Thursday, December 25, 2014

Adorazione dei magi, G. van Honthorst, 1622


Ed era tanto umile l'amore
nel mantenersi carne appena.

da Il Tempo di Blanca, Marcela Serrano, Trad. S. Geroldi





Tuesday, December 16, 2014

Il diavolo fa le pentole, ai coperchi ci penso io

Dopo l'infatuazione per il gres gris, sono tornata al mio vero amore, Madame La Porcelaine. Sono stati momenti magici, quelli in sua compagnia, interrotti solo da Catherine che, giustamente, mi pungolava a migliorare.
"Hai già imparato come fare lo chanfrein?"
"Lo ...?!"
"Lo chanfrein. Per fare i barattoli con i coperchi".

Dicesi chanfrein, questa cosa qui:


In pratica, il bordo su cui poggia il coperchio.

No, non sapevo farlo.
A vederlo sembra una cretinata, invece richiede un gesto unico, deciso e veloce. Niente ripensamenti, ancor meno con la porcellana.
Dopo la dimostrazione di Catherine, ci ho provato io (mani sudate e tremanti...) e incredibilmente ce l'ho fatta al primo colpo. Gioia e tripudio! Guarda, Catherine, ho fatto uno chanfrein!

Ma una volta fatto lo chanfrein, si deve poi fare il coperchio e mica è facile, perché non è che hai il metro incorporato nelle dita, per cui prima di fare quello della misura giusta può volerci un po'.
Miracolosamente, ci sono riuscita quasi al primo colpo. Diciamo al terzo, che va benone.
Ho fatto un pomello a forma di calla ed il risultato finale, a crudo, è stato questo:


Niente male. Davvero niente male. Molto soddisfatta dei miei progressi.
Ho incrociato le dita per la prima cottura e tutto è andato liscio.

Via, si pensa al decoro: una semplice linea curva, due foglie.


Mancava solo lo smalto, trasparente con una leggera sfumatura verde rame. Certo, il difficile è la percentuale di rame da metterci: sarà troppo? Troppo poco?
Come sempre: o la va o la spacca.

Sabato era il giorno della verità.
Sono entrata nell'atelier, ho cercato i miei due barattoli sugli scaffali e li ho visti.
Miracolo! Erano perfetti! Esattamente come li avevo immaginati! Cosa più unica che rara... Non mi era mai capitato prima.

Belli, tesori miei.
Li ho presi tra le mani, li ho ammirati goduta e poi mi sono apprestata a togliere il coperchio.
Il coperchio. Non si toglieva.
Era completamente sigillato al vaso.
Damn it! Damn it! Damn it!
Come caspita è potuto succedere?!
In realtà lo so benissimo: probabilmente nella cottura un po' di smalto è colato sul famoso chanfrein e ha incollato irrimediabilmente vaso e coperchio. Ma perché non riesco mai a fare le cose bene dall'inizio alla fine?! Eh, perché?

Dalla contentezza sono passata alla frustrazione più totale.

Adesso i miei due cari vasi sono pazienti del reparto Urgences Poterie dell'atelier, in attesa di un intervento, in cui ripongo ogni speranza, seppur debole.

Per consolarmi, il buon Teodolindo mi ha detto che secondo lui, inconsciamente, mi sono ispirata a Magritte e alla sua rappresentazione di una realtà non reale: barattoli che non sono barattoli. Mica male come interpretazione...

Ecco quindi il risultato finale:






[Il "buon" Teodolindo ha poi aggiunto: "La prossima volta, però, falli che si aprano!"]


Wednesday, December 10, 2014

La prima è sempre la più bella

Lo so bene che poi a marzo non ne potrò più, eppure non c'è niente da fare.

La prima tempesta di neve della stagione è sempre favolosa.





Foto scattate sulla via del ritorno a casa, dopo il lavoro. Quella luce del cielo, grigio giallastra, è il colore della notte di Montreal da dicembre a marzo. Ci si sveglia di notte e quel colore che filtra dalle finestre ha sempre un che di surreale.

Camminavo, in mezzo alla neve, e mi fermavo a fare foto. Poi un tizio dietro di me fa per superarmi con passo svelto e io mi faccio da parte per farlo passare: era il Teodolindo.

T: "Cosa ci fai tu qui?"
"Torno a casa a piedi"
T: "Pensa che ho visto questa tipa da dietro, che camminava lenta e faceva foto, e mi son detto: "Che bello vedere gente che ancora si meraviglia delle tempeste di neve!", poi ho capito che eri tu".

Non ho ben capito se l'ha detto con tono da complimento o no.


