non mi dilungo a spiegare, erano meno facili del previsto.
Dopo due anni abbiamo dovuto fare i conti con la possibilità che né l'una né l'altra strada potessero mai portare ad un figlio.
Adesso che di anni ne sono passati più di cinque guardiamo a quel tempo come ad una benedizione. Stavamo male, parecchio. Ogni volta che guardavamo le liste di documenti da fornire per poter essere potenziali genitori adottivi, entravamo in un circolo vizioso in cui un requisito ci mancava e quando l'avremmo ottenuto i requisiti sarebbero cambiati. Ogni mese che passava senza rimanere incinti ci sentivamo mancanti (sì, "ci", al plurale, perché dell'infertilità vissuta dall'uomo nessuno ne parla, ma fa male uguale) e il fatto che gli esami non definissero chiaramente un problema non aiutava.
Ma dopo tanto star male, abbiamo capito una robetta da niente: la fecondità di una coppia non si può riassumere nella sua fertilità. Ci siamo guardati intorno ed abbiamo iniziato a notare quelle coppie senza figli - per natura o per scelta - che seminavano il bene attorno a loro nei modi più multiformi. Donne e uomini che attuavano l'essere madre e l'essere padre in senso molto più lato del procreare. Alcune di queste persone leggono sicuramente questo post.
E, al contrario, quante coppie attorno a noi con figli e a volte anche tanti, che vivevano l'essere genitori come un ripiegamento su se stessi, o come un veicolo di realizzazione personale, anziché come reale apertura all'altro?
Ma certo, ci siamo detti. Si può essere fecondi in tanti modi e l'avere figli è solo uno di questi.
E così abbiamo iniziato a vederci in modo diverso e a essere famiglia in un modo nuovo. Lo so, è un concetto abbastanza semplice, ma a noi c'è voluto qualche anno per arrivarci. Siamo un po' lenti...

Avevamo fatto pace con l'eventualità di rimanere senza figli: se questi fossero arrivati, ne saremmo stati felici, se invece fossimo rimasti solo noi due sapevamo che ci attendeva una vita diversa, ma non meno ricca o fruttuosa.
Avevamo scalato una piccola montagna ed eravamo arrivati in cima come compagni di cordata che sapevano di poter contare l'uno sull'altro come non mai.

Il Teodolindo ed io ci siamo sposati in montagna. Questa è una foto di quel giorno. Che fosse un segno?


Più di tre anni dopo l'inizio della scarpinata, le cose sul fronte adozione si sono sbloccate e nove mesi dopo ricevevamo la chiamata che ci faceva diventare genitori del Sig. Tenace.
Abbiamo forse tirato un sospiro di sollievo dicendo "Ah, meno male! Dimentichiamoci quella scalata faticosa, per fortuna siamo tornati in pianura!"?
No. La strada percorsa ci aveva cambiati. Diventavamo genitori guardando alla situazione con occhi nuovi e senza smettere di essere la coppia che a quel punto eravamo diventati.

L'arrivo del Sig. Tenace ha pero influenzato il nostro modo di immaginare la nostra famiglia. Come chi legge queste pagine sa, abbiamo iniziato a vederci nelle nostre somiglianze, ma anche nelle nostre differenze. Il Sig. Tenace così unico in famiglia per storia e aspetto: non volevamo che fosse la minoranza visibile a casa nostra, volevamo che i nostri figli - se di plurale si poteva parlare - potessero condividere dei vissuti e, per certi versi, rispecchiarsi l'uno nell'altro. E così abbiamo iniziato le pratiche per la seconda adozione, sempre in Cina. Sull'altro versante, iniziavamo a nutrire dubbi sul modello di famiglia con figli biologici e figli adottivi: imparavamo che le esperienze di chi ci era passato e lo raccontava non erano sicuramente facili, per nessuno dei figli coinvolti. Ma il problema non ci toccava più di tanto, visto che gli anni passavano e con essi diminuivano le probabilità, già basse, di rimanere incinti.
Pian piano non abbiamo più fatto caso al calendario...

Una sera di febbraio, dopo giorni di ritardo, ci siamo decisi a fare il test di gravidanza. Più per tranquillizzarci che fosse solo un ritardo che non altro. E invece il risultato ci ha lasciati a bocca aperta.
Per giorni. Settimane.

Alla fine abbiamo cominciato a parlarne, il Teodolindo ed io. Abbiamo cercato di discernere cosa ci stesse succedendo e ci siamo resi conto che non avevamo capito un cazzo. Che quella scarpinata in montagna non aveva smesso di darci una lezione.
Eccoci lì: ci eravamo ricascati, di nuovo pensavamo di essere noi in pieno controllo delle nostre vite e della nostra visione di famiglia, che ormai immaginavamo solo con figli che arrivavano dalla Cina.
Ed invece quel nuovo sentiero ci ricordava per l'ennesima volta che la vita può sorprenderti. Sempre. E che sta a noi decidere se accettare le salite e le discese, sapendo che poi ci gusteremo il panorama, o se invece sedersi sul ciglio della strada preoccupandosi perché le cose non vanno come avevamo programmato.
La vita ci sorprende e, almeno per come crediamo noi, la sa sempre più lunga di noi.

