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Wednesday, November 7, 2018

Quelli che i libri...



Ieri accompagno a scuola il Sig. Tenace in metropolitana, come sempre. Lì  attaccati al palo, pigiati da mille pendolari che vanno in centro, gli dico:
"Domani, quando vengo a prenderti, vieni con me in biblioteca?"
Lui, quasi urlando dall'orrore della proposta: "Nooo, non mi piace la biblioteca!". Lo dice sottolineando con disgusto il "non mi piace". Gli altri ci guardano, pensano che debba avergli proposto di andare dal dentista.
"Ma come?", dico io "Mi sembra proprio che ti piacciano i libri!"
"I libri mi piacciono. Non mi piace restituirli."

E ammetto che come ragionamento ha una sua logica.

Ora, andiamo in biblioteca perché mi sono stufata di non leggere. Non voglio auto-rigirarmi il coltello nella piaga, ma da un anno a questa parte non si dorme e visto che io leggevo prevalentemente prima di andare a dormire, l'atto della lettura è svanito con quello che di solito lo seguiva.

Ma adesso basta. Si deve ricominciare. Ho sul telefonino una lista di libri che mi sono segnata da mesi, ogni volta che ne sentivo parlare alla radio, o ne leggevo su blog amici (Amanda, ti fischiano le orecchie?), o su facebook.

In cima alla lista stanno due tomi:
Résultats de recherche d'images pour « Marx et la poupee »

Mi ha incuriosito un'intervista all'autrice, di origine persiana trapiantata in Francia, e mi è poi bastato leggere questo frammento, in cui l'autrice si riferisce alla sua lingua materna, il persiano, per volerlo avere assolutamente.

"La petite fille comprend qu’ici, il ne sert à rien de le parler. Personne ne lui répondra. Alors il se passa quelque chose d’étrange : elle avala sa langue. Elle ferma les yeux et elle engloutit sa langue maternelle qui glissa au fond de son ventre, bien à l’abri, au fond d’elle, comme dans le coin le plus reculé d’une grotte."

"La ragazzina capisce che qui, non le servirà a nulla parlarlo. Nessuno le risponderà. Allora successe qualcosa di strano: deglutì la sua lingua. Chiuse gli occhi e inghiottì la sua lingua materna che scivolò in fondo alla sua pancia, ben al riparo, in fondo a se stessa, come nell'angolo più nascosto di una grotta."


Il secondo è questo:

Buy the book

Nicole Chung è una donna nata da una famiglia coreana e adottata da genitori bianchi in un Oregon estremamente bianco ed uniforme. E chi legge questo blog ha già capito perché io voglia leggerlo subito.

What did the child’s color matter, in the end, when they had so much love to give? It would be unseemly, ungrateful to focus on a thing like race in the face of such a gift. It wouldn’t have mattered to us if you were black, white, or purple with polka dots, they would tell their daughter over and over, once she was old enough to understand the story of how she came to them. 
Odd as that declaration would sound to me, every time, I would always believe them.

Quanto poteva contare il colore del bambino, alla fine, quando loro avevano così tanto amore da dare? Sarebbe stato ingrato concentrarsi su una cosa come la razza di fronte ad un tale dono. Non ci importava se tu fossi nera, bianca o viola a puntini, avrebbero detto alla loro figlia ripetutamente quando lei fosse stata grande abbastanza per capire la storia di dove arrivasse.  
E per quanto strana quella dichiarazione suonasse alle mie orecchie ogni volta, li avrei sempre creduti. 


In un solo paragrafo, due concetti così cruciali e così tossici nella narrativa dell'adozione: la mentalità colorblind e l'idea del figlio adottivo come dono.
Credo non ci sia bisogno di dire che, naturalmente, la ragazza capisce poi bene quanto invece la razza conti e quanto lei debba rifiutare di essere vista come un dono per i suoi genitori, rivendicando il suo diritto alla verità tutta intera, inclusiva di una storia complessa.

Quali altri libri devo aggiungere?
(per i libri in italiano, segno e recupero la prima volta che rientro in Italia)


P.S. Le traduzioni come al solito sono mie. Abbiate pietà...

Friday, June 29, 2018

Lo ius spiegato a un bambino

Non è la prima volta che il Sig. Tenace fa la stessa domanda. L'ultima volta, stamattina a colazione:
"Ma noi cosa siamo? Siamo italiani?"
"Sì, siamo italiani. Tutti e quattro."
"E perché siamo italiani?"
"Allora. Ci sono tre modi per essere cittadini di un posto: perché ci nasci, perché i tuoi genitori sono di quel posto o perché ci sei andato a vivere. Tu e la Bebewa* siete italiani perché io e il papà siamo italiani. Poi tu sei anche cinese perché il papà e la mamma della Cina erano cinesi e sei nato in Cina. E la Bebewa è anche canadese perché è nata qui. Magari presto anche noi tre diventeremo canadesi come lei."
Riflette.
Io continuo un attimo.
"Poi altra cosa è come uno si sente, perché ci sono persone che hanno il passaporto italiano, ma non si sentono italiane ed altre, ad esempio, molte altre, che si sentono italiane ma non possono ancora esserlo. Uno è quello che si sente di essere. Tu cosa sei, Sig. Tenace?"
"Io sono italiano. E cinese. E anche un po' giapponese."

Eccolo là. Credo che abbia giocato un peso la sua passione per sushi e udon. Purtroppo per lui lo ius palati non è stato ancora regolamentato giuridicamente.




*Il Sig. Tenace chiama la SignoRina così da quando è nata. Ormai ci siamo un po' adattati anche noi.

Wednesday, May 2, 2018

Italiani quanto basta

Oh, continuiamo la chiacchierata iniziata qui da me e proseguita qui da Alice. Se volete unirvi, sedetevi comodi, prendete una tazza di tè e partecipate alla ciacolata.  

Qualche settimana fa sono andata in consolato per ritirare il passaporto italiano della SignoRina. Come spesso capita quando vado in consolato, ero ambivalente: quasi eccitata all'idea di avere finalmente tutti e quattro almeno un passaporto in comune, nostalgica per il toccare un po' di suolo italiano, scoglionata perché non sai mai cosa può capitare in termini di sorprese burocratiche.
Quel giorno ero particolarmente di buon umore. Dovevo solo ritirare il documento, quindi mi sono seduta nella sala d'aspetto che ormai conosco bene. Ho dato una rapida occhiata ai soliti due poster appesi al muro, uno con un panorama della costiera amalfitana, l'altro del lago Maggiore, e ho scelto la sedia che meglio mi facesse vedere la televisione su cui andava in onda la Prova del Cuoco.