Saturday, December 6, 2014

Grazie dei fior

Oggi è il nostro anniversario di matrimonio.
Come ogni sabato mattina, io sono andata a fare ceramica e al mio ritorno a casa mi ha accolto il Teodolindo:
"Avevo pensato di comprarti dei fiori, poi, conoscendoti, ho immaginato che, ai fiori, avresti preferito qualcos'altro. Apri il frigo."

E dentro ci ho trovato, bella fresca e in attesa di deliziarci, lei:


Oh, una bottiglia di Franciacorta! Sogno o son desta?!
Delizia. Con il suo profumo di pandoro, quel color crema così raffinato, come si addice ad un'elegante signora e quel filo di perlage attorno al collo.

E come tutte le signore di vera classe, ci ha fatto un'ottima compagnia.

Monday, December 1, 2014

Dall'altro lato

Da subito, con l'associazione con cui abbiamo intrapreso il cammino verso l'adozione di un bambino,  si è creato un rapporto di fiducia reciproca. Vista l'importanza e la delicatezza della relazione, è necessario che sia così, mi vien da dire.
Credo però che il nostro, di rapporto, lo sia in modo particolare.

Abbiamo firmato ufficialmente il contratto con loro il primo agosto scorso.
Da allora, insieme alle comunicazioni email riguardanti la nostra pratica, mi è stato chiesto, molto delicatamente e senza alcuna pressione, se potevo dare il mio parere clinico su qualche dossier di bambini adottabili. La situazione nel paese d'origine spesso è difficile da analizzare e i pareri specialistici non sono mai abbastanza in questo contesto. Ho dato la mia disponibilità piena senza neanche pensarci.

La prima volta è stato per un piccolo vietnamita. C'era il dubbio di una malattia neurologica, e i genitori volevano sapere se fossero necessari altri esami da fare subito, in Vietnam, prima che loro due potessero finalmente andare a prendere il loro bambino. Io ho guardato il dossier, ho cercato di capirci qualcosa poi ho detto come la pensavo, piuttosto sicura dei dati che avevo in mano e della mia conclusione.

Poi è stata la volta di una piccola kazaka. È stato ben più complicato: le foto non facevano capire come fosse la reale condizione e il dossier clinico era molto scarso. Ho chiesto se ci fosse la possibilità di vedere un video della bambina, e in 24 ore l'associazione è riuscita a farselo mandare. La sera stessa, qui sul divano, l'ho guardato e mi sono fatta un po' un'idea, che ho poi comunicato.

Due giorni fa il terzo dossier.
Il tutto è capitato nel momento in cui noi abbiamo concluso la nostra valutazione psicosociale e abbiamo raccolto tutti i documenti necessari. Per noi si tratta delle ultime tappe prima di spedire il tutto in Cina per avere l'approvazione, dopodiché, sempre se tutto va bene, saremo in pista e saremo dall'altro lato: riceveremo la proposta di un bambino tramite il suo dossier e lo leggeremo sperando di discernere se possiamo essere i genitori giusti per lui.

Per ora, però, io i dossier li devo leggere da neuropsichiatra infantile. 
Quello di due giorni fa, guarda caso, era di un bambino cinese. Di dieci mesi. Piccoli problemi di salute, ma che hanno già richiesto un intervento chirurgico non da poco a cinque mesi. La domanda che mi veniva fatta era come al solito di indicare se vedevo campanelli di allarme per l'ambito neurologico. Io ho guardato i documenti, poi ho aperto le foto e le ho osservate. Si trattava tutto sommato di un bel bambino, aveva l'aria sveglia, attenta, simpatica. Gli esiti della chirurgia erano evidenti, così come lo era il peso per nulla adeguato all'età. In sostanza, quegli occhi vispi spiccavano in un corpo che, a soli sette mesi, testimoniava un bagaglio di sofferenza che aveva già dovuto vivere. Mi è piaciuto. Da impazzire.
E in quel momento è capitato quel che non doveva capitare.

La mamma ha preso il sopravvento. 
Lo stomaco mi si è chiuso, la tristezza mi ha sovrastato.
Nel giro di pochi minuti ho iniziato a piangere.
La tristezza per quel bambino che ha dovuto sopportare quel che ha sopportato da solo, senza una mamma o un papà che lo consolassero, che nonostante ciò si aggrappa alla vita e la guarda con quegli occhi.
Penso a quei due genitori che chissà se dormono, in questi giorni, all'idea di quel pulcino di bambino che dall'altra parte del mondo avrebbe già bisogno adesso - adesso - della loro presenza.
E poi, naturalmente, penso che sia ben probabile che nostro figlio sia già nato, che sia in qualche angolo della Cina, e stia passando momenti che io neanche riesco ad immaginare, e io non sono lì.
A me questa cosa strazia il cuore.