Così adesso eccoci qui. Il Teodolindo, il Sig. Tenace, ed io con un bebè nella pancia.
Il Teodolindo ed io preghiamo di riuscire ad essere i genitori di cui i nostri figli, entrambi con le loro unicità, avranno bisogno.
Tutti e tre cerchiamo di abituarci alla nuova realtà, con il cuore pieno di stupore e la consapevolezza, per l'ennesima volta, che bisogna affidarsi a quello che la vita sceglie per noi per poterne davvero raccogliere i frutti.

E stavolta il meraviglioso frutto è una Signo Rina, con tanta voglia di scalciare ed un talento da centravanti.





PS il post incazzato sui commenti idioti ricevuti in questi mesi da parenti, amici e passanti del tipo: "Ah, lo sapevo che sarebbe successo! Avete avuto troppa fretta ad adottare!", "Ah, vedi? È la ricompensa per il bene che avete fatto!", "Anche la cugina del cognato di un mio amico è rimasta incinta appena ha fatto domanda d'adozione. Capita sempre così!". Ecco, quel post lì magari lo faccio poi, o magari proprio non lo faccio.

PPS il post sulle reazioni del Sig. Tenace alla notizia, quello invece mi sa che lo scrivo, perché anche per lui è  stata una bella sorpresa.


Tuesday, July 18, 2017

La comunità di appartenenza

Dicono, oggi più di ieri, che un bambino adottato deve essere esposto ad entrambe le culture di appartenenza: quella di nascita e quella di adozione.
Dicono, oggi. Perché fino a ieri si tendeva a cancellare o denigrare la cultura di nascita: ti ho adottato, adesso sei italiano. Punto e a capo, all'insegna della celebrazione della cultura di adozione e dell'idea che, in questo modo, l'integrazione nella società di adozione fosse più facile.
Per fortuna i tempi sono cambiati e sempre di più si dice che bisogna farsi il mazzo, qui da queste parti si dice "to walk the extra mile", per permettere al bambino di integrare nella sua identità tanto la cultura di nascita quanto quella di adozione, senza idealizzare né l'una né l'altra.
Le comunità di appartenenza, le chiamano.



Spesso a percorrere questo "extra mile" ci si dimentica della terza comunità di appartenenza a cui si deve dare accesso.
La comunità degli adottivi.
Il sapere che altri bambini, ma soprattutto persone di ogni eta', sesso e origine, condividono la loro storia è fondamentale.
Ricordo il racconto di una donna adottata dalla Corea. Mi diceva che all'epoca - ha circa 50 anni - lei era l'unica asiatica e l'unica adottata della cittadina in cui è cresciuta in Belgio. I suoi genitori le avevano raccontato la sua storia ("Sei nata in Corea e a 7 mesi ti abbiamo adottata"), ma l'assenza di esposizione a persone che condividessero la sua esperienza e il suo aspetto fisico l'avevano portata a farsi la fantasia che invece forse era malata: quei tratti somatici erano per lei bambina segni di un handicap e la storia dell'adozione, così assurda per lei, era giustificata dal non volerle dire della sua malattia.

Noi, come spesso ci succede, abbiamo capito questo concetto cruciale un po' per culo - o per provvidenza -, attraverso incontri con persone adottive che ci hanno illuminato la strada e a volte ci hanno dato schiaffi virtuali per farci capire cosa prova un bambino con quel vissuto.

Da allora abbiamo ricercato attivamente questi contatti e ci impegniamo perché siamo presenti nella nostra vita e soprattutto nella vita del Sig. Tenace.
Una grande mano ce la dà l'associazione per persone adulte adottive qui in Quebec. Questa qui.
I genitori adottivi non possono esserne membri, ma possono sostenere l'associazione e partecipare alle assemblee e agli eventi. Noi lo facciamo e se l'appuntamento non è solo una discussione del budget, ma anche un evento sociale, di solito ci portiamo dietro il Sig. Tenace che oramai sa che "andiamo là dove ci sono tante persone adottate come me".
All'ultimo pic nic, il Sig. Tenace era cresciuto molto rispetto alla volta precedente e con lui erano cresciuti i suoi pensieri e le sue domande. Ha passato il primo quarto d'ora a chiedermi:
"Mamma, anche questo signore è adottato?"
"Sì, Sig. Tenace, ma non indicare con il dito".
"E anche quella lì'?"
"Sì, ma smettila di puntare il dito verso la gente"
"Anche tu?"
"No, io no, Sig. Tenace, lo sai. Le persone che sono qui sono state tutte adottate tranne me, il papà e questa signora qui dietro'".
Che bello essere per una volta noi la minoranza, e non lui.
E bon, poi è andato a mangiare e giocare.