Due paesaggi, la voce di Antonella Clerici, la preparazione di pasta fresca ripiena e l'accento romagnolo del cuoco in gara. Tutto era familiare al punto da neanche accorgermene. 
Finché non sono entrati. Altri due italiani. Sicuramente italiani, avevano il passaporto. Erano lì in consolato come me. Nel nostro consolato italiano.
Solo che uno dei due, donna, non parlava italiano. Parlava solo inglese e chiedeva informazioni riguardo a determinati documenti. 
L'altro parlava un italiano stentato misto a termini dialettali di qualche parte del sud Italia. Suo padre era morto e non sapeva come comunicarlo al comune di origine: "Non l'ho uscito quel documento", "Non l'aggio ancora sbrigato". 

Anni fa mi avrebbero irritato e avrei pensato con stizza e superiorità che quei due non erano italiani. Sì, va be', avevano il passaporto, ma non erano italiani veri. Non come me. 
Poi, conoscendone qualcuno, di quegli italiani di seconda o terza generazione, ho capito che spesso sono più affezionati all'Italia di me, che ci tengono al mantenimento delle tradizioni, hanno l'orto in cui piantano zucchini e melanzane, fanno ogni anno il sugo di pomodoro in casa per l'anno a venire, e venerano il pranzo della domenica come un'occasione immancabile per ritrovarsi in famiglia. Si sposano spesso tra italiani, loro, e vivono tutti o a little Italy o a St. Leonard, che è il nuovo quartiere italiano di Montreal. Sanno chi è Renzi e chi è Salvini e vanno a votare. Li conosco, dicono "cotto" e "butti" invece di cappotto e stivali (da coat e boots), cantano le canzoni dei Ricchi e Poveri e quelle di Toto Cutugno.  

Ma chi sono io per dire chi è italiano veramente? Per giudicare chi ha diritto di sentirsi tale? 
Oggi penso che, passaporto a parte, ognuno è quello che si sente di essere. 



Quel giorno in consolato un lampo mi ha attraversato la mente.
I miei bambini. Quella SignoRina di cui stavo per ritirare il passaporto e che per ora è ancora solo canadese, lei diventerà così? Sarà vista così dagli italiani nati in Italia? 
E il Sig. Tenace? Su, facciamoci una risata: quale italiano d'Italia lo considererà davvero italiano? Ok, parla italiano, ha il passaporto e una famiglia italiana, ma è nato in Cina ed è asiatico, su questo non ci piove. Quante volte si sentirà dire "Ma tu di dove sei? Ho capito che sei italiano, ma veramente di dove sei?"

Entro in una spirale.
Guardo i due poster. Io non ho bisogno di leggere la scritta sotto per capire dove sono quei luoghi, ma per i miei figli? Saranno posti esotici? Il Sig. Tenace non sapeva neanche cosa fosse Milano fino a qualche tempo fa...

Ancora più giù nella spirale.
Penso a quando il Sig. Tenace gioca ad essere un uovo e mi dice: "Mamma, pondami!" (pondre un oeuf, in francese) o quando canta Tanti auguri a te dicendo "Bonne fete to you!". Io sorrido, illusa del fatto che la lingua italiana gli scorra dentro e gli sia innata come lo è per me e per suo padre, che neanche ci rendiamo conto di quanto ci sia letteralmente "madre" lingua.

E poi in fondo alla spirale, il solito pensiero. 
Loro si sentiranno sempre fuori luogo ovunque. Noi ci facciamo il culo perché loro possano essere cittadini del mondo e sentirsi a casa tanto qui, quanto in Italia e, per uno dei due, pure in Cina, ma la verità vera è che loro, in ognuno di questi luoghi saranno sempre un po' stranieri. Non completamente Canadesi, perché figli di immigrati, non completamente italiani perché in Italia non ci avranno vissuto, non completamente cinese perché cresciuto in una famiglia italiana. 

Io e il Teodolindo abbiamo fatto la scelta di vivere altrove, forti dei nostri piedi ben piantati nelle radici italiane con cui inevitabilmente ci accordiamo come con un diapason. Ma loro? Abbiamo puntato sulle opportunità che questa scelta offre loro in termini di esposizione a più culture e lingue e di un paese come il Canada che fa della diversità la sua forza. Ma gli abbiamo tolto un'identità chiara. 
Dovranno farci i conti, loro.
Come in un bassorilievo, dovranno costruire la loro identità e la loro bellezza sull'equilibrio tra i pieni e i vuoti. 







Wednesday, April 25, 2018

25 aprile 2018

da qui


Ci avevamo già provato due anni fa, a spiegare il 25 aprile al Sig. Tenace. Abbiamo fatto un nuovo tentativo ieri sera prima di metterlo a letto, al momento della lettura di un libro.
"Stasera niente libro, ti racconto una storia. Anzi, guarda, te la raccontiamo insieme io e il papà"
Il Teodolindo mi guarda perplesso poi però capisce dove voglio andare a parare.
Se per certi versi adesso posso raccontare e non solo cantare, come feci nel 2016, è tuttavia difficile spiegare la resistenza ad un bambino di cinque anni.
Di più.
E' difficile spiegare la resistenza ad un bambino italiano di cinque anni che in Italia ci ha messo piede una sola volta per due settimane.
Lui non ha i luoghi nei ricordi, non conosce persone che possano dire "il mio nonno...", non ne sente parlare a scuola, non vede lapidi commemorative o manifestazioni.
Il 25 aprile è per lui un giorno come un altro.
E però quanto vogliamo che lui e sua sorella crescano con una coscienza storica del nostro Paese*? Molto. Moltissimo.
Oh, ci abbiamo provato.
Abbiamo usato ogni mezzo, dalla similitudine tra i partigiani e i soldati di Mulan che difendevano il loro paese dall'invasore (e vi assicuro che fa il suo bell'effetto paragonare i nazisti agli Unni, per un bambino come il Sig. Tenace), alle immagini cercate su internet. Abbiamo provato a dirgli che noi neanche possiamo immaginarla la felicità di quella gente, quel 25 aprile di 73 anni fa.