L'unica consolazione è nel sapere che ognuno di quei bambini ha un Padre e che io non so bene in quale modo, ma di sicuro li consola o li consolerà. E allora lo prego di stare vicino il più possibile a tutti quei pulcini (capito, Gesù Cristo?! Am racumand!) che non hanno ancora braccia di genitore in cui abbandonarsi.





Thursday, November 27, 2014

Molte cose mi sono piaciute a New Orleans

Ha iniziato il Mississipi. Sarà perché era una giornata di sole, sarà perché è un fiume con una storia importante, ma mi è piaciuto e mi ha emozionata.


Poi mi sono piaciuti i rangers che suonavano il jazz, gratis, al museo della zecca, alle due di un pomeriggio qualsiasi. Il fatto che intervallassero i brani con racconti sulla storia del jazz a New Orleans me li ha fatti piacere ancora di più.
Se avete in programma un viaggio da quelle parti (che so, Silvia?), tenete d'occhio il sito Music at the Mint.



Poi mi è piaciuta, moltissimo, la swamp. Come si traduce swamp? Palude?
Mi aspettavo fango, alligatori che attentavano alla mia vita, sabbie mobili e nebbia in cui sarei scomparsa, al punto che la sera prima ho mandato un messaggio a mio fratello dicendo "Se domani sera non mi senti, invia in missione a cercarmi Bianca e Bernie!" La sua risposta, serafica: "Devi prima mandare un messaggio in una bottiglia". 


Invece ho trovato alberi magnifici, che non avevo mai visto, acqua piatta come una lama, e orsetti lavatori curiosi e golosi. 




Orsetti lavatori golosi: adesso apro una parentesi.
Il Teodolindo si trovava a New Orleans per partecipare al congresso dell'Associazione Americana di Sanità Pubblica, che includeva anche una sezione sulla Food Insecurity - o insicurezza alimentare- ambito di lavoro del Teodolindo. Già faceva ridere che se ne parlasse in Louisiana, dove l'obesità la fa da padrona e non sai dove comprare cibo sano. Ma la ciliegina sulla torta è che tutti gli animali della swamp, alligatori e orsetti in primis, vengono adescati a botte di marshmallows lanciati dalle barche dei turisti.
Il Teodolindo, sconsolato, ha potuto concludere che in Louisiana anche gli animali selvaggi soffrono di Food Insecurity. Pazzesco.

Proseguiamo.
Poi mi è piaciuto molto questo vestito, in una galleria d'arte del French Quarter. Credo fosse un'opera d'arte in esposizione, ma io l'avrei provato subito.


Poi mi è piaciuta la mostra di Basquiat all'Ogden Museum of Southern Art, ma non ho fatto foto.

Poi, sempre al museo, mi sono piaciute tantissimissimo queste due teiere.
Che belli i musei dove ci sono le ceramiche che si possono toccare!




Infine, ma vince il premio di cosa più bella vista a New Orleans, mi è piaciuta la galleria di Cathy Rose. E anche qui si poteva toccare tutto.


Di quest'opera qui sopra, intitolata Waiting, mi sono innamorata e l'avrei anche comprata. 
Avendo ripetuto il concetto più di due volte, pensavo che il messaggio fosse arrivato alle orecchie del Teodolindo. Vista, però, l'assenza di riscontro, ho allora adottato la strategia di stazionare davanti all'opera a tempo indeterminato, fino a quando il Teodolindo non fosse venuto a dirmi "Ti piace proprio? Vuoi davvero che la compriamo?". 
Lui ha adottato la strategia di uscire indifferentemente dalla galleria e aspettarmi fuori. 
Ha vinto la sua, di strategia.





Monday, November 24, 2014

Oppure...

Avevo in mente di scrivere del lungo fine settimana en amoureux con il Teodolindo a New Orleans. Avevo anche pensato di accennare al fatto che l'unica cosa non bella di questi quattro giorni al sud è stata la mia gastroenterite, presa da un pargolo di otto mesi tanto adorabile quanto virulento.  Poi questa sera, cucinando, proprio nel tentativo di rimettermi in sesto, ho pensato

oppure

oppure il puré.

Oh, puré di patate! Ma perché nessuno ti ha ancora scritto un'ode degna del tuo valore!

Il puré di patate, fatto come si deve, è il cibo che cura.
Cura nel dare nutrimento, per il corpo e per lo spirito: le patate, il burro e il latte si occupano del primo, l'affetto e il tempo di chi lo ha preparato del secondo.

Stasera me lo sono preparato da sola, e mentre rimestavo con il cucchiaio di legno, mi perdevo in questi pensieri. A tavola li ho condivisi con il buon Celiachindo, che non solo si è spazzolato il puré, ma si è pure pulito la pentola con il cucchiaio di legno - dice che quello che resta sul cucchiaio è il puré più buono - fino a sporcarsi letteralmente i baffi e la barba.