Stamattina stavo per portare a scuola il Sig. Tenace in bici quando, appena fuori casa, incontriamo la presidente dell'associazione che da poco abita a due passi da casa nostra (l'ho detto che abbiamo culo!). Lei si ferma e ci saluta, saluta soprattutto il Sig. Tenace e lui sa chi è ed è contento di vederla.
E poi in bici il tragitto è stato tutto incentrato su quell'incontro.
"Mamma, anche M. è adottata come me, vero?"
"Sì"
"Cosa vuol dire adottato?"
"Dimmelo tu"
"No, dimmelo tu, mamma!"
Lo sa cosa vuole dire, ma vuole sentirselo ripetere.
"Vuol dire quando la mamma e il papà che mettono al mondo un bambino non possono tenerlo e allora un nuovo papà e una nuova mamma diventano i genitori di quel bambino"
"E anche M. come me ha una mamma e un papà della Cina?"
"No, Sig. Tenace, lei è nata in Corea, ha un papà e una mamma della Corea"
"E poi anche per lei sono arrivati i nuovi genitori?"
"Sì"
"Ed è venuta a vivere a Montreal?"
"Sì"
"Mamma, dov'è la Corea?"
"È vicina alla Cina. È il paese di Pororo"
"Pororo è coreano? E anche Pobi? E Loopy? E Edi?"
...



Questi incontri quotidiani, ecco, per me non hanno prezzo perché la normalità adottiva, se possibile, deve essere anche questo.




Friday, June 9, 2017

Un'altra idea di vacanza - capitolo II

A casa nostra stiamo diventando esperti di vacanze alternative, non potendo per molte ragioni far valigie e partire per lidi lontani.
Abbiamo ormai consolidato una formula inusuale di vacanza coppia, che ci piace assai, ma era da un po' che mi girava in testa un'altra idea di vacanza: quella mamma figlio.  
E così ho proposto al Sig. Tenace "Let's go out on a date, my little one!". Più o meno. In realtà gli ho detto: "Io domani sto a casa in vacanza: tu vuoi andare all'asilo o stare con me?"

Stamattina ci siamo alzati come al solito di buon'ora (5.40...), grazie ai risvegli precoci del signorino, e dopo un'abbondante colazione abbiamo salutato il papà che andava al lavoro, mentre noi vacanzieri ci preparavamo alla prima attività della giornata: lo svuotamento cuscini mirato al lavaggio federe.
Niente di eccitante, se non fosse che noi dormiamo su cuscini riempiti di pula di grano saraceno che va tolta dai cuscini in attesa di essere riutilizzata dentro a federe pulite. L'operazione fa venire l'orticaria al Teodolindo perché sa bene che essa dovrebbe essere tenuta  lontana da un bambino di 4 anni (e da una certa donna di 39) che non sa resistere a bacinelle e pentoloni di scaglie di grano trasformabili in mille robe: una piscina per i lego, un finto impasto per una torta, montagne di terra da raccogliere con la ruspa, ... Una meraviglia. L'esito dei diversi giochi è invece puntualmente unico: trovare scaglie di grano nascoste ovunque, mutande incluse, per giorni.

L'inizio delle danze... quando l'ordine regna ancora sovrano tra le scaglie.


Il Teodolindo è uscito di casa sbuffando e dicendomi: "Preferisco non esserci, e comunque non capisco perché glielo lasci fare". Perché è divertente.

Potevamo continuare per ore, ma a mezzogiorno io avevo il pranzo di un laboratorio con cui collaboro. Ci siamo avviati tranquillamente lungo la strada, partendo per tempo visto che dovevamo attraversare la città. Ci siamo fermati a comprare una scatola di macarons da portare al pranzo, e ce ne siamo mangiati due come spuntino di metà mattina: io al caramel et fleur de sel, lui alla frutta tropicale (de gustibus...).

Il viaggio in autobus, poi metropolitana e quindi a piedi ha previsto anche una sosta prolungata sul ponte sopra la tangenziale, per guardare le macchine che sfrecciavano. Eccitante, almeno per il 50% della comitiva.

Panorama su tangenziale

Ci siamo goduti un eccellente pranzo pieno di leccornie fatte da altri, e si sa che in questo siamo campioni.

Bagels, dumplings, macarons, anguria,...


Poi dopo chiacchiere con colleghi per me, e giochi interminabili con il cane dei padroni di casa per il mio compare, ci siamo accomiatati per rientrare a casa.
Altra sosta, imperdibile, per osservare attentamente dei lavori in corso per il rifacimento delle fognature:

"Mamma, poi da quel tubo passa la cacca?", "Sì, Sig. Tenace, andiamo?", "No, aspetta che vediamo bene"

Nel tragitto di ritorno il Sig. Tenace si è addormentato, così io mi sono fermata sotto casa, all'ombra dell'acero, a godermi il fresco e a leggere fino al suo risveglio.
Al rientro in casa, accaldati, ho pensato che non ci sarebbe stata cosa migliore che metterci a mollo nella vasca da bagno, con il costume da bagno, come fossimo in piscina.

La giornata si è conclusa con il ritorno a casa del lavoratore, che ci ha trovati contenti, e una minestra di fave da mangiare per cena sul terrazzo.

