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Thursday, December 22, 2016

Such a sweet girl

Capitava che, qualche mese fa, una maestra del Sig Tenace con un problema neurologico avesse bisogno di capire cosa le stesse succedendo. Mi sono attivata, l'ho seguita per quanto possibile secondo le mie competenze, mi sono seduta nel mio studiolo con lei e ci ho messo tutto il tempo che ci voleva per spiegarle quello che in anni di visite nessuno si era mai assicurato che lei avesse capito. Ho fatto il mio dovere. Certo, il lavorare su malattie rare, e non, ad esempio, sul diabete, mi aiuta ad essere abituata a visite che non durano mezz'ora, perché per spiegare robe rare e complicate ci vuole il suo tempo.
Alla fine è stata inviata ad un neurochirurgo, per essere operata, e all'incontro con questo gli dice: "Sa, conosco la dr.ssa Slicing Potatoes. È lei che finalmente mi ha spiegato la rava e la fava." E lui, che sa chi sono, risponde:
"Ah, I know her. She is a lovely girl".
Due settimane fa il mio capo, uomo di mezza età, mi chiede il favore di gestire una relazione di lavoro un po' spinosa via email. Nella email in cui mi coinvolge, mettendomi in copia conoscenza con questi colleghi in Europa, scrive:
"Slicing Potatoes ha ben accettato di occuparsi della questione e vi chiedo di far riferimento a lei. Vedrete, she is such a sweet girl."
Such a lovely girl.

Io non la riesco a descrivere la sensazione fisica che mi prende alla bocca dello stomaco e alla pelle quando sento o leggo queste frasi. Subito è quella a prendere il sopravvento, poi la razionalità subentra e capisco:

Capisco che questa è l'essenza del più classico maschilismo paternalista, con cui noi donne, professioniste, competenti, che ci siamo fatte un culo così per arrivare dove siamo, veniamo prontamente rimesse al nostro posto, un gradino almeno più in basso di dove eravamo salite, grazie ad una definizione - girl - che avendo io 38 anni non solo non mi appartiene, ma che in ambito lavorativo non deve assolutamente definirmi, ed ad un aggettivo -lovely, sweet - che vuole essere quello zuccherino che l'uomo capo ci rifila pensando di farci un piacere mentre ci accarezza la testa dall'alto della sua posizione di potere che mai riusciremo a scalfire.
E questo è un modo perfetto per ricordare l'evidenza a noi e agli altri.

No cazzo. Io sono sweet. Sono absolutely lovely, e charming, e adorable. Lo sono.
E sono pure molto donna. Molto.
Ma quando lavoro, prima di tutto sono medico, faccio ricerca e studio da una vita, e voglio essere definita per questo. Il mio essere donna gentile sarà sempre presente nel mio lavoro, eccome se lo sarà!, ma non lo definirà mai più e prima della mia competenza.

Quel giorno dell'email del mio capo, caso vuole che il Teodolindo mi abbia chiamato al telefono mentre io ero ancora in fase guance infiammate dalla frustrazione e mani che prudono. Mi sfogo con lui, che mi ascolta e poi risponde: "Hai ragione ad arrabbiarti, perché tu non sei solo lovely, sai essere anche bitchy".

"What?! You too?!"


Ho spiegato al Teodolindo che il problema non era solo l'aggettivo, ma lo stesso chiamarmi "girl".
"Dimmi, amore mio, al lavoro qualcuno ti ha mai presentato dicendo "Ecco Teodolindo, is such a nice boy" e tu sei in assoluto una degli uomini più gentili che io conosca! Eh? È mai successo?"
Silenzio.
Poi: "Capisco. Hai ragione. Mi dispiace."

Tutto ciò fino a ieri sera.
Eravamo a tavola con i miei genitori, qui in visita, e il Teodolindo stava raccontando di un conoscente che si era rivolto per un consulto medico ad un primario, uomo, e questi l'ha poi inviato per competenza ad una sua collega donna. Il nostro conoscente è andato alla visita dalla dottoressa, poi però è voluto tornare dal primario. Diceva il Teodolindo:
"E la dottoressa era carina ed esperta proprio in quella malattia, eh, ma lui voleva il primario! Ah 'sta fissa italica per voler andare sempre dal primario! Ah ah!"
I miei sorridono e continuano a mangiare.
Io mi gelo e guardo il Teodolindo negli occhi.
E lui capisce.
"È perche ho detto che la dottoressa era carina, vero?"
"Sì".
"Scusa. È che ho riportato quello che mi ha detto lui e non ci ho fatto caso. Scusa, non me n'ero accorto che l'avesse definita carina prima di tutto. Cazzo, hai ragione.".