Scrivo la ricetta, patrimonio comune di chiunque sia stato bambino in Italia, semplicemente perché anche solo rileggerla fa stare meglio, nel ricordare tutte quelle mani di mamme, nonne, papà, compagni che chissà quante volte ce l'hanno preparato per prendersi cura di noi.

quattro patate di media grandezza
un bel pezzo di burro, buono
latte
sale

Si fanno bollire le patate, con la buccia. Quando si riesce a puntare bene la forchetta nelle patate, le si scola e subito le si passa con lo schiacciapatate, dentro ad un'altra pentola. Subito.
Si aggiunge una grossa noce di burro e si mescola, portando sul fuoco, molto basso. Si aggiusta di sale.


Si aggiunge il latte, a poco a poco, avendo cura di aspettare che quello già versato sia ben assorbito dalle patate prima di aggiungerne altro, fino alla consistenza desiderata. Si procede lentamente, ad un buon puré non piace la fretta. Si lascia cuocere a fuoco basso ancora qualche minuto, per fare in modo che tutti i sapori si amalgamino per bene.



Poi ci si potrebbe dilungare su come mangiarlo, il puré. Per me diventa taumaturgico quando mangiato con lo stracchino, che però qui costa l'improponibile, quando lo si trova. Il Teodolindo lo ricorda accompagnato dal prosciutto cotto. Uova, fontina, toma. Si potrebbe continuare.

E poi ci si potrebbe pure soffermare su come usarne gli avanzi ...ma perché? Un puré così avanza?!





Saturday, November 15, 2014

Mangiare da soli, cap. II

Ero sola, e tutto a un tratto mi resi conto che abitavo in una casa di tre piani piena di salotti e camere da letto. Mi prese lo sgomento. Mi sentivo rimpiccolire, come Alice; e intanto la stanza si allargava, il tavolo, le poltrone, i davanzali sul giardino, perfino le foglie del glicine che incorniciava la porta finestra sembravano diventati enormi. Dovevo reagire. Pensai di farmi un'insalata di tonno con lattuga e tanto limone, che dà sapore e a ogni strizzata riempie l'aria del suo profumo oleoso.
Ma anche la cucina tanto amata, con tutto a vista sugli scaffali, sembrava diventata ostile: non trovavo niente di quello che mi serviva. Mi resi conto che, nonostante fosse attrezzatissima e piena di ciotole e insalatiere di tutti i tipi, non c'era niente di adatto a contenere una porzione sola. Preparai l'insalata e quando mi sedetti a mangiarla mi servii con le lunghe posate di osso tirando su le foglie dalla ciotola più piccola che avevo trovato: sul fondo languiva, pietosissima, la mia insalata di tonno con il limone. Fu un pasto triste, denso di pensieri e di decisioni.

L'indomani, durante la pausa del pranzo, me ne andai a gironzolare sotto gli archi della ferrovia di fronte al mercato di Brixton. Scovai una tazzina da caffè dei primi del Novecento, di porcellana finissima gialla e nera, con il manico appena spizzicato; una scodella di vetro verde abbastanza grande per una porzione di insalata e due bicchieri di vetro lavorato giallo oro; uno da acqua e l'altro da vino. Quella sera mi conzai il posto a tavola con grande cura, proprio davanti allo specchio. Accesi la radio per sentire il notiziario e mangiai di gusto. Ogni tanto alzavo lo sguardo: il minuscolo centrotavola di fiori raccolti in giardino, la mia immagine e i vetri riflessi nello specchio mi facevano buona compagnia. Pensavo a ruota libera, come sempre quando mangio; la sola differenza era che non avevo nessuno con cui condividere i pensieri. Ma in realtà spesso li tenevo per me, non erano cose da tavola. 

Mi alzai soddisfatta, conscia però che avrei dovuto faticare ancora, e tanto, per abituarmi a quella vita. 
Simonetta Agnello Hornby e Maria Rosario Lazzati,
 La cucina del buon gusto. Feltrinelli Ed. 2012




Con il Teodolindo a New Orleans per un congresso, anch'io stasera ho mangiato da sola. E seguendo i consigli di Simonetta Agnello Hornby, mi sono trattata bene, perché anch'io sono un ospite importante. Strangozzi all'uovo con olio al tartufo e ricotta salata, accompagnati da un bicchiere di Bianco 2013 Tenuta Regaleali.  

Sunday, November 9, 2014

I biscotti della psicologa

È esperienza comune che ci siano ospiti ai quali non si sa bene cosa sia meglio offrire.

Ad esempio, se capita di dover ricevere la visita domiciliare da parte della psicologa dei servizi sociali mirata a valutare la tua idoneità all'essere genitore adottivo, cosa cucinare?