Mi è sembrato di cogliere un velo di gelosia nello sguardo del Teodolindo...





Wednesday, May 10, 2017

Kawasaki ninja

Da qualche settimana il Sig. Tenace mi dice che, quando sarà grande, mi porterà lui al lavoro, in sella ad una Kawasaki Ninja verde luccicante.
Se quando me lo dice siamo a casa, si deve mettere in scena il momento, seduti sul divano: lui che sale sulla moto, si allaccia il casco viola con visiera scura, infila i guanti, mi dice di salire, anch'io con casco in testa, di tenermi a lui e poi via che si parte tra curve e salite.
Giunti a destinazione, mi dà un bacio e mi dice che lui o il Teodolindo verranno a prendermi dopo la nanna (prima o poi devo spiegargli che al lavoro non è d'uso il pisolino).


Il Sig. Tenace ed io, nei nostri sogni - da qui


Io lo guardo ripartire con gli occhi a forma di cuore, sospirando, ben conscia del fatto che quando il Sig. Tenace potrà guidare una moto, premesso che la Kawasaki ninja sia ancora in produzione, io sarò probabilmente l'ultima persona con cui lui vorrà farsi vedere in giro in moto.


Tuesday, May 2, 2017

la differenza nelle ciglia

Consueto martedì mattina. In bagno davanti allo specchio io mi trucco gli occhi mentre il Sig. Tenace si lava i denti con lo spazzolino delle tartarughe ninja.

"Mamma, le mie ciglia?"
"Le tue ciglia, cosa?"
"Dove sono le mie ciglia?" e accompagna le parole con il gesto che ormai ripete da quasi due anni, afferrando le mie, di ciglia.
"Stella, le tue ciglia sono qui (gli tocco le palpebre), solo che sono più nascoste delle mie."
Non lo vedo persuaso. Continua a toccare le mie, di palpebre, e ci guardiamo allo specchio.
"Sig. Tenace, lo sai, io ho gli occhi così, e tu li hai così, tu hai il naso piccolo e io ce l'ho grosso - per non parlare di quello del papà (ride)! Tu hai le ciglia come Kim Lynh, come Brady, come Milo, e come Pingbei, e come il papà di Heilam,..."
Ascolta e non si muove da davanti allo specchio.
"È perche' le persone che sono nate in Cina o che hanno il papà e la mamma cinesi [per ora, mi dico, limitiamoci alla Cina che il concetto di Asia viene troppo complicato alle 7.30 del mattino] hanno gli occhi e il naso simili ai tuoi".
"È la mamma della Cina?"
"Sì, sono la mamma della Cina e il papà della Cina che ti hanno dato 'sti occhi bellissimi e 'sto nasino spettacolare. Anche loro li hanno così. Io invece sono nata in Italia dove tanta gente ha gli occhi e il naso come i miei". [Oddio, mi sto incasinando...]

Tempo fa eravamo sull'autobus, al rientro a casa, e c'erano vicino a noi un signore nero, alcuni asiatici e alcune persone bianche. Il Sig. Tenace indica il signore nero:
"Mamma, quel signore ha il naso grooossso" [Grazie di averlo detto in italiano! Grazie!!]
"Sì, ha il naso più grosso del mio e del tuo"
"Anche del papà"
"Sì, anche del papà"
"Quando io cresco, mi viene il naso grosso come quello del papà"
"Per carità no! No, Sig. Tenace, quando crescerai ti resterà il naso abbastanza piccolo, più come quello del papà di Oscar, o della mamma di Finn, o del papà di Milo,..."
"Allora come quello del papà di Oscar"
"Ok!" [in effetti e' un figo pauroso...]


da qui

Queste sono le nostre normali conversazioni, che a volte sono più complicate e altre meno, ma che prima di tutto mi rinforzano l'idea che i bambini eccome se le vedono le differenze razziali, alla facciazza di quelli che dicono che è tutto un costrutto sociale. E poi mi bacio i gomiti per la fortuna che abbiamo nel poter mandare il Sig. Tenace in un asilo dove tanti bambini gli assomigliano, e per vivere in una città in cui i racial mirrors non dobbiamo andare a cercarli con il lanternino, ma sono attorno a noi ogni giorno.


PS. il naso del Teodolindo non è poi particolarmente grosso, o almeno non ce n'eravamo mai accorti finché non è arrivato il Sig. Tenace e ha spostato la barra di tutti i nostri riferimenti di dimensione nasesca...




Per chi fosse interessato all'argomento, due articoli:

L'importanza dei racial mirrors per i bambini adottati tramite adozione transrazziale

I benefici a livello cerebrale del crescere in un ambiente etnicamente diversificato (racially diverse)




Monday, March 6, 2017

Quando si dice famiglia italo-cinese...

Ricordo un tempo in cui mi auguravo che il Sig. Tenace crescesse metaforicamente con una polpetta in una mano e un dumpling nell'altra.