Capito? Nessuno ne è immune.

E allora? Che si fa?

Si educa. Non ci si deve stancare di educare, di rompere i coglioni. Agli uomini e soprattutto ai bambini. Intendo alle femmine come, se non di più, ai maschi.
Come scriveva una femminista nera in una lettera immaginaria alle donne bianche

"Bake your sons cookies and serve them with a pitcher of fresh-squeezed lemonade while you impress upon them that they are not the center of the fucking universe despite what everyone says. Then, take your daughters for some retail therapy and explain to them that they are not the Hope Diamond personified even though every magazine, movie, teacher and textbook will have them believing they're the most precious commodity on earth."

Sig. Tenace sei avvisato: la tua mamma - speriamo accompagnata dal tuo papà - ti farà un culo quadro perché tu impari cosa significa la parità tra uomo e donna.







Thursday, October 13, 2016

Autodiagnosi e autoanalisi


Ne ho sempre sofferto, ma se possibile sta diventando peggio con il tempo.
La sindrome dell'impostora.
Va be', lo dico un po' scherzando, ma anche no.

Dicesi sindrome dell'impostore quel fenomeno per cui un individuo non riconosce il proprio successo se non come dovuto al caso o, più precisamente per quel che mi riguarda, quella sensazione che prima o poi gli altri capiranno che io in fondo non sono capace di fare le cose che sembra io riesca a fare. E qualcuno in mezzo alla sala si alzerà e dirà: "Questa tizia è un'impostora! Fa finta di sapere le cose ma in realtà non ci capisce niente" E io con il capo chino e cosparso di cenere ammetterò: "Sì, è vero. Mi avete beccato. Vi ho ingannati per più di trent'anni, ma è così".



Leggo su wikipedia - proprio perché io uso fonti di informazioni autorevoli - che la sindrome sembrava inizialmente essere più frequente nelle donne con percorsi lavorativi di successo e che sia comunemente associata all'attività accademica. Eccomi qui. Presa in pieno.

Da altre parti, non ricordo più (notate di nuovo come io sia precisa con le referenze bibliografiche), avevo letto che la sindrome dell'impostore è molto frequente nelle donne in ambito professionale perché il senso di inadeguatezza provato è il risultato di una società dominata da modelli maschili. E anche qui mi ci ritrovo.

Con questi sentimenti convivo da decenni e la giornata di oggi non ha fatto eccezione.
Ho dovuto tenere un seminario a tutta gente di laboratorio. Io che di formazione proprio non sono di laboratorio, che guardo sempre tutto con occhio clinico, ma che poi a fare il medico e basta non ci riesco. E allora parlavo e presentavo e mi sembrava di camminare su un campo minato. Scrutavo gli sguardi di chi ascoltava e cercavo di capire se pensassero che stessi dicendo minchiate.

Poi sono tornata nel mio studio riflettendo sul fatto che io, con la mia sindrome da impostora, cerco comunque sempre la zona grigia: sono la neurologa appassionata di radiologia, sono il clinico che vuole fare ricerca, sono l'italiana che lavora in due lingue non sue. Sono l'ibrido per eccellenza e rifuggo gli incasellamenti in una categoria sola. È nella zona grigia che mi diverto.
Ma la zona grigia scatena la sindrome.

C'è qualcun'altro/altra affetto là fuori? Lo so che ci siete! Fatevi avanti, per favore. Condividiamo la sofferenza. :)

E se ne soffriva anche Maya Angelou...


Tuesday, October 4, 2016

Biciclette e Alouettes

Post in diretta.
Sempre in merito al mio posto di lavoro, piuttosto assurdo.

È da stamattina che sono al telefono con le Alouettes di Montreal, colpevoli di avermi portato via la bici domenica scorsa.



Giovedì io ero partita per il lab retreat (segue post), lasciando la mia bici legata alla cancellata sotto gli spalti, come sempre. Recidiva, avevo dimenticato di controllare il calendario delle partite e questi energumeni che si lanciano la palla e si provocano traumatismi cranici giocavano proprio domenica. Quindi, chi organizza loro le partite ha pensato di tagliare il mio lucchetto e portare via la bici.
Dove essa sia resta per ora un mistero.
Ho già parlato con quattro persone diverse che si rimpallano la responsabilità.
Quelli della security di McGill mi han consolato dicendomi che non sono l'unica a cui sia successo. Oltre a telefonare, mi sto anche scambiando email con gli altri malcapitati, per capire come ritrovare le disperse.



Aggiornamento (7 ottobre): Bici ritrovata! Era in un deposito sotto lo stadio :)))