Ho sfogliato l'Artusi e la mia amata Ada Boni, ma né il buon Pellegrino né l'Ada nel suo Talismano della felicità parlano di tale evenienza. Cosa offrire a commendatori, dame, e suoceri è ben descritto in entrambi, ma le psicologhe dei servizi sociali non sono contemplate.

Neppure la mia maestra Alessandra Spisni, nel suo seppur più recente "È facile cucinare benissimo, se sai come farlo", accenna all'argomento. Che bizzarria.

Ecco che io, con il presente umile post, vengo a colmare questo vuoto dell'editoria gastronomica.

Quindi ricominciando:

se si dovesse ricevere la visita domiciliare dei servizi sociali in un sabato pomeriggio di novembre, io raccomando di accompagnare un leggero tè con questi semplici, ma gustosi biscotti alla vaniglia, che non mancheranno di addolcire il palato - e magari anche l'animo - degli esaminatori.



Per 30 biscotti circa
100 g di farina di tapioca
75 g di farina di riso bruno
mezzo cucchiaino di psyllum husk o di semi di lino tritati
(tutti sostituibili con 175 g di farina bianca, per i non celiaci)
mezzo cucchiaino di lievito per dolci
50 g di zucchero di canna
100 g di burro buono
i semini di mezza stecca di vaniglia
un uovo, felice
Si setacciano le farine con lo psyllum, il lievito, lo zucchero e la vaniglia.
Si aggiunge l'uovo, il burro tagliato a pezzetti e si impasta velocemente con la punta delle dita, per non scaldare il burro.
Si forma quindi una palla e la si mette a riposare in frigorifero per una mezz'ora, coperta da pellicola trasparente.
Si toglie la palla dal frigo e la si stende con un mattarello, ad uno spessore di mezzo centimetro circa.
Intanto si preriscalda il forno a 160 gradi C.
Con un piccolo bicchiere si ricavano i biscotti. I ritagli di pasta si rimpastano e si ripete l'operazione.
I biscotti formati vanno messi su teglie rivestite da carta forno ed infornati per 10-15 minuti, non di più. Devono rimanere piuttosto pallidi.
Li si mette a raffreddare su una gratella per dolci, e una volta freddi li si cosparge di zucchero a velo.


Io li ho offerti con un tè al gelsomino, serviti su un piattino fatto da me.
La psicologa li ha graditi e io e il Celiachindo più di lei. Ora forse bisogna valutare l'impatto del nostro rispondere alle domande con dita e baffi sporchi di zucchero a velo, ma tutto sommato direi che male non è andata.


Thursday, November 6, 2014

Quando la maiolica incontra la stoffa...

... dà vita a una meraviglia come questa.

Dolce & Gabbana alta moda a Capri 2014 - da qui

Grazie, Domenico Dolce e Stefano Gabbana, per aver creato un capolavoro simile, ispirato alle maioliche napoletane.

Lo vorrei per me, per metterlo per casa quando sono giù, per invitare le amiche a farci un giro e sentirsi regine.

Chi lo vuole provare?



Cipiciopi, ma belle-soeur, lo so che tu sei già li a dire "Io, io!".

Tuesday, November 4, 2014

Nei lieti calici

E mentre il pittore pittura e il Teodolindo... teodolinda (cosa farà mai il Teodolindo? Non è dato sapersi), le rispettive coniugi se ne vanno ad iniziar il Corso di Avvicinamento al Vino.

Cinque martedì sera, per tre ore dalle sette alle dieci, con sei calici a sera.
La vedo molto dura, essendo io ben conscia della mia bassa tolleranza all'alcol. Ma la mia compagna di avventura, da buona canadese, è invece molto resistente e saprà ricondurmi a casa sana e salva.
Contando che domani mattina io inizio a lavorare alle sette e mezza, spero per quell'ora di aver smaltito...

Il prosecco, una passione in comune tra le due studentesse


Eccitazione alle stelle per questo nuovo inizio.
Presto su queste pagine le degustazioni secondo Roberta e Nicole.
E speriamo che siano meglio di quelle attuali che si limitano all'incirca ai seguenti commenti, presi da una conversazione reale attorno ad una bottiglia di rosso:

Profumo
R: "Sento profumo di (naso nel bicchiere)... uva e... (seconda annusata) un che di alcolico"
N: "Uhm (naso nel bicchiere), uhm"
Colore
R e N: "Un bel color bordeaux", poi di più non potevamo dire che eravamo in un locale poco illuminato, c'abbiamo la scusa.
Gusto
R: "Ha sentori di... di nuovo direi uva... e alcol";
N: "It's acidic". Sul gusto, Nicole è molto più avanti di me.
Giudizio complessivo
R: "Non sono sicura che mi piaccia"
N: "Uhm, at the third glass this wine is definitely growing on me" (l'avevo detto che lei tollera bene l'alcol...)

C'è solo spazio per il miglioramento.