Una partigiana sulle Alpi contro l'invasor

"Voglio vedere le foto delle battaglie!", chiedeva lui.
E allora gli spieghiamo che non erano battaglie come lui immagina, ma che la vera azione era la pazienza e la resistenza.

Pazienza e resistenza.
Ne avremo bisogno anche noi perché questi due scriccioli diventino due italiani consapevoli delle radici della loro famiglia.



PS O voi che leggete e che vivete fuori dall'Italia, e sapete chi siete, ma come fate con i vostri figli?

PS 2 Io ho trovato questo elenco di libri per spiegare la resistenza, qualcuno li conosce? Mi dite cosa ne pensate?

*che poi, il nostro Paese sarà anche il loro? Lo sentiranno loro? Questa è una delle domande che più mi tortura.

Friday, February 23, 2018

La torta, subito



Tra poco sarà il compleanno del Sig. Tenace e noi, su sua richiesta, gli stiamo organizzando una festicciola con i suoi amici, qui a casa nostra. La festa si terrà tra le 10 del mattino e mezzogiorno;  grazie al cielo qui c'è l'usanza di indicare anche l'orario di fine delle feste, non solo quello di inizio. Ad alcuni dà fastidio, a molti è di sollievo. Noi che ci ritroveremo dodici cinquenni urlanti secondo voi a che gruppo apparteniamo?
Il taglio della torta, preceduto dalla canzoncina rigorosamente in tre  lingue  per non scontentare nessuno, avverrà quasi subito. Niente attese eterne.

Risultati immagini per birthday cake
immagine da qui

Tutto ciò perché il Teodolindo ed io siamo ben memori di quel racconto di Francesco Piccolo in "Momenti di trascurabile infelicità":
 "In ogni caso, è noto, le feste dei bambini non finiscono più. Non perché siano particolarmente lunghe; sei tu che vorresti che finissero mezz'ora dopo. E quindi guardi l'orologio all'inizio ogni minuti, poi meno, poi meno, poi meno. [...] Parecchio tempo lo trascorri a mangiare pizzette e patatine, a bere coca cola senza caffeina, a parlare con gli altri genitori che si vorrebbero ammazzare quanto ti vorresti ammazzare tu. Ma la maggior parte del tempo lo trascorri guardando nel vuoto, facendo finta di pensare a cose molto importanti della vita, mentre stai pensando a quale scusa pazzesca puoi trovare per dire che all'improvviso dovete andarvene, ma poi pensi che tuo figlio si dispiacerà, e non puoi farlo. E infatti gli chiedi speranzoso: ti stai divertendo? Ma quelli rispondono tutti di sì. Quando c'è uno che risponde no, cala un silenzio improvviso. Il genitore lo prende per mano e dice: forse è meglio se andiamo. E sono pronti ad andare e noi li guardiamo invidiosissimi e l'ultima speranza che abbiamo è la frase che dirà il genitore del festeggiato, una frase davanti alla quale bisogna arrivare preparati, e comunque non è detto che ce la si possa fare. Perché dipende da tanti fattori, ma più che altro dal tuo coraggio. Noialtri in quel momento tifiamo per il genitore del festeggiato, perché non desideriamo che qualcun altro riesca a fare quello che noi non possiamo fare. 
La frase arriva, implacabile.
Ma c'è la torta!
Il genitore che vuole andare via farfuglia, cerca di opporre resistenza, ma il genitore del festeggiato è forte del potere della gentilezza, oltre a quello del sadismo (anche lui avrà tentato altre volte di scappare via da una festa, e non glielo avranno permesso, gli hanno detto che c'era la torta; e uno dei motivi per cui ha organizzato questa festa è per desiderio di vendetta).
Dài, aspettate la torta e ve ne andate.
E noialtri adesso stiamo per goderci il momento più bello: il bambino e il genitore che si tolgono di nuovo il cappotto mentre dicono: vabbe', dài, aspettiamo la torta. 
[...]
Quando, dopo molto tempo, all'imbrunire, arriva la torta, tu, stressato, ne mangi in quantità smodata, e appena dopo cerchi di infilare il cappotto a tuo figlio, e arriva il genitore del festeggiato che dice: ma adesso apre i regali! Poi guarda tuo figlio e gli dice: apre anche il tuo! 
E tuo figlio, da solo, si sfila il cappotto."
Anche per i regali pensavamo di scamparla optando per un book swap party: i bambini, anziché portare un dono, sono invitati a portare un libro - nuovo o usato come preferiscono - da scambiare. Il Sig. Tenace, festeggiato, avrà la priorità nella scelta dopodiché a sorte toccherà agli altri. Niente cianfrusaglie per noi, e niente sbattimento per i genitori che si evitano di andare per negozi a cercare un regalo per un bambino che conoscono poco.
Illusi. Siamo stati degli illusi. 
La maestra del Sig Tenace, nostra informatrice personale, ci ha rotto l'incantesimo rivelandoci prima che il Sig. Tenace pare abbia promesso ai suoi amici che al party saranno serviti "pasta and chocolate cakes" (ma chi l'ha deciso?! Ti pare che cucino pasta alle nove del mattino?) e poi che i bambini discutono da giorni di quale libro porteranno e di quale vogliono accaparrarsi. 
Forse dovremmo dire ai genitori di vestirli in assetto da combattimento. Prevediamo due ore molto lunghe.



P.S. Il racconto di Piccolo l'ho malamente tagliato per esigenze di spazio, ma merita di essere letto per intero perché è spassoso, come del resto tutto il libro, divertentissimo.

Monday, October 16, 2017

Lanterne cinesi

Ogni anno in questa stagione, il giardino botanico cinese di Montreal si anima di mille lanterne.


Si varca la soglia e lo spettacolo inizia


Il Sig. Tenace prende le misure e si chiede come mai non possa essere lui a portare il drago




Il tema di quest'anno sono i draghi, ma una fenice non poteva mancare

E poi lui, sua maestà il drago che guarda i visitatori dritto negli occhi.




Tutto ciò per dire: se capitate a Montreal in autunno, non perdetevi l'evento.