Un anno e mezzo dopo, capitano domeniche in cui, senza farlo apposta, si mangia pizza a pranzo

Grazie Pizzeria No. 900 per aver aperto un locale a due passi da casa! Muah!


e jiaozi (饺子) fatti in casa per cena.

Il primo tentativo mio e del Sig. Tenace senza aiuti esterni. Moolto fieri del risultato!

Se doveste chiedervi cosa ha preferito il Sig. Tenace, la risposta non prevede tentennamenti. I jiaozi sono stati spazzolati prima ancora di avere avuto il tempo di dire "buon appetito", mentre la pizza è stata mangiucchiata pigramente e lasciata a metà. Però se al posto della pizza avessi fatto un risotto, sarebbe stato un bel testa a testa con i dumplings.




Tuesday, February 14, 2017

Say my name

Non so se  ho mai scritto perché il Sig. Tenace si chiami così. Voglio dire, perché il Teodolindo ed io abbiamo deciso che lui mantenesse il suo nome cinese, dandogli solo il cognome del Teodolindo.

Forse non ne ho mai scritto perché per noi è stata una scelta naturale: era il suo nome da sempre, aveva due anni e mezzo quindi sapeva bene a quale nome voltarsi, infine era una delle poche cose che gli appartenevano e che definivano la sua identità da sempre.
Se ad una persona togli il nome, quanto togli e cosa resta?

Poi, va be', ci sono state altre motivazioni secondarie, ma importanti.
Ad esempio quel momento illuminante in cui ho assistito ad un colloquio di lavoro e la persona intervistata, titolare di un curriculum stellare e di un nome inglese, ha suscitato la sorpresa dell'esaminatore nel momento in cui ha varcato la porta, perché asiatica. E così il colloquio, da professionale, si è trasformato in
"Ma tu da dove vieni?"
"Toronto"
"No, ma davvero: di dove sei?"
"Sono canadese. (giustamente, iniziava a stizzirsi) Sono nato e cresciuto a Toronto!"
"No, ma i tuoi genitori di dove sono? O i tuoi nonni?".
Ah, per la cronaca, la persona con il cv stellare non è stata presa.

O quella volta in cui un segretario è andato in sala d'aspetto, ha dato un'occhiata alle persone in attesa, poi è tornato e mi ha detto
"No, il tuo paziente non è arrivato."
"Come lo sai? C'è gente in sala d'aspetto. Hai chiesto?"
"No, ma questo è un nome italiano e di là ci sono solo neri" (Gli ho suggerito di tornare nella sala e chiedere ad alta voce)

Dicevo, momenti illuminanti che ci hanno confermato che, anche in una società post-nazionale come quella canadese, è meglio che il nome rifletta l'identità, anche razziale e culturale, di una persona.

Quando stamattina ho letto dell'episodio di razzismo avvenuto alla Columbia University - a New York eh, mica nel profondo sud degli USA - in cui in occasione del capodanno cinese i nomi degli studenti asiatici è stato rimosso dalle porte dei dormitori, ho avuto un sussulto. Nomi tolti, identità negate.

Poi, un secondo dopo, ho visto come gli studenti cinesi hanno risposto:




"Sig. Tenace."
Gli insegneremo ad amare il suo nome (e il suo cognome), che fanno di lui una persona unica.
Lo diremo sempre forte e chiaro.
Correggeremo sempre quelli che lo pronunciano male.
Diremo a tutti quelli che ce lo chiedono cosa significa, perché "Per sempre resistente" è proprio un bel nome.

Say my name.


Tuesday, January 10, 2017

When in Canada...

...do as Canadians do.
O, parlando come magnamo, "paese che vai, usanza che trovi".

Stamattina ho accompagnato all'asilo il Sig. Tenace. Succede di rado, poiché di solito è il Teodolindo a portarlo ed io a recuperarlo, ma stasera lavorerò fino a tardi così ci siamo invertiti il compito. Non che mi dispiacesse, anzi, perché oggi è un giorno speciale: da oggi, ogni martedì fino a marzo, la classe del Sig. Tenace e quella dei bambini di un anno più grandi andranno a pattinare sul ghiaccio.




Il Sig. Tenace era eccitato e io forse più di lui. Si è caricato sulle spalle il suo zainetto con dentro i pattini e il caschetto appeso fuori. Poi ci ha infilato anche due cerotti, non si sa mai.

Siamo arrivati all'asilo e ho potuto vedere 16 infanti tra i 3 e 4 anni galvanizzati, tutti con già addosso la tuta da sci, guanti e cappello e sulla schiena lo zaino con il prezioso contenuto. Ora, la regola è che lo zaino debba essere di dimensioni e peso tale da poter essere portato dal bambino. Per la stazza e forza del Sig. Tenace non è affatto un problema, ma io vedevo alcune sue compagne che pesano quei 6-7 kg meno del nostro eroe e mi chiedevo non tanto come arrivino alla pista da pattinaggio, ma soprattutto come possano ritornare indietro dopo aver pattinato per due ore a -15 gradi.