Wednesday, October 29, 2014

The man as seen by the man

Quando Julian Forrest, da Montreal, si è stabilito ad Edmonton, nel profondo ovest canadese, si è trovato in una situazione inaspettata.
Lui: alto, magro, "Teodolindiforme" in altre parole, con sciarpa dandy al collo, coppola in testa, pennelli e colori nella testa e nella valigia.

Julian, nel suo studio qui a Montreal, durante l'anno sabbatico
Gli altri: uomini grandi, grossi, massicci. Niente sciarpe o orpelli, niente pennelli e quadri, piuttosto barbecues sempre accesi, armi non disdegnate e petrolio per lavoro in quell'Alberta che si sta arricchendo.

Oil country, 2009.


In quel momento Julian, uomo, si è trovato a riflettere sull'uomo, o meglio sul maschio.

Quando l'ho conosciuto, sono rimasta affascinata da questa sua indagine sulla mascolinità. Già sono rare le artiste donne che riflettono sulla femminilità, ma un artista uomo che si interroga sul maschio e sulla virilità credo sia ancora più eccezionale.

Questi sono i risultati della sua riflessione, che continua ancora oggi e su cui noi qui a Montreal, tra un bicchiere di vino e l'altro quando Julian passa a trovarci, aspettiamo continui aggiornamenti.

Flex, 2005.


Crown of bullets, 2007.


Monomania, 2013


Perceptual disorders (detail), 2014.

Perceptual disorders (details), 2014.


[Tutte le immagini dei quadri sono prese dal suo sito personale: http://julianforrest.com/home.html]




Saturday, October 25, 2014

Il gRes gRis

Corso di ceramica, stamattina.
Catherine esordisce con "Oggi si cambia! Oggi usiamo il gRes gRis!" e parte con la spiegazione del perché è bello usare terre diverse ed imparare a conoscerle.
Io ascolto con mezzo orecchio poi, quando finisce la tiritera per i principianti, con occhi da cerbiatto le chiedo: "Uhm, Catherine, io posso prendere la porcellana?".
"Non oggi, usa il gRes gRis come tutti gli altri".

Io?! Come tutti gli altri?!
Ma non posso! Ricordi? Io sono una femme à porcelaine! Il gRes gRis mi rovina le mie manine delicate da porcellanista! Noo, il gRes gRis noo!

Catherine, dura e pura come sempre: "Questo non l'hai mai usato. Provalo".

Sconfortata mi rassegno a scarognarmi la pelle delle mie preziose estremità, pensando di dover aver a che fare con una creta grezza, rugosa e grigia.




Come sempre aveva ragione Catherine.


[Porcellana, ma cocotte, mon chouchou, tu hai sempre il posto d'onore nel mio cuor, ma questo gRes gRis , ti dirò, non è affatto malaccio...]

Wednesday, October 15, 2014

Gnocchi di zucca in una cucina normale

Autunno. Tempo di zucche.
Ah, che meraviglia iniziare con una banalità.

Come al solito a casa nostra, grazie al paniere biologico settimanale, nel giro di due settimane di zucche se ne sono accumulate quattro. Quattro. 

Gnocchi? 
Ravioli? 
Teodolindo, dimmi tu, cosa faccio? Risposta: gli uni e gli altri!
Partiamo dagli gnocchi, con crema di gorgonzola e noci, che son venuti proprio buoni.

Per due persone che mangiano quanto noi, o tre che mangiano il giusto:
400 g di zucca cotta al vapore
un uovo, felice
100 g di farina di riso bruno*
100 g di farina di tapioca*
1 cucchiaino di psyllum husk*
due o tre cucchiai di parmigiano grattugiato
un pizzicone di sale
noce moscata grattugiata
*se non avete problemi con il glutine, potete sostituire con 200 g di farina bianca, però che noia...

Ho passato la zucca con lo schiacciapatate mentre era ancora calda. Ho aggiunto le farine, lo psyllum, l'uovo, il parmigiano grattugiato, il sale e la noce moscata. 
Ho mescolato tutto rapidamente con un cucchiaio, fino ad avere un impasto abbastanza omogeneo. 



Ho lasciato riposare un minuto. Quindi ho rovesciato l'impasto sul tagliere infarinato e velocemente ho impastato con le mani fino a formare un rotolo, come si vede nella foto sotto. 
Da questo rotolo ho tagliato dei pezzi di impasto larghi tre dita circa che ho modellato a salsicciotto e da cui ho ricavato gli gnocchi.


Il lavoro è piuttosto veloce, ma ripetitivo. Ragion per cui, io nel frattempo mi ascolto qualcosa al computer. Ieri è stato Enzo Bianchi, che si intravede in foto, a farmi compagnia con questa intervista. Interessante, ma ho preferito questo suo colloquio con Michele Serra, ascoltato mentre facevo i ravioli... Altamente raccomandato.