Monday, June 19, 2017

Impara le lingue con il Sig. Tenace - altro capitolo

Il tempo passa, e in questa casa si continua ad imparare lingue varie, nei modi più disparati.
Sul mio apprendimento del cinese passerei per questa volta, più che altro perche io me la sono andata a cercare e me la gratto.
Mi soffermerei invece sul piccolo di casa che combatte con quattro lingue. Osservarlo è molto interessante, se evito di farmi prendere dai sensi di colpa per la fatica a cui lo stiamo sottoponendo quando invece potrebbe parlare fluentemente e correttamente solo una lingua, senza dover prevedere futuri problemi a scuola, anziché arrancare malamente tra quattro.

Di seguito qualche esempio di quel che si osserva ultimamente:

I dialoghi
Io: "Mr. Fighter, what if we speak English today?"
Lui: "No, non in inglese!"
Io: "You want me to speak Italian, right?"
Lui: "Oui!!"


Il lessico
Mi usa come vocabolario portatile, così piu volte al giorno lo scenario è questo:
Sig. Tenace: "Mamma, come si dice aereo in inglese?"
Io: "Plane"
Sig. Tenace: "E in cinese?"
Io (che culo! Questa la so!): "飞机 (fēijī)"


Sig. Tenace: "Come si dice playdoh in italiano?"
Io: "Uhm, quando ero piccola io lo chiamavamo pongo o didò"
Sig. Tenace: "E in cinese?"
Io: "Eh, non lo so Sig. Tenace. Non l'ho ancora imparato"
Sig. Tenace: "No, davvero. Come si dice playdoh in cinese? Dimmelo."


Sig. Tenace: "Mamma, treno in inglese si dice train. E in cinese?"
Io: "火车 (huŏchē)"
Sig. Tenace: "Non mi piace. Preferisco train. Uso train."
Il concetto che non si possano pescare termini di lingue diverse solo in base al proprio gusto personale sfugge completamente al Sig. Tenace.


Le regole grammaticali.
Queste sono un classico comune a tutti i bambini nella sua situazione.

Quelle mutate da una lingua all'altra:
"Mamma, sono non contento!" (trad. di "I'm not happy"?)

Quelle inventate di sana pianta:
"È capitato tanti giorni giorni fa"
"Ci siamo andati tanti mesi mesi fa"

La migliore, finora:
Cena a base di ravioli cinesi.
"Mmmh... dumplings!"
Ne divora sette, poi mi chiede
"Mamma, posso avere ancora un dumplong" (Plurale dumplIngs, singolare dumplOng)


Tuesday, May 2, 2017

la differenza nelle ciglia

Consueto martedì mattina. In bagno davanti allo specchio io mi trucco gli occhi mentre il Sig. Tenace si lava i denti con lo spazzolino delle tartarughe ninja.

"Mamma, le mie ciglia?"
"Le tue ciglia, cosa?"
"Dove sono le mie ciglia?" e accompagna le parole con il gesto che ormai ripete da quasi due anni, afferrando le mie, di ciglia.
"Stella, le tue ciglia sono qui (gli tocco le palpebre), solo che sono più nascoste delle mie."
Non lo vedo persuaso. Continua a toccare le mie, di palpebre, e ci guardiamo allo specchio.
"Sig. Tenace, lo sai, io ho gli occhi così, e tu li hai così, tu hai il naso piccolo e io ce l'ho grosso - per non parlare di quello del papà (ride)! Tu hai le ciglia come Kim Lynh, come Brady, come Milo, e come Pingbei, e come il papà di Heilam,..."
Ascolta e non si muove da davanti allo specchio.
"È perche' le persone che sono nate in Cina o che hanno il papà e la mamma cinesi [per ora, mi dico, limitiamoci alla Cina che il concetto di Asia viene troppo complicato alle 7.30 del mattino] hanno gli occhi e il naso simili ai tuoi".
"È la mamma della Cina?"
"Sì, sono la mamma della Cina e il papà della Cina che ti hanno dato 'sti occhi bellissimi e 'sto nasino spettacolare. Anche loro li hanno così. Io invece sono nata in Italia dove tanta gente ha gli occhi e il naso come i miei". [Oddio, mi sto incasinando...]

Tempo fa eravamo sull'autobus, al rientro a casa, e c'erano vicino a noi un signore nero, alcuni asiatici e alcune persone bianche. Il Sig. Tenace indica il signore nero:
"Mamma, quel signore ha il naso grooossso" [Grazie di averlo detto in italiano! Grazie!!]
"Sì, ha il naso più grosso del mio e del tuo"
"Anche del papà"
"Sì, anche del papà"
"Quando io cresco, mi viene il naso grosso come quello del papà"
"Per carità no! No, Sig. Tenace, quando crescerai ti resterà il naso abbastanza piccolo, più come quello del papà di Oscar, o della mamma di Finn, o del papà di Milo,..."
"Allora come quello del papà di Oscar"
"Ok!" [in effetti e' un figo pauroso...]


da qui

Queste sono le nostre normali conversazioni, che a volte sono più complicate e altre meno, ma che prima di tutto mi rinforzano l'idea che i bambini eccome se le vedono le differenze razziali, alla facciazza di quelli che dicono che è tutto un costrutto sociale. E poi mi bacio i gomiti per la fortuna che abbiamo nel poter mandare il Sig. Tenace in un asilo dove tanti bambini gli assomigliano, e per vivere in una città in cui i racial mirrors non dobbiamo andare a cercarli con il lanternino, ma sono attorno a noi ogni giorno.


PS. il naso del Teodolindo non è poi particolarmente grosso, o almeno non ce n'eravamo mai accorti finché non è arrivato il Sig. Tenace e ha spostato la barra di tutti i nostri riferimenti di dimensione nasesca...




Per chi fosse interessato all'argomento, due articoli:

L'importanza dei racial mirrors per i bambini adottati tramite adozione transrazziale

I benefici a livello cerebrale del crescere in un ambiente etnicamente diversificato (racially diverse)




Monday, March 6, 2017

Quando si dice famiglia italo-cinese...

Ricordo un tempo in cui mi auguravo che il Sig. Tenace crescesse metaforicamente con una polpetta in una mano e un dumpling nell'altra.

Un anno e mezzo dopo, capitano domeniche in cui, senza farlo apposta, si mangia pizza a pranzo

Grazie Pizzeria No. 900 per aver aperto un locale a due passi da casa! Muah!


e jiaozi (饺子) fatti in casa per cena.