Le maestre erano le più rilassate del mondo. Ben abituate a portarli fuori ogni giorno, non erano sicuramente spaventate da un laghetto ghiacciato con sopra 16 bambini sui pattini, mentre la parte pessimista che è in me immaginava scenari con traumi cranici e dita amputate da pattinatori in erba.
Quando ce l'avevano comunicato il Teodolindo ed io avevamo strabuzzato gli occhi: "Ma come?! A questa età? Sul ghiaccio? Ma sono piccini!". La maestra del Sig. Tenace aveva sorriso bonariamente: "Qui in Canada tutti sono sui pattini a tre anni!".

Per alcuni bambini sarà la prima volta in assoluto sui pattini, per il Sig. Tenace la seconda. Non potevo perdermi il suo battesimo del ghiaccio, perché a me pattinare piace proprio tanto, e così qualche giorno fa l'abbiamo portato al Lac aux Castors, accompagnati da amici provetti pattinatori che l'hanno aiutato in modo superbo (Grazie Silvia S.!). Questa una foto di quel giorno.

Ancora troppo affascinato dai pattini per alzare la testa...


L'altra abitudine tipicamente canadese che ormai abbiamo sdoganato è il pisolino sul bob. Non potendo, quando c'è troppa neve, usare il passeggino, qui si utilizzano bob e slittini per trasportare i bambini. E così ogni tanto si vedono genitori che tirano bob con dentro bambini dormienti. Lo scorso inverno il Sig. Tenace è sempre stato troppo eccitato dall'usare il bob per contemplare l'idea di dormirci dentro, mentre quest'anno le cose sono cambiate e questo era lui il 31 dicembre scorso, mentre eravamo usciti per fare due commissioni:

Coperto di neve, il Sig. Tenace se la dorme mentre il Teodolindo gli sistema dentro il bob la gamba che oramai faceva da spazzaneve 


Il Teodolindo, chi lo conosce di persona può immaginarselo, era a dir poco imbarazzato: "Mi sembra di portare in giro una salma!". Sorrideva ai passanti, peraltro per nulla sconcertati dal Sig. Tenace ronfante, e diceva: "Sta dormendo!". Quelli lo guardavano come dire "Embe'?! Sai che roba!".
Boh, forse le abitudini le stiamo prendendo, ma dentro siamo ancora molto italiani...





Nota: può darsi che le foto del Sig. Tenace, per quanto in esse sia poco riconoscibile, scompaiano dal post tra qualche giorno. Avviso per chi dovesse passare di qua in futuro.



Monday, December 12, 2016

This Is Us

Ma voi lo guardate This Is Us?
No? Allora iniziate. Adesso.

Dopo averne sentito tanto parlare, e molto bene, il Teodolindo ed io finalmente abbiamo iniziato a guardarlo. Non abbiamo la televisione né di conseguenza l'abbonamento via cavo, così abbiamo comprato l'intera serie su google play (19.90 dollari). Sabato sera ce ne siamo guardate tre puntate. Di fila, così senza fiatare. E siamo poi restati ancora sul divano per altri 45 minuti a discutere di quello che ci aveva colpito.  

Perché guardarlo? 
Perché parla di famiglie reali, neanche così rare. 
Perché viviamo in un mondo e in un immaginario televisivo e cinematografico "lavato nel bianco" (whitewashed come si traduce?!) e questa serie è un sorso di acqua fresca che aiuta ad uscire dal nostro privilegio razziale.
Perché in America hanno eletto Trump. 

Chi dovrebbe guardarlo?
Quelli che pensano che l'amore da solo basta e che se c'è l'amore allora tutto, prima o poi, si sistema. (see, magari...)
Quelli che sono stati feriti, nonostante l'amore ricevuto o magari proprio a causa di esso, e hanno imparato a convivere con quelle cicatrici.
Quelli che dicono "Io non vedo il colore della tua pelle. Per me bianchi o neri siamo tutti uguali." (però, loro, sono bianchi...)
Quelli che passano di qui e hanno famiglie o amici in cui l'adozione ha giocato o sta giocando la sua parte. Questa serie dovrebbe essere OBBLIGATORIA ad ogni corso pre-adozione. Per inciso, alcuni adulti adottati sono stati contattati come consulenti dagli sceneggiatori, e si vede.

Tanto per dare un'idea a chi non conosce la serie, trattasi delle storie dei membri di una famiglia composta dal padre Jack, dalla madre Rebecca, due figli biologici gemelli, Kevin e Kate, tutti bianchi, e un figlio adottivo, Randall, nero.

Questo è il trailer



E questo è un dialogo



Randall: "I don't want to be different from them"
Papà: "Different from who? The kids at school?"
Randall: "If I get an A, I'll get ice cream and Kevin and Kate won't. And then they'll hate me"
Papà: "You know, your mom and me, we always try to treat you kids the same. It hasn't always worked because, well, you're not all the same. You're adopted and we don't talk about that enough."
E continua "Maybe I don't want you to feel like you stand out. But you know what? I want you to stand out. I want all of you to be as different as you can possibly be".

Buona visione. 
E se già lo guardate, sono curiosa di sapere cosa ne pensate.



