Wednesday, February 22, 2017

Il mio comodino. Febbraio 2017

Il mio comodino, domenica scorsa.



Continua ad esserci la buona Elisabetta della Trinità. Il libro l'ho finito, ma adesso mi sto rileggendo le pagine in cui avevo messo un segno.
Cito a memoria
"Come diceva Gesù a Caterina da Siena "Tu pensa a me, a te penserò io"."

È arrivato Enzo Bianchi, o meglio è arrivato il suo libro, "Spezzare il pane. Gesù a tavola e la sapienza del vivere", portatomi a Natale da mia madre su mia richiesta.  Non saprei neanche quale citazione mettere, da tante che ce ne sarebbero.

Mai senza l'altro, neppure a tavola! Nel Padre Nostro non sta scritto: "Dammi oggi il mio pane quotidiano" - suonerebbe come una bestemmia! - ma "Dacci, da' a tutti noi il pane di ogni giorno, e così ti potremo chiamare Padre nostro e non Padre mio"!
Permettetemi di ricordarlo: se il pane, bisogno comune, pane per tutti, non è condiviso, allora "le pain se lève", "il pane insorge, si alza in rivolta".

Infine ho iniziato un libro che era nella mia lista di cose da leggere da mesi. Si tratta di "The myth of the model minority. Asian Americans facing racism" di Rosalind Chou e Joe Feagin. È un saggio, non propriamente una lettura da comodino.
Si tratta di un testo fondamentale per capire il mito della minoranza modello e degli stereotipi che esso comporta. Robe del tipo "gli Asiatici son tutti dei geni della matematica, sono tutti intelligenti, sono docili e non fanno casini." Questi stereotipi, per quanto possano sembrare positivi, restano comunque stereotipi e sono perfetti per giustificare la presunta assenza di razzismo sistematico in Nordamerica con l'obiezione: "Ma se davvero l'America (o il Canada...) è razzista, allora perché ci sono così tanti Asiatici che hanno successo in campo accademico e tecnologico?". Ecco la risposta:

The dominant white group and its elite stand in a position of such power that they can rate groups of color socially and assign them "grades" on a type of "minority report card". Whites thus give certain Asian American groups a "model minority" rating, while other groups of color receive lower marks as "problem minorities". However, the hierarchical positions that whites are willing to give any groups of color are always significantly below them on the racial ladder.

[mia traduzione grossolana: Il gruppo dominante bianco e le sue elite sono in una tale posizione di potere da permettersi di classificare le minoranze e attribuire loro "voti". Di conseguenza, i bianchi concedono agli Asian American il grado di "minoranza modello", mentre collocano a livelli più bassi altri gruppi definendoli "minoranze problematiche".  Tuttavia, il livello gerarchico di una minoranza sulla scala razziale sarà sempre significativamente inferiore a quello della popolazione bianca che l'ha attribuito.]

Tuesday, February 14, 2017

Say my name

Non so se  ho mai scritto perché il Sig. Tenace si chiami così. Voglio dire, perché il Teodolindo ed io abbiamo deciso che lui mantenesse il suo nome cinese, dandogli solo il cognome del Teodolindo.

Forse non ne ho mai scritto perché per noi è stata una scelta naturale: era il suo nome da sempre, aveva due anni e mezzo quindi sapeva bene a quale nome voltarsi, infine era una delle poche cose che gli appartenevano e che definivano la sua identità da sempre.
Se ad una persona togli il nome, quanto togli e cosa resta?

Poi, va be', ci sono state altre motivazioni secondarie, ma importanti.
Ad esempio quel momento illuminante in cui ho assistito ad un colloquio di lavoro e la persona intervistata, titolare di un curriculum stellare e di un nome inglese, ha suscitato la sorpresa dell'esaminatore nel momento in cui ha varcato la porta, perché asiatica. E così il colloquio, da professionale, si è trasformato in
"Ma tu da dove vieni?"
"Toronto"
"No, ma davvero: di dove sei?"
"Sono canadese. (giustamente, iniziava a stizzirsi) Sono nato e cresciuto a Toronto!"
"No, ma i tuoi genitori di dove sono? O i tuoi nonni?".
Ah, per la cronaca, la persona con il cv stellare non è stata presa.