Il primo tentativo mio e del Sig. Tenace senza aiuti esterni. Moolto fieri del risultato!

Se doveste chiedervi cosa ha preferito il Sig. Tenace, la risposta non prevede tentennamenti. I jiaozi sono stati spazzolati prima ancora di avere avuto il tempo di dire "buon appetito", mentre la pizza è stata mangiucchiata pigramente e lasciata a metà. Però se al posto della pizza avessi fatto un risotto, sarebbe stato un bel testa a testa con i dumplings.




Tuesday, February 14, 2017

Say my name

Non so se  ho mai scritto perché il Sig. Tenace si chiami così. Voglio dire, perché il Teodolindo ed io abbiamo deciso che lui mantenesse il suo nome cinese, dandogli solo il cognome del Teodolindo.

Forse non ne ho mai scritto perché per noi è stata una scelta naturale: era il suo nome da sempre, aveva due anni e mezzo quindi sapeva bene a quale nome voltarsi, infine era una delle poche cose che gli appartenevano e che definivano la sua identità da sempre.
Se ad una persona togli il nome, quanto togli e cosa resta?

Poi, va be', ci sono state altre motivazioni secondarie, ma importanti.
Ad esempio quel momento illuminante in cui ho assistito ad un colloquio di lavoro e la persona intervistata, titolare di un curriculum stellare e di un nome inglese, ha suscitato la sorpresa dell'esaminatore nel momento in cui ha varcato la porta, perché asiatica. E così il colloquio, da professionale, si è trasformato in
"Ma tu da dove vieni?"
"Toronto"
"No, ma davvero: di dove sei?"
"Sono canadese. (giustamente, iniziava a stizzirsi) Sono nato e cresciuto a Toronto!"
"No, ma i tuoi genitori di dove sono? O i tuoi nonni?".
Ah, per la cronaca, la persona con il cv stellare non è stata presa.

O quella volta in cui un segretario è andato in sala d'aspetto, ha dato un'occhiata alle persone in attesa, poi è tornato e mi ha detto
"No, il tuo paziente non è arrivato."
"Come lo sai? C'è gente in sala d'aspetto. Hai chiesto?"
"No, ma questo è un nome italiano e di là ci sono solo neri" (Gli ho suggerito di tornare nella sala e chiedere ad alta voce)

Dicevo, momenti illuminanti che ci hanno confermato che, anche in una società post-nazionale come quella canadese, è meglio che il nome rifletta l'identità, anche razziale e culturale, di una persona.

Quando stamattina ho letto dell'episodio di razzismo avvenuto alla Columbia University - a New York eh, mica nel profondo sud degli USA - in cui in occasione del capodanno cinese i nomi degli studenti asiatici è stato rimosso dalle porte dei dormitori, ho avuto un sussulto. Nomi tolti, identità negate.

Poi, un secondo dopo, ho visto come gli studenti cinesi hanno risposto:




"Sig. Tenace."
Gli insegneremo ad amare il suo nome (e il suo cognome), che fanno di lui una persona unica.
Lo diremo sempre forte e chiaro.
Correggeremo sempre quelli che lo pronunciano male.
Diremo a tutti quelli che ce lo chiedono cosa significa, perché "Per sempre resistente" è proprio un bel nome.

Say my name.


Wednesday, February 1, 2017

Vegliare

Vegliare.
Ho sempre amato questo verbo; racchiude l'essere all'erta, l'attesa e la speranza.

È quel che in molte città del Canada si è fatto due sere fa, ventiquattro ore dopo la strage di Quebec City. A Montreal l'evento è stato organizzato nel giro della mattinata da quattro giovani cittadini che non credo sperassero di ottenere una tale risposta.
Undicimila persone.
Tutte radunate nella piazza di fronte al Metro Parc, scelto perche vicino ad una moschea, nel cuore di uno dei quartieri a più alta concentrazione di abitanti di religione islamica.
Undicimila persone che hanno scelto di esserci alle sei di sera di una giornata di gennaio con temperatura a -18 e venti gelidi.
Noi non abbiamo esitato un attimo. O forse un attimo sì, viste le temperature, e ci chiedevamo
"Siamo degli irresponsabili? Portare un bambino di neanche 4 anni ad una veglia alle sei di sera, ora in cui i bambini nordamericani di solito hanno già cenato e son quasi in pigiama?!"
L'esitazione è durata giusto un attimo, poi eravamo tutti e tre sull'autobus che ci portava alla manifestazione. Ci siamo subito rilassati quando abbiamo visto che no, non eravamo gli unici con bambini. Al contrario di bambini ce n'erano una marea, anche più piccoli del Sig. Tenace. In effetti potevamo immaginarlo, visto che noi stessi avevamo saputo dell'evento tramite i genitori dei compagni di asilo del Sig. Tenace.


link


Il messaggio era chiaro: non si era lì tutti insieme solo per ricordare e stare vicini ad una comunità ferita.
Si vegliava anche per trasmettere ai figli che Montreal, come il resto del Canada, vuole essere "stronger not in spite of our differences, but because of them".




Alcuni signori di una certa età hanno visto il Sig. Tenace, ben coperto nella sua tuta da sci, e ci hanno chiesto "È la sua prima volta? Benvenuto!". Sì, e di sicuro non sarà l'ultima.

Ieri mattina leggevo uno schifo di articolo di una psicoeducatrice che suggeriva di non parlare di questi eventi ai bambini in età prescolare e, nel caso in cui, per sbaglio, questi venissero esposti alla notizia dire loro cose tipo "Non so perché quel signore l'abbia fatto" per evitare che al bambino venga poi l'ansia da "uomo cattivo". Ma dico, scherziamo!?

Il Sig. Tenace sa perché siamo stati in piazza.
Sa che c'è stato un uomo biondo con gli occhi azzurri che ha fatto molto male a delle persone perché erano diverse da lui e perché sono della religione di Ratiba, una delle sue maestre.
Sa che quel signore adesso è con la polizia che fa in modo che non faccia più male ad altre persone. Sa anche che tutta quella gente era in piazza per dire che quello che è successo è sbagliato e, a differenza del signore biondo, tutta quella folla vuole vivere in mezzo a persone diverse da loro.

link



























Come si diceva alla fine di un film

I genitori hanno due compiti fondamentali. Il primo è quello di difendere il proprio figlio dalla malvagità del mondo. Il secondo è quello di aiutarlo a riconoscerla.