In più, un articolo su come This Is Us spieghi bene cosa vuol dire essere un bambino nero in una famiglia bianca. 


Monday, October 31, 2016

I bambini tenaci

Un Sig. Tenace ce l'ho a casa.
Il nome lo sapete da dove deriva, non gliel'abbiamo dato noi, ma chi per primo ha scoperto la sua personalità e la sua capacità di resistenza.

Di bambini tenaci è pieno il mondo, ma a volte la tenacia e la capacità di essere dei Mr. e delle Miss Fighter si rivelano solo in condizioni speciali, quando la vita mette alla prova.

I bambini adottati, spesso se non sempre, sono dei Mr. e delle Miss Fighters.
I bambini malati, spesso se non sempre, sono dei Mr. e delle Miss Fighters.

Ha fatto bene, allora, il SickKids Hospital di Toronto a lanciare questa campagna in cui i bambini, le loro famiglie e il personale sanitario sono rappresentati in un modo inconsueto.
Di campagne mediatiche strappalacrime sulla pena che fanno i bambini malati è pieno il mondo e, per quanto possano essere efficaci, veicolano il messaggio che la malattia e le prove della vita ci rendono vittime. E se invece spostassimo l'accento sulla tenacia? Sulla combattività?
Otteniamo questo.




Come neuropediatra, per di più mamma di un bambino tenace, questo video non poteva che toccarmi dritto al cuore e farmi esclamare "Grandi! Ma perché non ci hanno pensato prima!?". Chi queste cose le vede ogni giorno avrà probabilmente lo stesso effetto (Amanda sei avvisata ;)


Lo stesso discorso può essere fatto sull'adozione, e qua, se allarghiamo un po' il campo si rischia di ritornare alle famigerate discussioni sui bambini fortunati - qui e qui. Tutto sta nel come guardiamo le cose.
"Ecco a voi Giacomino, vittima di un abbandono".
"Ecco a voi Giacomino, che è riuscito a sopravvivere ad un abbandono".

Se la prima presentazione mi fa dire "Ah povero Giacomino! Che compassione!" (per arrivare fino a "Che fortunato Giacomino che ha trovato una famiglia!"), la seconda mi provocherà piuttosto un "Grande Giacomino! Che bravo! Io non so se ce l'avrei fatta! Ti ammiro!".


Cambiamo prospettiva, ci state? I bambini tenaci ne hanno bisogno ;)

Thursday, October 20, 2016

Le due mamme

Questo è forse il post più intimo che io abbia mai pensato di scrivere.

C'è una persona a cui da poco più di un anno mi sento legata in modo speciale. Unico. È costantemente presente nei miei pensieri di ogni giorno. Sento per questa persona un legame quasi viscerale, che però non abbiamo mai avuto e mai avremo. Al contrario, non potrebbe essere più distante dal viscerale, la relazione che io e questa persona condividiamo. È la vicinanza estrema e la lontananza abissale insieme. Indissolubili.

Non è il Teodolindo, ovviamente.
Non è neppure il Sig. Tenace.

È la mamma della Cina.

Così la chiamiamo. La donna che ha dato la vita al Sig. Tenace, che ha probabilmente sentito il suo primo pianto e ha sentito il suo odore per prima al mondo. Quella di cui lui ha ereditato metà dei geni. Quella di cui forse ha il sorriso? Gli occhi? I capelli? Parte del carattere? Forse. Non lo sappiamo e ci sono alte probabilità che forse mai lo sapremo. E questa cosa, spesso, mi manda fuori di testa.

La mia amica Alice ha scritto questo post su cosa sia per lei essere madre adottiva rispetto ad essere madre biologica.

Come lei, nemmeno io so cosa voglia dire essere madre biologica. Non lo sono e mai lo sarò e siamo felici così. L'adozione non è mai stato un piano b, è sempre stata una scelta che è venuta ben prima del sapere che il Teodolindo ed io pare non siamo dei grandi procreatori.

Però posso dire che cosa vuol dire per me essere madre adottiva.
Vuol dire condividere l'essere madre con un'altra donna. Siamo in due. Noi mamme del Sig. Tenace siamo due. 

L'ha detto molto meglio di me Dan Matthews, uomo adottato dalla Corea che proprio recentemente ha ritrovato la sua famiglia biologica ed ha poi assistito all'incontro tra le sue due mamme. Potete leggerlo qui, con le sue parole, e ve lo consiglio di cuore perché è un racconto magnifico.

Le due madri di Dan. da qui

Everything has come full circle. I recently returned from a trip to Korea where my mom (adoptive mother) met my biological mother for the very first time. [...] While they were embracing, I kept thinking about every single moment that had to have happened in our lives for them to finally meet. These two women with incredibly different lives and personalities -- who otherwise wouldn't have any other connection -- now bound together. I could see how much it meant to them to meet one another -- to have a sense of closure on this chapter in their lives.
 Dan Matthews, When my moms met. 