Che poi mi chiedevo: chissà se Enzo Bianchi ha mai immaginato di poter essere presente su un tagliere insieme a tre teglie di gnocchi di zucca?!
Ma sto divagando.


Ad operazione completata, ho preparato il condimento di gorgonzola e noci:
un bel pezzo di gorgonzola dolce (lo so, le quantità precise sono il mio forte)
una noce di burro, forse anche un po' di più
un goccio di latte
due manciate di noci

Ho fatto fondere il gorgonzola con il burro e il latte in un pentolino, a bagnomaria.
Ho tritato al coltello le noci e le ho messe da parte.

Nel frattempo ho fatto cuocere gli gnocchi per poi recuperarli con una schiumarola quando venivano a galla.

Li ho raccolti in una zuppiera di porcellana, magnifica - peccato non si veda dalla foto quanto è bella - ci ho versato sopra la salsa di gorgonzola e le noci tritate e ho servito.



Questo piatto partecipa al concorso Cucine Normali, indetto da me medesima, tra il serio e il faceto (moolto faceto). Per partecipare, ecco le regole, semplicissime:
-non si possono usare ingredienti introvabili per il resto del mondo: il burro di capra della Valle Elvo, o la zucchina lunga siciliana coltivata a Butera li lasciamo in Valle Elvo e a Butera; 
-cucchiai, pentole e stoviglie devono essere usate. Vietato tirare fuori il servizio della nonna per fare le foto e poi servire al marito l'omelette nel piatto vinto con i punti del Mulino Bianco nel 1986;
-niente impiattamenti nouvelle cuisine o presentazioni da ristorante stellato;
-non si può trasformare la cucina in un set fotografico: le foto, se presenti, devono rappresentare quel che in cucina realmente avviene. E se c'avete la luce al neon che vi fa le ombre sulle tagliatelle, amen. In fondo è con quella luce al neon che mangiate le tagliatelle, no?
-a corollario, vietati gli anacronismi culinari: il risotto cucinato alle sette del mattino, perché c'è il sole in cucina e vuoi mettere che belle foto? No, dai. Che poi, vorrei sapere chi si mangia il risotto a colazione... 
-nessun commensale può essere lasciato ad aspettare pur di immortalare il piatto finale. Una foto e via, oppure se il piatto è cosi spettacolare che ve lo siete spazzolato senza aver tempo neanche di tirare fuori il cellulare, buon per voi, anzi meglio, e datemi la ricetta!
Dette queste regole, partecipate numerosi! Voglio vedere cucine sporche, usate, incasinate: insomma normali!
O detto in altro modo: Amanda, partecipa almeno tu, che so che mi capisci! ;)

Saturday, October 11, 2014

Passioni di famiglia

Si sa, le passioni sono contagiose.
A casa nostra, con il tempo, tutti sono diventati estimatori di ceramica. Ciascuno a modo suo.

Sandro Miciotti, ad esempio, ha un'indiscussa predilezione per il grande vaso di Maude Blais.









Sunday, October 5, 2014

Uomini della mia famiglia

C'è qualcosa che si tramanda tra i maschi del lato materno della mia famiglia: l'incapacità di chiamare le persone care con il loro nome.

Il capostipite di tale tratto genetico pare essere un fratello di mia madre.
La creatività di mio zio si esprimeva alla massima potenza nel dare soprannomi. Una volta iniziato il processo, si verificava una cascata di soprannome in soprannome. Giusto per fare un esempio, non l'ho mai sentito chiamare sua figlia con lo stesso nome per più di pochi mesi.
Noi nipoti abbiamo subito lo stesso trattamento fin dalla primissima infanzia. Quando mio fratello era un piccolo Budda biondo di un anno e io una graziosa morettina di quattro, ci giravamo alla voce di mio zio che ci chiamava rispettivamente Lard e Dagoberta (e chiederei di sorvolare sull'eleganza dei due nomi...).

Mio fratello ha ereditato questo carattere genetico con modalità dominante ed espressività completa
Lui e mio marito si sono conosciuti circa dieci anni fa. All'inizio non fu simpatia tra i due. Troppo diversi, quasi agli antipodi, sia fisicamente che caratterialmente. Tanto diretto e caustico il primo, quanto gentile e cortese il secondo.

Galeotto fu il primo viaggio insieme in Canada, in auto attraverso Quebec, New Brunswick e Prince Edward Island. In quell'occasione io e la mia belle-soeur abbiamo assistito all'inizio di un idillio che dura tuttora e che ci ha portato a soprannominarli brothers-in-love
Da allora, il mio principesco marito ha ereditato una quantità di nomi alternativi al suo di battesimo - Federico- che posso solo parzialmente elencare perché la lista si allunga quotidianamente*: 

Teodolindo
Il più usato. Non pochi, negli anni, hanno creduto che si trattasse del suo vero nome.