Tutti quei bambini.
L'altra sera siamo tornati a casa con la speranza nel cuore.



Thursday, December 1, 2016

L'effetto Trump al di là del confine - post n.2

Ci eravamo lasciati qui.
Come posso spiegare come hanno reagito i Canadesi?

Raccontandovi quattro avvenimenti.

1) Lavoro in un ospedale universitario della McGill University, università anglofona, a Montreal, che è una metropoli multirazziale e multiculturale. Quindi sia chiaro che la popolazione che lavora con me non è la stessa che vive a Chibougamau.
Il giorno dopo le elezioni, c'era uno strano silenzio, come se nessuno volesse commentare. Due giorni dopo, all'accettazione del Dipartimento di Radiologia è comparso questo cartello:



2) Come ho già accennato, il Sig. Tenace va in un asilo - pubblico- in cui viene data precedenza ai bambini di famiglie cinesi. Il 30% dei suoi compagni hanno entrambi i genitori di origine asiatica, un altro 30-40% ha un genitore asiatico e l'altro no. Sono 50 bambini in tutto.
Il giorno dopo le elezioni, sul gruppo facebook dell'asilo, ben due genitori hanno riportato episodi di razzismo e aggressione verbale rivolti a loro e ai loro bambini proprio mentre si recavano a scuola. In un caso a bordo di un autobus, nell'altro per strada, in una via del quartiere dove la scuola si trova e che è, tra l'altro, uno di quelli con maggiore diversità razziale. In entrambi i casi le parole, urlate ("Time is up! Be ready to go back to your country!", "Things are going to change!") sono state dette da persone di mezza età, bianche; in entrambi i casi gli altri cittadini presenti hanno subito, immediatamente fatto fronte comune contro l'attacco verbale difendendo i genitori e bambini oggetto dell'aggressione.

3) In giro per Toronto e Hamilton sono stati affissi messaggi come questo. A Ottawa hanno disegnato svastiche su una scuola elementare.

4) La domenica successiva le elezioni siamo andati a Messa alla Parrocchia di Chinatown. Alla fine della celebrazione ci siamo fermati a chiacchierare con amici e loro, preoccupati, ci hanno detto che gli episodi come quelli riportati sopra, negli Usa, tra i loro amici e familiari, erano aumentati in modo esponenziale (avete visto Day one in Trump's America?). Hanno aggiunto che si sta creando una rete di contatti per sostenere le famiglie e gli amici, Asian American, che sono negli Usa:
"Abbiamo offerto loro ogni appoggio per venire qui, se dovessero averne bisogno o se la situazione diventasse insostenibile. Quelli che sono ancora a scuola o in ambiente universitario ci hanno risposto "Il nostro posto è qui. Se ce ne andassimo anche noi, chi farebbe in modo di cambiare le cose in futuro?" Vedremo come evolve la situazione. Noi rimaniamo a disposizione e il nostro dovere è far sapere le cose!"
Il Teodolindo ed io, nel nostro essere bianchi e privilegiati e genitori di un bambino indubbiamente non bianco, ascoltavamo.


In conclusione, il regno di Trump è già tra noi, prima ancora del suo insediamento.
Gli effetti della sua politica sono già attuati, prima ancora di prendere il potere.
La prima disastrosa conseguenza della sua campagna e della sua vittoria è stata la legittimazione di opinioni ed azioni che prima venivano taciute e soffocate.
Quella fetta di popolazione bianca che si sentiva pian piano spogliata dei suoi privilegi, in nome dei principi di eguaglianza e tolleranza, adesso si sente autorizzata a manifestare l'odio e l'insofferenza verso chi è diverso da loro e viene ritenuto responsabile del diverso assetto del mondo e della società.
Adesso sono tutti a dire "Oh, visto? Si è calmato. Nel programma dei suoi primi 100 giorni non c'è nessuno dei punti caldi della sua campagna."
Eh già, mi vien da pensare. Non ha bisogno di attuare fin da subito quelle politiche discriminatorie o intolleranti che gli hanno portato così tanti voti, perché c'è tutto il suo popolo che penserà a farsi giustizia da solo o a spargere la paura. Con il beneplacito delle personcine deliziose che ha chiamato a governare al suo fianco.
Non è Trump che spaventa, ma quelli che lo sostengono e che ora sono a briglia sciolta.
Di qua e di là dei confini americani.

La differenza, grossa, è che qui il governo e la maggioranza della popolazione canadese hanno ben altri principi, diametralmente opposti, e si è pronti a difenderli, quei principi.
Ma fino a quando? "Don't underestimate the power of the American culture!" dicono qui
Ne saremo capaci?
Anche se siamo isolati?

"We can keep our eyes open just for this subtle thing creeping into our communities. We can talk to each other when we see it. We can just demonstrate love to our kids by showing how in any neighborhood we build bonds no matter what our background. It's funny how being mad about something can bring you together, but I guess that cuts both ways."
Ian Daffern, scrittore e genitore, da qui




Per approfondimenti
Dietro la vittoria di Trump c'e' la rivincita dell'uomo bianco.
The real reason Donald Trump got elected? We have a white extremism problem.
Making America white again.

Friday, November 25, 2016

L'effetto Trump al di là del confine - post n.1

Cosa vuol dire in Canada che i vicini del piano di sotto abbiano eletto Donald Trump come prossimo presidente?
Come hanno reagito i Canadesi?

Prima di parlare dell'effetto Trump da questa parte del continente nordamericano, c'è bisogno di qualche premessa utile per capire le relazioni tra i due Stati. Per non appesantire il post, do la precedenza alle immagini, anche perché questo non vuol essere un'analisi sociologica e politica, ma solo il punto di vista di un'immigrata che guarda con occhio ibrido il mondo che la circonda.

Come gli Americani vedono il Canada
-Per gli Americani in genere, il Canada è uno stato socialista. Per fare un esempio, nel 2013 ero ad un congresso di neuroradiologi americani a San Diego e si discuteva la riforma Obamacare. 'Sti neuroradiologi americani, che neanche vi potete immaginare quanto guadagnano, erano terrorizzati dall'impatto della riforma sul loro stipendio. Ad un certo punto una tizia è salita sul podio al microfono e ha detto: "Ma vi rendete conto? Qui rischiamo di diventare come i Canadesi!". Orrore.