[Mia traduzione: "Il cerchio si è chiuso. Sono tornato di recente da un viaggio in Corea dove mia mamma (la mia madre adottiva) ha incontrato la mia madre biologica per la prima volta. Mentre si abbracciavano, ho continuato a pensare a tutti gli eventi che sono dovuti capitare nelle loro vite perché finalmente si incontrassero. Queste due donne con vite e personalità incredibilmente differenti, che altrimenti non avrebbero avuto nessun'altra connessione, adesso sono legate. Posso capire quanto fosse importante per loro conoscersi e avere la sensazione di chiudere un cerchio in questo capitolo della loro vita."]

E ancora:
Although I am connected as their son, their feelings of being united are way beyond my level of comprehension.
[Sebbene io sia legato a loro in quanto figlio, il loro sentimento di unione supera la mia capacità di comprensione.]



Ho scritto sopra che, per il contesto in cui avvengono le adozioni in Cina, sarà molto difficile riuscire a ritrovare i genitori biologici del Sig. Tenace. Ma io non dispero e spero un giorno di poter incontrare la mamma della Cina. E se quel giorno dovesse mai arrivare, so già cosa farò. Starò in silenzio accanto a lei perche non credo ci sarà bisogno di tante parole.






Friday, July 22, 2016

Impara l'italiano con il Sig. Tenace

A volte il Teodolindo ed io dimentichiamo che il Sig. Tenace stia ancora imparando l'italiano e che le sue orecchie non siano immerse nella lingua di Dante dalla nascita.
Ricapitoliamo un attimo la storia linguistica del signorino: fino all'età di due anni e cinque mesi - ovvero un anno esatto fa- ha sentito solo mandarino. Poi è capitato con noi due, che a casa parliamo italiano, ma viviamo in una città bilingue francese-inglese. Infine, da maggio scorso, frequenta una scuola in cui la babele è ancora più estrema e che meriterà un post a parte.
In questo contesto capitano robe così:

In bagno, ci apprestiamo a lavargli i denti e, per farlo, il Sig. Tenace deve salire sul suo sgabello ai piedi del lavandino.
Il Teodolindo: "Dai, salta su!".
Il Sig. Tenace non capisce il senso della richiesta, ma obbedisce ed esegue un saltello sul posto.

A cena, qualche sera fa, il Sig. Tenace digerisce rumorosamente (o, con parole più eleganti, pianta un rutto spaventoso).
Il Teodolindo: "Salute!".
Il Sig. Tenace resta perplesso, ci pensa un attimo e poi tenta un "Ciao?".
Segue tentativo inutile del Teodolindo di spiegare al pargolo la differenza tra "saluta" e "salute".

Ieri, ci prepariamo per andare a fare la spesa.
Il Teodolindo: "Sig. Tenace, vai in cucina a prendere due buste che andiamo a fare la spesa!"
Il Sig. Tenace ritorna dalla cucina con queste:




In tutti questi episodi, è eloquentissimo lo sguardo del Sig. Tenace che sembra dire: "A me paiono richieste assurde, ma meglio assecondarli".

Scusaci, Sig. Tenace, hai ragione tu. Faremo più attenzione perché le parole sono importanti e tu ne stai imparando davvero tante.



Saturday, January 30, 2016

Cerchi

Ci sono cose che ritornano, come in un cerchio, e assumono un valore tutto nuovo.

Sedici anni fa vedevo per la prima volta "L'estate di Kikujiro" (Kikujiro no natsu) di Takeshi Kitano e ne rimanevo incantata. 

Kikujiro e il piccolo Masao


Il viaggio di quel bambino alla ricerca della sua  mamma per mano ad un personaggio tanto odioso quanto adorabile, che in termini meno eleganti ma più efficaci si potrebbe semplicemente definire un cazzone, mi è da allora rimasto nel cuore.
All'innamoramento per il film aveva contribuito senza dubbi la colonna sonora, con questo tema struggente che non si dimentica facilmente




Nella mia ignoranza non avevo idea di chi avesse composto quelle musiche fino a poco tempo fa, quando in casa nostra è entrata quest'altra musica e non ne è più uscita:



Ogni singolo giorno, immobile davanti al video di youtube, il Sig. Tenace si ascolta la colonna sonora di "Kiki's delivery service", uno dei film di Hayao Miyazaki che preferisce. 
È cosi che scopro che queste musiche che ormai fanno parte del nostro quotidiano sono state composte da Joe Hisaishi, ovvero lo stesso autore della colonna sonora di Kikujiro.

E un sabato pomeriggio di qualche settimana fa, mentre osservavo il Sig. Tenace incantato dal violino delle musiche di Joe Hisaishi mi è sembrato che tutto tornasse, e che quel bambino asiatico bello in carne che sedici anni fa partiva in cerca della madre l'avesse finalmente trovata.




[PS L'ignoranza è tale che non sapevo che Joe Hisaishi fosse al contempo autore della maggior parte delle musiche dei film sia di Takeshi Kitano che di Hayao Miyazaki ed essendo noi grandi estimatori e dell'uno e dell'altro regista c'è di che vergognarsi... ]