O quella volta in cui un segretario è andato in sala d'aspetto, ha dato un'occhiata alle persone in attesa, poi è tornato e mi ha detto
"No, il tuo paziente non è arrivato."
"Come lo sai? C'è gente in sala d'aspetto. Hai chiesto?"
"No, ma questo è un nome italiano e di là ci sono solo neri" (Gli ho suggerito di tornare nella sala e chiedere ad alta voce)

Dicevo, momenti illuminanti che ci hanno confermato che, anche in una società post-nazionale come quella canadese, è meglio che il nome rifletta l'identità, anche razziale e culturale, di una persona.

Quando stamattina ho letto dell'episodio di razzismo avvenuto alla Columbia University - a New York eh, mica nel profondo sud degli USA - in cui in occasione del capodanno cinese i nomi degli studenti asiatici è stato rimosso dalle porte dei dormitori, ho avuto un sussulto. Nomi tolti, identità negate.

Poi, un secondo dopo, ho visto come gli studenti cinesi hanno risposto:




"Sig. Tenace."
Gli insegneremo ad amare il suo nome (e il suo cognome), che fanno di lui una persona unica.
Lo diremo sempre forte e chiaro.
Correggeremo sempre quelli che lo pronunciano male.
Diremo a tutti quelli che ce lo chiedono cosa significa, perché "Per sempre resistente" è proprio un bel nome.

Say my name.


Wednesday, February 1, 2017

Vegliare

Vegliare.
Ho sempre amato questo verbo; racchiude l'essere all'erta, l'attesa e la speranza.

È quel che in molte città del Canada si è fatto due sere fa, ventiquattro ore dopo la strage di Quebec City. A Montreal l'evento è stato organizzato nel giro della mattinata da quattro giovani cittadini che non credo sperassero di ottenere una tale risposta.
Undicimila persone.
Tutte radunate nella piazza di fronte al Metro Parc, scelto perche vicino ad una moschea, nel cuore di uno dei quartieri a più alta concentrazione di abitanti di religione islamica.
Undicimila persone che hanno scelto di esserci alle sei di sera di una giornata di gennaio con temperatura a -18 e venti gelidi.
Noi non abbiamo esitato un attimo. O forse un attimo sì, viste le temperature, e ci chiedevamo
"Siamo degli irresponsabili? Portare un bambino di neanche 4 anni ad una veglia alle sei di sera, ora in cui i bambini nordamericani di solito hanno già cenato e son quasi in pigiama?!"
L'esitazione è durata giusto un attimo, poi eravamo tutti e tre sull'autobus che ci portava alla manifestazione. Ci siamo subito rilassati quando abbiamo visto che no, non eravamo gli unici con bambini. Al contrario di bambini ce n'erano una marea, anche più piccoli del Sig. Tenace. In effetti potevamo immaginarlo, visto che noi stessi avevamo saputo dell'evento tramite i genitori dei compagni di asilo del Sig. Tenace.


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Il messaggio era chiaro: non si era lì tutti insieme solo per ricordare e stare vicini ad una comunità ferita.
Si vegliava anche per trasmettere ai figli che Montreal, come il resto del Canada, vuole essere "stronger not in spite of our differences, but because of them".




Alcuni signori di una certa età hanno visto il Sig. Tenace, ben coperto nella sua tuta da sci, e ci hanno chiesto "È la sua prima volta? Benvenuto!". Sì, e di sicuro non sarà l'ultima.

Ieri mattina leggevo uno schifo di articolo di una psicoeducatrice che suggeriva di non parlare di questi eventi ai bambini in età prescolare e, nel caso in cui, per sbaglio, questi venissero esposti alla notizia dire loro cose tipo "Non so perché quel signore l'abbia fatto" per evitare che al bambino venga poi l'ansia da "uomo cattivo". Ma dico, scherziamo!?

Il Sig. Tenace sa perché siamo stati in piazza.
Sa che c'è stato un uomo biondo con gli occhi azzurri che ha fatto molto male a delle persone perché erano diverse da lui e perché sono della religione di Ratiba, una delle sue maestre.
Sa che quel signore adesso è con la polizia che fa in modo che non faccia più male ad altre persone. Sa anche che tutta quella gente era in piazza per dire che quello che è successo è sbagliato e, a differenza del signore biondo, tutta quella folla vuole vivere in mezzo a persone diverse da loro.

link



























Come si diceva alla fine di un film

I genitori hanno due compiti fondamentali. Il primo è quello di difendere il proprio figlio dalla malvagità del mondo. Il secondo è quello di aiutarlo a riconoscerla.

Tutti quei bambini.
L'altra sera siamo tornati a casa con la speranza nel cuore.