-Negli Usa le battute sui Canadesi gentili, cortesi e remissivi sono un classicone


"Canadian Graffiti", in un episodio dei Simpson


-Un altro super classico è che gli Americani pigliano per i fondelli i Canadesi, ma ogni qualvolta le cose girano male negli Usa iniziano a dire "Male che vada ci trasferiamo in Canada!". Seriamente.
Prima delle elezioni, in rete giravano questi poster



E la notte dell'elezione, il sito di Canada Immigration è andato in tilt.

Siamo davvero in uno Stato socialista?
Ma neanche per un cazzo.
I liberali canadesi sono conservatori per noi Europei. Il Sistema Sanitario, di cui per inciso i Canadesi si vantano, è pubblico per modo di dire. Certo, non stiamo come negli Usa, ma neppure come in Europa. Qui, per farvi un esempio, gli esami diagnostici sono gratis, ma i farmaci si pagano. Quando si discute la terapia di un paziente con tumore, si guarda prima la sua assicurazione per capire quanto sarà rimborsato o se non dovrà fare un mutuo per pagarsi la chemioterapia. Socialisti?

Chi c'è al Governo
Qui sta l'enorme differenza con gli Usa e anche con il resto del mondo.
I Canadesi, nel novembre 2015, dopo nove anni di governo conservatore, hanno eletto il Sig. Justin Trudeau, liberale, classe 1971, figlio di uno stimato ex-primo ministro.
Signore e Signori, vi presento il Sig. Trudeau:






Questo è il governo da lui formato:


50% donne, 50% uomini. Cinque minoranze razziali visibili, tra cui due ministri autoctoni (mai capitato prima). Un ministro con disabilità motoria. A proposito di rappresentare e dar voce alle minoranze...

Quando un giornalista gli ha chiesto:
"Come mai un governo in cui donne e uomini sono presenti in egual numero?"
Lui ha laconicamente risposto:
"Because we are in 2015"

Inoltre
-Ha parlato alle Nazioni Unite sulla situazione delle donne (video) dicendo più o meno
"Ogni volta che dico che sono femminista, la gente applaude e si esalta, invece non dovrebbe essere un'affermazione che crea una tale reazione. Continuerò a dire forte e chiaro che sono femminista fino a quando le mie parole susciteranno solo un'alzata di spalle. "
 -È stato il primo Capo del Governo a partecipare al Gay Pride di Toronto;



-Ha attuato da subito una politica ambientale aumentando progressivamente il prezzo del carbone e minacciando di commissariare le singole province che non si adeguano.



Abbiamo di fronte una speranza della politica internazionale o solo un gran paraculo? Forse un po' di entrambe le cose.
Io resto scettica e lo aspetto al varco perché un anno di governo è troppo poco per formulare giudizi.

Quel che è indubbio è che le parole di chi governa contano, anche solo le parole prima dei fatti, ed hanno una ricaduta enorme su come i cittadini vivono e si comportano.

Detto questo, qualcuno di voi si sarà fatto un'idea su come possano aver reagito i Canadesi alla vittoria di Trump. Ma le cose non sono così semplici come sembrano e di questo parlerò nel prossimo post...

Friday, July 29, 2016

Impara le lingue con il Sig. Tenace - cap. 2

Dicevamo che il Teodolindo ed io ci troviamo ad essere testimoni di come il Sig. Tenace stia infilando nella sua testa più lingue contemporaneamente.
Da poche settimane, tra l'italiano e il cinese, inizia a sgomitare l'inglese.

Il Sig. Tenace dorme sempre in compagnia dei suoi amati peluche, tra cui, immancabile, una scimmia. Da quando va all'asilo le scimmie sono diventate due: una resta fissa all'asilo, l'altra vive a casa con noi, ma spesso accompagna il Sig. Tenace a scuola e va a trovare la sua collega primate.
Ora, stesso animale, stessa funzione, ma il Sig. Tenace una la chiama Scimmia e l'altra Monkey. E guai a confonderle.
La maestra a volte si sbaglia e le chiama entrambe monkey:
"Mr. Fighter, if you are going home, don't forget your monkey!" 
Il Sig. Tenace la corregge prontamente e allora io sento la maestra dire tra sé e sé:
"Right. I forgot this was the Italian one". 
Scimmia.
Foto di Monkey non pervenuta.




Friday, July 22, 2016

Impara l'italiano con il Sig. Tenace

A volte il Teodolindo ed io dimentichiamo che il Sig. Tenace stia ancora imparando l'italiano e che le sue orecchie non siano immerse nella lingua di Dante dalla nascita.
Ricapitoliamo un attimo la storia linguistica del signorino: fino all'età di due anni e cinque mesi - ovvero un anno esatto fa- ha sentito solo mandarino. Poi è capitato con noi due, che a casa parliamo italiano, ma viviamo in una città bilingue francese-inglese. Infine, da maggio scorso, frequenta una scuola in cui la babele è ancora più estrema e che meriterà un post a parte.
In questo contesto capitano robe così:

In bagno, ci apprestiamo a lavargli i denti e, per farlo, il Sig. Tenace deve salire sul suo sgabello ai piedi del lavandino.
Il Teodolindo: "Dai, salta su!".
Il Sig. Tenace non capisce il senso della richiesta, ma obbedisce ed esegue un saltello sul posto.

A cena, qualche sera fa, il Sig. Tenace digerisce rumorosamente (o, con parole più eleganti, pianta un rutto spaventoso).
Il Teodolindo: "Salute!".
Il Sig. Tenace resta perplesso, ci pensa un attimo e poi tenta un "Ciao?".
Segue tentativo inutile del Teodolindo di spiegare al pargolo la differenza tra "saluta" e "salute".

Ieri, ci prepariamo per andare a fare la spesa.
Il Teodolindo: "Sig. Tenace, vai in cucina a prendere due buste che andiamo a fare la spesa!"
Il Sig. Tenace ritorna dalla cucina con queste:




In tutti questi episodi, è eloquentissimo lo sguardo del Sig. Tenace che sembra dire: "A me paiono richieste assurde, ma meglio assecondarli".