Prederigo
Nobile, di sonorità medievali. Lo si immagina a cavallo, armato di lancia e scudo.

Cretinico 
Il nome che ha fatto indignare mia madre. È stato, pero, oggetto di una simpatica scenetta in cui mio fratello è riuscito a convincere la nostra ingenua genitrice del fatto che Cretinico fosse in realtà nato da una rivalsa per il modo terribile con cui apparentemente mio marito chiamava mio fratello, ovvero il Merda. Naturalmente il povero Teodolindo mai aveva neppure osato pensare di chiamare mio fratello in altro modo che non per come è registrato all'anagrafe.

Federìn 
pronunciato alla francese, con r moscia e n nasale. Questo ovviamente è stato coniato qui in Quebec. 

Federozzo 
Uno dei miei preferiti, considerata la dissonanza con i modi signorili del soggetto in questione.

Celiachindo
Nato come naturale conseguenza della arcinota diagnosi.

Federer
L'ultimo arrivato; ispirato molto probabilmente dall'imminente trasferimento di mio fratello in Svizzera.

A questi si aggiungono:
Fedi
Come lo chiamo io. Mi sa molto di fidanzatini di Peynet, lo uso praticamente sempre. Lo posso utilizzare solo io e due delle mie più care amiche, che me ne hanno chiesto il permesso. 

Fez
Soprannome di liceale memoria, quello che si porta dietro da vent'anni, con la sua conseguente derivazione amichevole

Fezzettone



Signore e signori, dieci modi - più uno - per chiamare lo stesso uomo. Se non è ricchezza questa... Credo sia facilmente immaginabile quanto il Teodolindo sia felice di essere finalmente entrato nelle grazie di suo cognato. 




*Nel caso ne avessi dimenticato qualcuno, chiedo a mio fratello e alla mia belle-soeur che stanno leggendo di aggiungerli nei commenti, grazie!



Wednesday, October 1, 2014

La piccola Teresa

Teresa di Lisieux, travestita da Giovanna d'Arco

Quando non sento nulla, quando sono incapace di pregare, di praticare la virtù, è quello il momento di cercare delle piccole occasioni, dei nonnulla che piacciono a Gesù più che l'impero del mondo, più che il martirio sofferto eroicamente. Per esempio, un sorriso, una parola amabile quando avrei voglia solo di tacere o di avere un'aria annoiata.










Oh, come sono felice di avere scoperto Teresa di Lisieux, nonostante i miei pregiudizi che si sono protratti per anni rispetto a questa santa ragazzina. Tutti la osannavano, tutti a elogiare Santa Teresina del Bambin Gesù e io che mi dicevo che una santa con un nome che sembrava quello di una sorpresa dell'ovetto Kinder non poteva promettere niente di buono, se non roba melense.

Quanto mi sbagliavo e quanto son contenta di essermene accorta. È stata per me una lezione di umiltà, la prima lezione appresa grazie a lei, maestra incredibile di quella virtù che è il rendersi piccoli, sempre più piccoli.

Sunday, September 28, 2014

In transizione

Come Nanni Moretti doveva passare tutti i giorni su quel ponte di Roma, anch'io sto meglio se passo almeno una volta al giorno dal Parc Lafontaine.


Fortunatamente, è esattamente quel che faccio da maggio a novembre, per andare al lavoro in bici. Mattino e sera, giorno dopo giorno, pedalo e mi godo il passare delle stagioni - tre - attraverso il parco.

Non so quale delle tre stagioni preferisco.

Questa, il passaggio dall'estate all'autunno, mi piace molto. Anche se non è priva di quella malinconia che accompagna chi sa che l'inverno sta arrivando.

Però non riesco a non amare quei lampi di rosso che si fanno strada in mezzo al verde.




Non riesco a non gustarmi queste ultime settimane di convivenza tra gabbiani e scoiattoli, prima che gli uni vadano in letargo, e gli altri a svernare.



Poi si scoprono cose interessanti ad osservare gli alberi.

Ad esempio, come diventano rosse le foglie degli aceri?
Dalla periferia al centro.

L'acero che tocchiamo dal nostro balcone
Questo qui sopra è l'acero di casa nostra, ma l'autunno, oltre alle foglie, accende anche invidie da vicinato al grido di "l'acero del vicino è sempre più rosso".

l'acero dei vicini, indubbiamente più rosso



A forza di tenere il naso all'insù per guardare alberi, do ragione al Teodolindo che dice che in questa stagione alcuni aceri sembrano fuochi d'artificio. E noi facciamo di tutto, collo ben disteso, per ammirarli finché durano.