Scusaci, Sig. Tenace, hai ragione tu. Faremo più attenzione perché le parole sono importanti e tu ne stai imparando davvero tante.



Thursday, April 21, 2016

Just beyond my front door... quelli con problemi di vista.

Poi ci sono quelli strani, come il commesso della libreria in cui siamo stati il Sig. Tenace ed io ieri mattina.
Uomo sui trent'anni, tipico canadese alto e biondo. Come da copione, ci vede, ci osserva, ci ascolta. Dopodiché, diversamente dagli altri, ci dice, in un buon italiano con accento anglofono:
"Parlate italiano! È la vostra prima lingua?"
"Per me sì, per lui la prima lingua è il cinese"
(con evidente stupore): "Ah sì?! Cinese?! E... come mai?!"
"..."

Ho avuto l'impressione che anche il Sig. Tenace l'abbia guardato con aria perplessa.






Wednesday, December 30, 2015

Le ricette del diario di bordo - tomato egg noodles

Che il cibo per me sia importante credo lo si sia capito.
Che io pensi che esso sia veicolo di amore e attenzione da chi lo prepara per chi lo riceve, pure.
Che al Sig. Tenace piaccia mangiare e che noi lo sapessimo fin dalla prima volta in cui abbiamo letto su un foglio parole su di lui, lo si è probabilmente intuito.

È stato quindi naturale, anche se non sempre facile, durante il viaggio in Cina, darmi da fare per rimediare le ricette ogni volta che vedevo che un cibo era particolarmente apprezzato dal signorino (in altre parole, quando ci mancava solo che si mangiasse anche la ceramica) per poterlo poi riprodurre qui a casa e riportargli un po' dei sapori con cui è cresciuto finora.
Se infatti è vero che vorrei che il Sig. Tenace si appropriasse di quel che il Teodolindo ed io siamo a botte di annusate di ragù e mani nella pasta fresca, d'altra parte vorrei ancor di più che non perdesse nulla di quanto ha fatto parte della sua storia fino ad ora. Vorrei insomma, se mi si passa l'immagine, che il Sig. Tenace crescesse con una polpetta in una mano ed un raviolo cinese nell'altra. Metaforicamente e non.

Ho chiesto ricette alle educatrici dell'Istituto, alle guide,  spiavo nei ristoranti in cui mangiavamo. Qualcosa ho recuperato, per altre ricette sono ancora in ballo ma non desisto.

Questa è la prima ricetta che ho avuto. Si tratta dei 西红柿打卤面ossia tomato egg noodles, una zuppa di noodles più o meno brodosa, con pomodori e uova fritte. Pare che sia un piatto casalingo, servito spesso ai bambini perché nutriente.
Il Sig. Tenace ne va pazzo da sempre. E il Teodolindo ed io non disdegniamo affatto.



Ingredienti
2-3 pomodori maturi (lo so, adesso non è stagione: aspettate l'estate per farla), spellati e privati dei semi
3 uova
un cipollotto
200 g di noodles abbastanza spessi, del tipo che si preferisce (per noi di riso, senza glutine)
olio di sesamo
1 cucchiaino di zenzero in polvere
brodo vegetale, preparato mettendo a bollire una carota, un gambo di sedano e della cipolla

Sbattere leggermente le uova, salare e pepare.
In una pentola antiaderente o wok riscaldare un po' di olio di oliva e versarci le uova. Appena si rapprendono, strapazzarle. Una volta cotte, toglierle dal fuoco e metterle in una ciotola.
Nella stessa pentola, aggiungere un altro po' di olio di oliva. Versarci lo zenzero in polvere, quindi i pomodori tagliati a pezzetti. Far cuocere a fuoco vivo per pochi minuti, finché i pomodori diventano morbidi, dopodiché versarvi sopra il brodo fino a coprire interamente i pomodori. La quantità di brodo varia a piacere a seconda di quanto "brodosa" si vuole la minestra.
Aggiungere il cipollotto tagliato a rondelle sottili, aggiustare di sale. Coprire e far sobbollire per cinque minuti almeno. Aggiungere le uova tenute da parte ed eventualmente altro brodo.

A parte, far cuocere i noodles in acqua salata portata ad ebollizione. Seguire i tempi di cottura previsti per il tipo di noodle scelto.

Scolare i noodles, condirli con uno-due cucchiai di olio di sesamo, quindi versarli nella pentola con pomodori e uova. Mescolare e servire subito.



Thursday, September 17, 2015

The walk of compassion

Ai Weiwei e Anish Kapoor sono due artisti che mi intrigano moltissimo e che mi hanno conquistato rispettivamente con dei semi di girasole e un fagiolo.
Oggi hanno marciato insieme a Londra in segno di compassione verso i rifugiati di ogni parte del mondo.




"This is a walk of compassion, a walk together as if we were walking to the studio. Peaceful. Quiet. Creative."
Anish Kapoor, 2015

“We are artists, we are part of the whole situation. 
This problem has such a long history, a human history. 
We are all refugees somehow, somewhere and at some moment.”
Ai Weiwei, 2015



"We are demanding creativity of others, recognising that those who leave their country and go on a journey across the water full of danger or who walk hundreds of miles across land are also making a creative act."
Anish Kapoor, 2015

[Dall'articolo uscito oggi su The Guardian]



Friday, February 13, 2015

Mare nostro


Potete respingere, non riportare indietro,
è cenere dispersa la partenza, noi siamo solo andata. 

da qui

Da qualunque distanza arriveremo, a milioni di passi
quelli che vanno a piedi non possono essere fermati

Da nostri fianchi nasce il vostro nuovo mondo,
è nostra la rottura delle acque, la montata del latte.

Voi siete il collo del pianeta, la testa pettinata,
il naso delicato, siete cima di sabbia dell'umanità.

Noi siamo i piedi in marcia per raggiungervi,
vi reggeremo il corpo, fresco di forze nostre.

Spaleremo la neve, allisceremo i prati, batteremo i tappeti
noi siamo i piedi e conosciamo il suolo passo a passo.

Uno di noi a nome di tutti ha detto:
"Va bene, muoio, ma in tre giorni resuscito e ritorno".

da "Solo andata. Righe che vanno troppo spesso a capo"
di Erri De Luca. Feltrinelli, 2005.




[La foto, Mare nostrum, è di Massimo Sestini ed ha ricevuto un 2015 World Press Photo Award]